Storia e memoria

Lisbona / Un esperimento collettivo per iniziare a riprendersi la Storia

Un contributo sulla manifestazione autoconvocata nel 25 aprile portoghese: “La moltiplicazione delle iniziative e il sorgere di gruppi spontanei è un dato significativo, specialmente in un paese in cui le forme di autorganizzazione radicate sono poche”.

06 Maggio 2014 - 13:10

Lisbona, 24 Aprile 2014
Un esperimento collettivo per iniziare a riprendersi la Storia

Premessa: Livin’ on the edge

Nessuno ha la bacchetta magica dell’organizzazione, né quella dell’auto-organizzazione. Nessuno in questo momento, né in Portogallo né altrove, sa qual è la giusta strada da percorrere. Quella definitiva. Vero è che diverse diverse forme di resistenza si stanno sviluppando, ma è evidente che l’ora X dei movimenti è ben lontana dallo scattare.

I segnali che arrivano dalla gestione della situazione politica ai confini dell’Europa sono a dir poco inquietanti.

I segnali di spostamento a destra dell’intero continente lo sono altrettanto.

E il problema non solo i parlamenti, contesi da una moltitudine di destre.

I nazionalismi sono palpabili, materiali, nei discorsi come nelle piazze, nelle scuole e negli ospedali, nelle conformazioni delle città. E se ci fossero ancora basta ricordare Lampedusa, Ceuta e Melilla e la legittimità di cui godono.

Le bandiere nazionali in piazza sono solo la punta più visibile del problema. Così come i saluti romani, che però con queste basi possono stendersi con molta più facilità.

Con le dovute differenze, l’Europa del 2014 comincia ad assomigliare pericolosamente a quella del 1936. Quella dei fascismi e degli accordi coi fascismi, delle guerre coloniali e civili. Prima del grande salto.

In queste condizioni, sedersi sul ciglio del burrone e buttare uno sguardo a quello che succede attorno può essere una buona scelta. Vale la pena di osservare i particolari, fossero anche piccoli esperimenti riusciti a metà, che non hanno la pretesa di essere il punto di rottura rispetto alla situazione attuale, ma che magari hanno in sé alcuni elementi che a quella rottura possono portare.

Trovare nell’inferno ciò che non è inferno. E dargli spazio.

Questo il senso di questo articolo.

 1. Bassa

In Portogallo si è recentemente inaugurato il terzo anno dall’inizio della Troika, il programma di aiuti europei connesso ai tagli alla spesa pubblica. Ufficialmente dovrebbe essere anche l’anno della sua fine, ma questo ovviamente causa una serie di dubbi sul come. Su questi dubbi si spalma l’imbarazzo della sinistra maggioritaria.

Il Partito Socialista, che per primo ha acconsentito al memorandum della Troika è all’opposizione dal 2011 e tuttavia arriva alle elezioni europee più debole che mai. Il motivo è proprio la gestione dei rapporti con l’Europa che nelle parole di tutti deve essere necessariamente differente da come è stata finora, anche se nella pratica non è chiaro come debba delinearsi. Il PS è così in difficoltà che il PSD, partito di destra che controlla la maggioranza, ha buon gioco nel proporre continuamente un governo di grandi coalizioni. Ricorda qualcosa?

Per gli appassionati della comparazione è interessante vedere che così come per l’Italia è stato un italiano, Mario Draghi, a dettare la linea sui tagli pretesi dall’Europa, per il Portogallo il nome è quello di Durão Barroso, due volte presidente della Commissione Europea.

E ancora: se l’Italia ha il Capo dello Stato Giorgio Napolitano come uomo simbolo del mantenimento dello status quo e garante con l’Europa, il Portogallo non è da meno con Aníbal Cavaco Silva, uno dei protagonisti della politica portoghese degli anni ’80, in cui il Portogallo entra di diritto nella UE (all’epoca Comunità Europea).

I due si sono anche incontrati recentemente, insieme ad un altro personaggio significativo: Juan Carlos I, il re di Spagna designato da Francisco Franco come suo successore.

Gli incontri sono avvenuti nel 2012, quando il re di Spagno Juan Carlos ha offerto loro il premio, guarda un po’, “Nueva Economia 2011 e 2012” (vedi foto), e nel febbraio 2014, in occasione di una riunione organizzata dal COTEC (fondazione per l’innovazione tecnologica) sulla re-industrializzazione dei paesi del mediterraneo.

Vista dall’alto, l’Europa è più unita di quello che sembra.

