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Medioriente / La guerra della Turchia al Pkk minaccia quella all’Isis

Proseguono i raid in Iraq, in territorio turco attacchi da parte kurda. Il Kurdistan iracheno chiede il negoziato: “Così Ankara aiuta il progetto del califfato”.

02 Agosto 2015 - 14:05
Striscione calato venerdì dall'Università Ca'Foscari di Venezia (foto da fb Rojava Calling)
Striscione calato venerdì dall’Università Ca’Foscari di Venezia (foto da fb Rojava Calling)

(da Nena News)

Non cessa la guerra tra Pkk e Ankara. Alle bombe turche sulla montagna irachena di Qadil, i combattenti kurdi ieri hanno attaccato una stazione di polizia a Pozanti uccidendo due poliziotti. Nella successiva sparatoria sono morti due combattenti. Nella provincia orientale di Kars, una bomba è esplosa lungo la ferrovia: un lavoratore è morto nello scontro a fuoco seguito all’esplosione.

Dal 24 giugno, quando si è riaperto il conflitto tra Stato turco e Pkk, lanciato da Erdogan dietro la giustificazione di colpire l’Isis in Siria, sono morti 20 membri delle forze turche, oltre 200 combattenti kurdi e 1.300 persone – sospetti simpatizzanti del Pkk e appartenenti del Partito Democratico del Popolo, Hdp – sono state arrestate.

Le parole del premier turco Davutoglu non lasciano spazio alla speranza di un accordo negoziato: la Turchia proseguirà nell’operazione fino a quando il Pkk non abbandonerà le armi. Armi che non venivano usate da due anni e mezzo, durante il processo di pace promosso dal leader Abdullah Ocalan dalla prigione e mai violato dal movimento kurdo.

A chiedere la pace è l’Hdp per bocca del suo leader, Selahattin Demirtas: “Il dialogo deve riprendere, le mani devono essere tolte dal grilletto e le parti devono tornare al tavolo”, ha detto in un intervento televisivo. Un appello che difficilmente troverà orecchie pronte ad ascoltare: la guerra all’Hdp, spina nel fianco del partito di Erdogan, Akp, è totale. Il procuratore generale di Diyarbakir ha aperto un fascicolo contro Demirtas, accusandolo di aver istigato e armato i manifestanti durante la protesta.

Rischia fino a 24 anni di prigione, simbolo della volontà di spezzare un movimento che non è solo filo-kurdo ma che rappresenta i movimenti di sinistra e dei lavoratori turchi. Una seria minaccia per i piani presidenzialisti e neoliberisti di Erdogan, che con la paura di un nuovo conflitto apre la strada alle agognate elezioni anticipate di novembre.

E mentre cadono bombe sul nord Iraq (secondo l’agenzia kurda Anf, i raid hanno centrato ieri notte il villaggio di Zergele, uccidendo 8 civili e ferendone 15), pressioni per il dialogo arrivano anche dal Kurdistan iracheno: “Non crediamo che ci possa essere una soluzione militare – ha detto il ministro degli Esteri di Erbil, Falah Mustafa Bakir – Speriamo che le parti tornino al negoziato perché stabilità e sicurezza è quello di cui abbiamo bisogno ai nostri confini”.

Erbil, già stretta tra la minaccia Isis e le restrizioni di Baghdad, teme un contagio delle tensioni alla frontiera e nel suo territorio e un aumento destabilizzante del numero di profughi (sonogià due milioni quelli riparati nel Kurdistan iracheno). Ma non solo: aprire guerra ai kurdi, che ad oggi sono stati quelli che meglio hanno resistito all’avanzata islamista tra Siria e Iraq, indebolirebbe il movimento a scapito anche della coalizione internazionale. Di nuovo, Ankara – con la guerra dichiarata al Pkk, sostenitore di Kobane e liberatore insieme alle Ypg degli yazidi bloccati a Sinjar, in Iraq – aiuta indirettamente i piani del califfato che, di certo poco toccato dalle bombe turche, può andare avanti indisturbato.