Acabnews Bologna

“Libertà di dimora!”

Campagna sul web a seguito dei divieti di dimora a due attivisti di Hobo. Tra le prime adesioni Zerocalcare, gli scrittori Pino Cacucci e Valerio Evangelisti, l’economista Andrea Fumagalli.

13 Maggio 2015 - 19:20

zerocalcare-lddUna campagna, con tanto di logo disegnato da Zerocalcare e appello pubblico da sottoscrivere, contro le misure preventive “di stampo fascista” che la magistratura bolognese emana “in modo discrezionale” a chi “pratica dissenso”. E’ stata lanciata oggi, due settimane dopo i divieti di dimora per due attivisti, in una conferenza stampa davanti alla Procura, a cui ha partecipato anche Andrea Fumagalli, docente di Economia all’Università di Pavia e professore incaricato esterno per l’Alma mater, dove insegna Informatica per il management. Ha spiegato di conoscere i ragazzi colpiti dalle misure per aver “partecipato a dei dibattiti con loro sulla crisi”. Parte da una citazione di  Dante Alighieri, le parole di Cacciaguida sull’esilio (“Tu lascerai ogni cosa diletta” e “proverai sì come sa di sale lo pane altrui”): “Come Dante se la prendeva soprattutto con i fiorentini che non hanno fatto niente per impedire l’esilio, così io mi stupisco come i docenti, il corpo accademico e gli insegnanti di questa Università, siano così sordi rispetto a questi provvedimenti, che in maniera del tutto discrezionale, senza nessuna prova concreta, dispongono in maniera unilaterale la riduzione della libertà di circolazione. Tutto questo in un contesto in cui gli studenti e coloro che sono sottoposti a un processo formativo dovrebbero sviluppare una capacità ampia, critica e diversificata. Provvedimenti di questo tipo sono finalizzati a impedire che si possa sviluppare all’interno di una delle Università più prestigiose un’analisi critica che non sia allineata ai dettami del mainstream sopratutto per quanto riguarda l’analisi sociale ed economica”.

Secondo i promotori della campagna, le misure a Loris e Parvis “negano la presunzione di innocenza” perché emesse  “senza un processo e senza che i fatti di cui sono accusati Loris e Parvis siano stati accertati”. Sono misure, dicono, che “trovano radici nel ventennio fascista, quando chi non si uniformava al pensiero del partito unico dominante veniva relegato al confino o alla reclusione”.11229309_1641386602757871_872291876107415902_n La procura, continuano, ha agito “in modo politico per reprimere il dissenso, ha dimostrato di rientrare perfettamente nel sistema di potere del Pd”, in cui “la Legacoop è il soggetto economico e Comune, Università e Procura sono i soggetti politici”.

Alla conferenza stampa di oggi c’erano anche due ragazzi rimasti feriti nelle cariche della Polizia di domenica 3 maggio alla Montagnola: “Andremo a denunciare la Procura e la Polizia per i fatti accaduti il 3 maggio”, annunciano.

Su facebook, intanto, circolano le prime adesioni. Tra di esse, quella degli scrittori Pino Cacucci (foto a destra) e Valerio Evangelisti, che scrive: “Mancano solo il confino e il domicilio coatto. Ogni governo, quando non riesce a contenere la protesta sociale, si fa regime. Non fa eccezione quello attuale, la cui vocazione autoritaria è esibita ogni giorno. Da sempre, però, la repressione genera un’opposizione ancor più radicale e di massa. Accadrà anche questa volta”.

> Il comunicato:

#‎LibertàDiDimora‬: presentazione della campagna

Il 29 aprile 2015 Loris e Parvis, due studenti dell’Alma Mater di Bologna, sono stati portati in questura e hanno ricevuto una misura che li ha trasformati in clandestini nella città in cui vivono, costringendoli nel giro di poche ore a fare i bagagli, abbandonare la propria casa e allontanarsi fino a data da destinarsi. Si chiama divieto di dimora, misura cautelare preventiva che obbliga le persone colpite ad allontanarsi dal luogo in cui risiedono, dalla città in cui hanno scelto di vivere e nella quale hanno costruito nel tempo legami affettivi, percorsi formativi e lavorativi, progetti politici e sociali. Ciò che questa misura tenta di colpire e dissolvere è quindi anche tutta quella rete di socialità attivata nella città in cui si vive e attraverso la quale si cerca di resistere collettivamente alle conseguenze e ai costi della crisi che invece si vorrebbero abbattere interamente sul singolo atomizzato, reso solo e docile. Loris e Parvis non possono dunque rientrare a Bologna e in tutta la provincia, pena l’arresto.