2. Bassissima bassa

In questo contesto la vera opposizione viene da destra. L’unica vera forza che ha rischiato di far cadere la maggioranza è infatti il CDS, partito di ispirazione profondamente cattolica il cui segretario, nell’estate 2013, si è ritirato dalla carica di Ministro degli Interni e degli Affari Esteri, dichiarandosi in disaccordo con le scelte del governo. Un allarme rientrato quando a Paulo Portas è stato dato il ruolo di vice-primo ministro.

Le conseguenze di questo sistema di potere monolitico sono particolarmente pesanti. Al di là di un livello di corruzione molto elevato (sui giornali del 2013 ha imperversato uno scandalo dei derivati finanziari, detti swap), la disoccupazione è alle stelle, così come l’emigrazione giovanile. Nonché quella senile: sono infatti perlopiù gli over 65 che risentono di una recente legge che di fatto sblocca la possibilità di aumentare gli affitti da parte dei proprietari (a far scattare l’attenzione dei media è stato il caso del padre dello scrittore João Tordo.

Come si intuisce sempre di più non è così vero che i soldi non ci sono. Ci sono, ma bisogna vedere come vengono investiti. Nelle città principali gli incentivi per la ricostruzione e riabilitazione di edifici sono concessi specialmente ad azioni di restauro destinate a dinamizzare e modernizzare attività economica. Per il Portogallo questa formula si riassume in una parola: turismo.

Gli edifici abbandonati (chi è stato a Lisbona e Porto sa che se ne contano a decine) vengono rimessi a nuovo solo per diventare bed&breakfast, oppure per ospitare bar e ristoranti con prezzi affrontabili quasi esclusivamente da stranieri. Il risultato è un processo di gentrificazione rapidissimo.Gli alberghi sono diventati così tanti che pochi mesi fa a Lisbona è stata lanciata un’iniziativa dal titolo: Contar estrelas – Quantos hoteis há na Baixa?. Quanti hotel ci sono nella quartiere centrale di Lisbona?

A questo panorama di per sé poco entusiasmante bisogna aggiungere un dato significativo: negli ultimi mesi le manifestazioni più significative hanno avuto come protagonista un soggetto ben preciso, le forze di polizia che nella prima di queste manifestazioni sono arrivate fino alle porte del parlamento. Lungi dal voler entrare in dibattiti di eco finto-pasoliniana (la poesia di Pasolini andrebbe letta per intero) è bene però lasciare a un video che da un’idea dei numeri e della composizione di queste manifestazioni: qui.

La canzone intonata dai manifestanti nei primi istanti del video è l’inno nazionale portoghese, il cui momento culminante recita “às armas, às armas“, alle armi, alle armi.

Altri movimenti ci sono, ma.

3. Fiori e feticci

Negli ultimi mesi facchini del porto di Lisbona, lavoratori di Viana do Castelo e, in piccole dosi, i ricercatori dell’università hanno espresso una resistenza rispetto alle proprie condizioni lavorative. Ma se si cerca un movimento capace di connettere diversi settori della società, si fa fatica a trovarlo.

Nel maggio e giugno 2011, mentre tutta la Spagna accampava nelle piazze centrali delle città, i tentativi portoghesi di emulare i propri vicini di casa non sono riusciti a essere tanto incisivi, né in termini di numeri, né in termini di organizzazione. Le fasi successive hanno visto il protagonismo di un movimento comunque simile a quello delle acampadas (quantomeno nelle parole d’ordine, non certo nell’organizzazione), chiamato Que se lixe a troika.

Il movimento è stato capace finora di convocare un milione di persone in piazza (15 settembre 2012) e di accompagnare il sindacato in una delle più shockanti manifestazione della storia recente del Portogallo, quando, al termine della manifestazione ufficiale, un grandissimo numero di persone rimase di fronte al Parlamento. Alcuni manifestanti scatenarono un lancio di pietre frontale durato ore, prima di essere interrotto da una carica della polizia: qui.

Da questo momento in poi qualcosa si è rotto. Probabilmente il nodo mai sciolto della violenza di piazza è diventato un tabù da evitare, piuttosto che un argomento di discussione. Questo ha fatto sì che la capacità di spiazzare e variare obiettivi (uno dei pregi del movimento spagnolo) sia stato usato come un modo per evitare qualunque conflitto di piazza.

