Merola è intervenuto così per commentare la discussione in corso ieri e oggi in Comune per l’Istuttoria pubblica sul disagio abitativo. E l’Università? Un intervento era previsto, ma alla fine nessun rappresentate dell’Alma Mater si è presentato.
A Bologna aumentano famiglie, turisti e studenti fuorisede. Non crescono gli alloggi disponibili, soprattutto quelli in affitto. E’ il quadro delineato dai tecnici del Comune nel corso dell’Istruttoria pubblica sul disagio abitativo in corso tra ieri e oggi. Negli ultimi dieci anni la città ha registrato +9.800 famiglie, +3.600 studenti e molti più turisti. Le case sono aumentate, nello stesso periodo, di 3.600 unità derivanti in buona parte da ristrutturazioni, frazionamenti e cambi d’uso. “E’ quindi assai probabile- dicono gli uffici comunali- che sia stato messo in gioco il patrimonio di alloggi vuoti, segnalati dal censimento del 2011”: cioè ben 14.111 unità. Ma il tema degli appartamenti inutilizzati è secondario per il sindaco Virginio Merola. Meglio “concentrarsi sui controlli” contro gli affitti in nero che non “inseguire alloggi vuoti” in città, che secondo Merola sono il più delle volte “beni individuali delle famiglie e non speculazioni immobiliari. È da quando ero assessore all’urbanistica mi chiedono di questo mito degli alloggi sfitti. Quando l’Istat fa il censimento, non è che tutti aprano la porta. E questo già pregiudica il dato. Parliamo comunque di una quota residuale legata a molti problemi familiari. In Italia e a Bologna non abbiamo grandi proprietà immobiliari, sono per lo più piccoli proprietari e ogni famiglia ha il suo problema”. Ma, dice il sindaco, “non possiamo fare di questo un problema di politica dell’affitto”. Anche perchè su questo tema a Bologna “la politica è già fatta: chi tiene gli alloggi sfitti paga il massimo di Imu”, ricorda Merola.
E il ruolo dell’Università? Un intervento dell’Alma Mater nel corso dell’Istruttoria era previsto, ma alla fine nessun rappresentante dell’Ateneo si è presentato.
“L’amministrazione comunale- ha invece detto Làbas nell’aula del Consiglio comunale- non ha mai fatto mistero di avere un preciso indirizzo per il destino del centro di Bologna”, cosa che Palazzo D’Accursio ha confermato anche durante l’Istruttoria “negando platealmente l’esistenza di un disagio abitativo o perlomeno di un problema in merito; cioè quello di una vera e propria città vetrina, che comporta ‘riqualificazione’ coatta o meno del centro e della zona universitaria, applicazione di daspi urbani, sgomberi, e si potrebbe ancora andare avanti… E la questione del disagio abitativo è l’ennesima occasione per allontanare dal centro quelle che sono le componenti sgradite, o meglio dire ‘brutte’, quelle che ad alcuni non piace vedere: studenti fuorisede, giovani donne e uomini precari, emarginat*, migranti…”.
Sono intervenuti anche gli abitati di Porto 15, per sottolineare che “il co-housing non è la risposta al disagio abitativo”. Il disagio abitativo “è il punto di caduta di altri elementi di difficoltà che non nascono spontaneamente, sono l’esito di scelte politiche in materia di lavoro, di mobilità, di welfare, della criminalizzazione dei migranti, di una brutta gestione del patrimonio immobiliare pubblico, così come della mancata gestione del patrimonio immobiliare privato”. Inoltre l’abitare collaborativo “arriva dopo l’abitare, dopo l’accesso alla casa, e interviene su altre componenti del disagio: la cura, la carenza di spazi, sia privati che pubblici, ma arriva dopo. Il co-housing nasce come risposta privata, di chi se la può permettere, a questioni di rilevanza pubblica ma che non trovano risposte pubbliche”. La solidarietà insomma “non è sostitutiva del diritto” e “preoccupa quando sentiamo parlare di iniziative che fanno della condivisione e della solidarietà la condizione di accesso ai diritti, come quello all’abitare, mettendo in moto una sorta di ricatto della solidarietà”.