Grandmaster Flash a Bologna: “Colui che ha trasformato – con un graffio, letteralmente – l’umile giradischi in uno strumento potente come il piano o la chitarra, creando un modello sonoro che ha permesso al mondo intero di scoprire i segreti dei ghetti di New York. E poi delle strade di tutto il mondo”.
di Simona de Nicola
Ogni segno se codificato può diventare un linguaggio e, grazie al potere che queste strutture di senso possono assumere per gli esseri viventi, trasformarsi in un mezzo per comunicare, sopravvivere, mettere in condivisione.
Le lingue – intese come segni messi a sistema, codificati – sono uno strumento potentissimo per avvicinare i membri appartenenti allo stesso gruppo e, cosa ancora più stupefacente, per gettare ponti e cercare di comprendere il funzionamento e la vita di altri gruppi sociali e perfino di altre specie viventi.
Pensiamo all’evoluzione del linguaggio umano – con tutta la sua complessa antologia di ipotesi sulla sua origine: dal primo suono gutturale emesso in risposta a qualche misteriosa pulsione fino alle necessarie evoluzioni dell’apparato anatomico, dalla costruzione di una fonetica organizzata in una sintassi, al passaggio necessario da una parole a una langue.
Per arrivare a una struttura complessa, semanticamente e lessicalmente sempre più elaborata, fissata nella sacralità del segno scritto.
Una téchne sofisticatissima.
C’è qualcosa di magico in un segno che si fa linguaggio, in quella serie di tracce ordinate e graffiate da secoli sulle più svariate superfici.
C’è qualcosa di misterioso e mai realmente comprensibile nel momento in cui qualcosa che “esiste” nel mondo viene percepito, catturato in un segno, codificato, trasformato in lingua, messo in condivisione.
Roba da stregoni.
Ora, la semiografia musicale getta le origini nell’antica Grecia – sì, la nostra Grecia, cuore del Mediterraneo, oggi declassata tra i P.I.G.S. dell’EU, fu madre anche di questo. Della musica – l’inafferrabile suono prodotto dal movimento delle sfere celesti – la divinità suonante e danzante senza la quale “la vita sarebbe un errore”, come diceva il filosofo matto che baciava e abbracciava i cavalli.
Secondo il mito, la parola musica deriva da ἡ μουσικὴ τέχνη, arte delle Muse, figlie di Mnemosyne, memoria. Tamiri, mitico cantore e musico della Tracia, osò sfidare le Muse, a cui si sentiva superiore. Ma fu da esse vinto, accecato e privato della sua abilità musicale: gli fecero perdere la memoria, così Tamiri non riuscì più a suonare una nota e alla sua morte fu trasformato in usignolo.
Ancora una volta una storia crudele, quella raccontata dal mito, un monito a non sfidare gli dei. Ma per fortuna, alcuni uomini lo fanno e altri osarono ancora di più: inventare una lingua scritta per la musica, renderla una notazione, registrare e catturare l’inafferrabile.
Sono partita da lontanissimo, come sempre, ma solo per prendere la rincorsa e sottolineare come questa cosa che arriva in città – proprio qui nella nostra città!
Una roba da stregoni, anzi no una roba da ninja.
Joseph Saddler, dalle Barbados agli Stati Uniti, autore della Clock Theory, la tecnica del graffio: segnare il vinile in un punto esatto per trovare la porzione di suono su cui fare scratch.
Il maestro dell’hip-hop e del turntablism: noto in tutto il mondo per aver aperto la strada all’arte del mixaggio. Una sorta di Tamiri del ghetto.
Grandmaster Flash è l’uomo che ha inventato il pulsante Cue, oltre a tecniche come la backspins, lo scratchinge il punch phrasing, cambiando così il volto del DJ per sempre.
Una notazione musicale che pare provenire dallo spazio – come è giusto che sia, Platone gli avrebbe dato ragione. Guardatela qui, solo guardatela, non ascoltatela.
Colui che ha trasformato – con un graffio, letteralmente – l’umile giradischi in uno strumento potente come il piano o la chitarra, creando un modello sonoro che ha permesso al mondo intero di scoprire i segreti dei ghetti di New York. E poi delle strade di tutto il mondo.
Immaginate la jungla urbana – con il suo ritmo fatto di sfrecciare, battere, stridere, strofinare, arrotolarsi su sé stessi, lanciarsi, schiantarsi.
Sentite il beat pulsare leggero, looparsi, farsi martellante, giocare con l’eco e con le rime, prendere a casaccio la vita dalla strada, correre all’impazzata e poi arrestarsi di botto.
Immaginate questi suoni catturati e trasformati in segno.
Il segno registrato e trascritto.
Vedetelo farsi lingua, ordinato e messo in condivisione.
Immaginate che ogni membro della tribù porti un po’ del suo mondo dentro a questa lingua, che aggiunga segni, che trasformi significati, che provi a toccare gli altri segni, a contaminare a farsi contaminare.
Questa lingua è la lingua dell’hip-hop, dei cani sciolti, e martedì lo stregone viene a batterla per farci danzare.
3 dicembre 2019@20:30
GRANDMASTER FLASH – EXPRESS FESTIVAL 2019
Locomotiv Club
Bologna