Per il 2 marzo 2013, mentre in Italia Grillo eliminava la possibilità di qualunque riferimento storico del Movimento 5 Stelle (salvo poi citare i campi di concentramento con una leggerezza da brivido), il movimento Que se lixe a troika organizza una manifestazione del tutto suggestiva: in tutto il Portogallo alle ore 16:00 viene cantata Grândola, Vila Morena, la canzone di Zeca Afonso che il 25 aprile 1974, trasmessa in radio, ha rappresentato il segnale per l’inizio delle operazioni militari che avrebbero portato alla caduta del regime.

Il canto della canzone nel marzo 2012 è un momento di forte impatto (se ne era parlato anche sul sito di Wu Ming), ma autoconcluso. Con conseguenze disastrose per il movimento che nelle manifestazioni successive, vede ridursi drasticamente il numero dei partecipanti. Il canto ripetitivo della canzone della rivoluzione senza che la rivoluzione realmente avvenga, ha inoltre un’altra conseguenza: la storia rischia di diventare un feticcio. Evidentemente questa non è una responsabilità esclusiva della manifestazione del marzo 2013, ma ha radici ben più profonde, che si legano al significato della Rivoluzione dei Garofani nella memoria collettiva.

Un elemento, non da poco in questo processo, è la semplificazione degli eventi della rivoluzione: la rivoluzione portoghese non è avvenuta in un giorno, non è avvenuta solo per mano dei militari, non è stata pacifica e non può essere circoscritta al solo territorio portoghese. La rivoluzione portoghese è arrivata al termine di 13 anni di guerra coloniale in Angola, Mozambico e Guinea, mentre in Portogallo la resistenza al regime ha visto lo spargersi del sangue di molti. Dare alla rivoluzione portoghese il nome di un fiore è solo un ulteriore modo per eliminare questa complessità e fare il gioco ci chi non ha piacere che si parli di conflitto.

Un altro elemento spesso dimenticato è ciò che è avvenuto a seguito del 25 aprile 1974: un periodo di un anno e mezzo di grande euforia rivoluzionaria chiamato PREC, in italiano Processo Rivoluzionario in Corso. La rivoluzione inizia il 25 aprile 1974 e finisce quindi più di un anno e mezzo dopo.

È proprio da qui che si ricomincia: il 25 novembre 1975 un controgolpe militare chiude il processo rivoluzionario. Fatalmente, in quei giorni (il 20 novembre) muore il generale Francisco Franco, che cede i poteri a Juan Carlos di Spagna, che avvia il processo di transizione democratica. O per meglio dire: una transizione democratica fatta comunque attraverso i quadri e gli esponenti del regime fascista.

Si chiude così la stagione calda dei movimenti nella penisola iberica e si apre un periodo di riassestamento del potere economico e politico.

È la fine del 1975. Alla fiammata conclusiva del decennio caldo italiano in fondo manca poco. Poi tutto si riassesta.

Anche attraverso uno sguardo storico, l’Europa è più unita di quel che sembra.

4. Memoria e auto-organizzazione

È possibile festeggiare il 25 aprile senza eliminare la memoria del controgolpe del 25 novembre 1975?

Le celebrazioni del 25 aprile (quello portoghese) sono sempre esistite e sono sempre state molto sentite. Il luogo più significativo è il Largo do Carmo a Lisbona, dove si trova l’antica sede della della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana attiva durante il fascismo) e dove quarant’anni fa i militari comandati dal capitano Salgueiro Maia, sostenuti da una forte spinta popolare (un altro “particolare” che spesso viene omesso, ben visibile qui), ottengono le dimissioni del primo ministro portoghese Marcelo Caetano.

Certo, nelle celebrazioni classiche alcune cose sono cambiate: i distinguo e le dissociazioni degli esponenti politici sono sempre più significativi, mentre i militari che guidarono il golpe della rivoluzione, i cosiddetti capitani di Aprile, sono assenti da tre anni dalle commemorazioni ufficiali in parlamento, in polemica con il governo e con il Presidente della Repubblica. Il dibattito di quest’anno ha avuto la conseguenza di rompere il fronte della commemorazione già prima abbastanza disunito: da una parte le commemorazioni parlamentarie, al Largo del Carmo i Capitani di Aprile a tenere un discorso sulla necessità di una nuova rivoluzione, mentre nelle strade principali della città la manifestazione consuetudinaria.

Il dato certo è comunque che il 25 aprile non si tocca. Il 25 aprile è una festa. Tuttavia questi festeggiamenti recano con sé i segni di una memoria zoppa: ricordare la rivoluzione senza la reazione, senza vedere in essa le origini della situazione attuale, rischia di essere un’operazione di oblio piuttosto che di memoria.

