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Libia / La Nato ha fretta

La guerra procede lentamente: le forze di Bengasi restano militarmente inferiori all’esercito di Gheddafi nonostante il dominio aereo dell’alleanza, che ora prepara gli elicotteri

28 Maggio 2011 - 18:19

di mazzetta da Altrenotizie

Mentre i profughi e i migranti continuano ad arrivare a Lampedusa a centinaia, nel nostro paese si è spenta l’attenzione per la guerra in Libia. Non si gioca più con la paura delle ondate di migranti islamici e l’interesse dei media è calato fin quasi a zero. Nella disattenzione generale la soluzione sul campo evolve lentamente verso quella che sembra un’inevitabile sconfitta di Gheddafi, tanto che la prossima settimana è previsto l’arrivo in Libia del presidente sudafricano Zuma che arriva a porgere a Gheddafi un’offerta d’asilo concertata con la Turchia. Si continua quindi a procedere in ordine sparso, tra le iniziative di alcuni paesi e l’escalation militare sul campo delle potenze occidentali.

Escalation che fin da subito ha tradito il mandato ONU, che prevedeva la protezione della popolazione civile e non il generare una guerra civile che al momento della risoluzione era impossibile per l’inadeguatezza militare dell’opposizione a Gheddafi. Fin da subito si è capito che i ribelli non erano preparati a combattere e, nonostante il genuino entusiasmo di alcuni, non ne avevano neppure tanta voglia.

La ribellione libica è scoppiata sulle ali dell’entusiasmo per le rivoluzioni nei paesi vicini, ma sarebbe finita ben presto senza l’intervento occidentale. Intervento che per ora si è sostanziato in una sequenza d’azioni difficilmente inquadrabili nel mandato ONU. Da una parte c’è stata la corsa al riconoscimento del governo alternativo di Bengasi e dall’altra un’azione volta a porlo come istanza legittimante di una campagna militare sulla quale non ha alcun controllo e che è gestita alternativamente dalla NATO e dai più attivi tra i suoi membri.

Dopo i bombardamenti aerei contro le forze di Gheddafi si è passati velocemente al bombardamento di Gheddafi. I beni del regime depositati in Occidente sono stati congelati e stornati in parte al governo di Bengasi, al quale sono stati forniti aiuti umanitari, “equipaggiamenti militari non letali” (sistemi di comunicazione, divise, mezzi) e addestramento, anche grazie all’impiego di mercenari di compagnie militari private occidentali. Ma tutto questo non è bastato, il governo di Bengasi non riesce a mobilitare una leva militare in grado di fronteggiare le truppe professionali di Gheddafi, nemmeno con il dominio aereo assicurato dall’Alleanza. Così si attendono a giorni alcune squadre di elicotteri da battaglia della NATO, che però hanno qualche problema con quella parte della risoluzione ONU che vieta la fornitura di armi e l’ingresso di truppe straniere nel paese.

Non che la risoluzione abbia ormai alcuna importanza, è stata chiaramente sovvertita e a poco sono valse le proteste di alcuni paesi che pure l’avevano votata, la Russia su tutti. Ma un minimo di decenza bisognerebbe conservarla, visto che poi è lo stesso diritto internazionale che si straccia quello che poi s’invoca per avere mano libera contro i nemici.

Gheddafi è riuscito a sfuggire ai numerosi tentativi d’assassinarlo e ancora oggi non offre segno di voler lasciare il potere e il paese. Ha offerto la cessazione delle ostilità più volte, ma gli hanno risposto che non gli credono, perché è chiaro che se si fermano i combattimenti viene meno la ragione ufficialmente primaria dell’intervento, la protezione dei civili.

Gheddafi non avrà tregua e rischia di non aver nemmeno modo di valutare l’offerta di esilio, dopo che l’inutile procuratore della Tribunale Penale Internazionale, Luis Moreno Ocampo, ha aperto un procedimento contro di lui. Strana corte quella del TPI, dalla sua creazione ha perseguito solo criminali di stato africani e rigettato tutte le denunce contro i paesi “bianchi”, dalla Russia agli Stati Uniti. Tanto che Gheddafi è il primo accusato a non essere di carnagione scurissima.

Nonostante il lento evolvere della situazione il destino del leader libico sembra comunque segnato, ha sempre meno consenso e tra le sue fila aumentano le defezioni di ministri e collaboratori che hanno annusato l’aria e sono passati al nemico. Si può solo sperare che la fine della sua influente presenza in Libia arrivi al più presto, perché fino ad allora in Libia si morirà per nulla e per interessi che difficilmente sono identificabili con quelli del popolo libico.