Che fare dunque?

L’idea viene da un piccolo gruppo informale di Lisbona: convocare una manifestazione che si distacca da tutte e altre, nella sera del 24 aprile. Un distacco fisico e politico nel tentativo di dare un senso alla memoria storica, compiendo un’azione pratica.

Il luogo deputato a ospitare la manifestazione è sempre il Largo do Carmo, che però, a differenza di quanto avviene solitamente per le manifestazioni, non viene chiesto ufficialmente.

Per realizzare la manifestazione viene diffuso un comunicato semplice ma incisivo, presente sul blog riosaocarmo.wordpress.com: “Non è un caso che vogliamo tornare in questo luogo. Non è solo perché sono 40 anni che questo Largo si è riempito di gente che non obbedì alle indicazioni del Movimento delle Forze Armate di rimanere in casa, ma perché vogliamo vivere e reclamare lo spazio pubblico”.

Il comunicato però ha un’indicazione netta: nessuno delega niente a nessun altro, affinché questa manifestazione esista ci deve essere auto-organizzazione. Al largo del Carmo si arriverà solo attraverso manifestazioni auto-organizzate e autoconvocate che partiranno da vari punti della città.

Come? Da chi? Dove? Non vengono fornite ulteriori indicazioni.

La manifestazione viene chiamata: “Todos os rios vão dar ao Carmo”, tutti i fiumi al largo del Carmo. Inizialmente le convocazioni sono poche, ma la proposta genera un meccanismo di moltiplicazione. Diverse persone, attivisti e non, si sentono chiamati in causa e probabilmente non si rispecchiano nelle commemorazioni consuete. Internet è il motore della divulgazione, ma fondamentali sono le piccole assemblee che si formano in diversi luoghi della città.

Partecipano anche i collettivi, non più di una decina: i comunicati autonomi di convocazione sono 31.

Tra questi si possono leggere analisi più o meno semplici, lampi di genio (“PREC’s not dead!”) e voci di diversi soggetti più o meno abituati all’attivismo politico. L’intento non è comunque quello di prendere l’auto e di andare in una manifestazione in centro, ma convocare più persone possibile e unirsi ad altri che non si conoscono. I fiumi, i piccoli cortei che arrivano al Largo do Carmo, sono 24: alcuni attraversano il Tejo col traghetto, altri si danno appuntamento alla stazione di Cascais per prendere il treno, altri ancora attraversano le fermate della metropolitana: qui.

Diversi spezzoni organizzano striscioni, altri si organizzano con il megafono, i cori della città (tra i quali lo storico Coro de Achada) si organizzano per cantare altre canzoni di lotta, aldilà alla classica Grândola.

Sul cosa fare una volta arrivati al largo del Carmo le parole d’ordine sono vaghe e anche nelle assemblee la confusione non ha permesso una linea chiara, ma l’elemento principale è chiaro: si tratta di reimpossessarsi di un luogo simbolico e renderlo vivo. Nella disorganizzazione l’importante è fare chiasso, cantare, battere col cucchiaio sulle pentole: una festa. Nessuno va troppo oltre questa indicazione e questo è il risultato: qui.

Il Largo del Carmo è pieno anche se il numero dei partecipanti non è di quelli che sorprendono. Non è la rivoluzione, forse non è nemmeno un movimento.

Tuttavia la moltiplicazione delle iniziative e il sorgere di gruppi spontanei è un dato significativo, specialmente in un Paese che in cui le forme di auto-organizzazione radicate sono poche. Ciononostante, il pregio di questa manifestazione risiede però nel tentativo comunque riuscito di dare un impulso affinché si generino piccole forme organizzative.

Per chi ha attraversato i movimenti degli ultimi anni è stato anche un modo per riannodare i fili, un primo tentativo per costruire assemblee e rompere la sfiducia che si respira fuori e dentro le singole mobilitazioni. Un esperimento da ripetere.

Il dibattito dei 30 anni dal 25 aprile rimane nella storia per la scritta Revolução con o senza “R”, indicando l’evento rivoluzionario come una “evoluzione”. Quest’anno, per alcuni, il 25 aprile è stata l’occasione per costruire collettivamente una memoria storica differente. Come riportato sul blog L’obéissence est mort, la manifestazione Todos os rios vão dar ao Carmo non è molto, ma almeno dà una linea su cui ragionare. Che in un momento di bassa, nell’epoca in cui la Storia diventa un feticcio, è già qualcosa.

plv
con la collaborazione di João Baia