Il divieto di dimora è emesso dalla procura in via preventiva, cioè senza processo e senza che i reati ipotizzati siano verificati e dimostrati. Negli ultimi anni Bologna ha la dubbia fama di essere diventata un laboratorio di sperimentazione di questo specifico dispositivo di negazione del dissenso. I divieti di dimora sono paradigmatici delle misure cautelari preventive sempre più usate a partire dalla fine degli anni Novanta: agiscono in modo arbitrario, negano il principio della presunzione di innocenza, colpiscono le forme di vita delle persone che si impegnano politicamente, fino ad arrivare a privarle dell’abitazione e della libertà di scegliere dove vivere, quali spazi attraversare e in quali tempi. A differenza della “tradizionale” galera, con queste misure lo Stato non paga neppure i costi economici e politici della pena preventiva: non deve cioè affrontare le spese di detenzione, con il vantaggio aggiuntivo di far passare sotto silenzio l’operazione di fronte all’opinione pubblica. I costi vengono totalmente esternalizzati su chi subisce la pena. All’oggi in tutta Italia ci sono centinaia di persone, soprattutto giovani e giovanissimi, che vengono sottoposti a misure cautelari preventive di diversa natura per il loro impegno politico e sociale: la libertà di espressione, vessillo di tutti dopo i fatti di Parigi, è così sistematicamente negata.

Le misure cautelari sono comminate sulla base di una presunta pericolosità sociale: sotto lo sguardo arbitrario del questore prima e del gip poi si traccia un profilo psicologico e morale dei soggetti, attraverso cui si sostiene che costituiscono una potenziale minaccia per l’ordine pubblico. Come ci ricorda Foucault, “la nozione di pericolosità significa che l’individuo deve essere considerato dalla società a livello delle sue potenzialità, e non a quello dei suoi atti; non a livello delle infrazioni effettive a una legge effettiva, ma al livello delle potenzialità di comportamento che esse rappresentano”. Ma cos’è dunque socialmente pericoloso, la crisi o chi crea reti di solidarietà, l’impoverimento o chi vi si oppone? Come il caso di Loris e Parvis dimostra, insieme a tanti altri dello stesso tipo, sono invece ritenuti socialmente pericolosi e non tollerati coloro che difendono l’università dalla privatizzazione, che praticano l’autogestione degli spazi e dei saperi, che si schierano al fianco dei facchini migranti contro le condizioni di sfruttamento loro imposte, dei lavoratori impoveriti e dei disoccupati minacciati di sfratto, che si oppongono alla precarietà lavorativa ed esistenziale, allo smantellamento dei diritti, alla militarizzazione degli spazi pubblici, alla privazione della libera espressione. Dunque, oggi in Italia il dissenso e la dignità vengono puniti in quanto socialmente pericolosi.

Poco importa se queste pratiche giuridiche mettono in dubbio il garantismo che dovrebbe essere alla base di uno stato di diritto democratico. Non stupisce infatti che misure come il divieto di dimora trovino la propria origine nel ventennio fascista, quando chi non si uniformava al pensiero del partito unico dominante veniva relegato al confino o alla reclusione. Poche settimane fa si è celebrata la “Liberazione” e i comizi in cui venivano ricordati nonni e parenti partigiani sono stati infiniti, ma come si pratica la libertà oggi se chi tenta di difendere l’università e la scuola, i diritti e il welfare, può essere cacciato da un giorno all’altro senza destare indignazione? Come se non bastasse, a rendere ancora più abietto tale provvedimento è il fatto che si utilizzano politicamente, per reprimere il dissenso, misure che precedentemente erano state comminate per reati infami come le violenze domestiche contro donne e bambini.

Facciamo dunque appello a tutti e tutte coloro che hanno a cuore la libertà, che affermano il garantismo, che vogliono “un mondo più giusto, libero e lieto”: invitiamo a una presa di parola plurale contro queste odiose misure, nelle forme che si ritengono migliori, ognuna delle quali verrà raccolta sulla pagina facebook e fatta circolare.
A essere socialmente pericolose sono queste misure cautelari preventive. Perché laddove non c’è dissenso, non c’è libertà.

Libertà di dimora

* * * * * * * * * *

> L’appello:

E presto ciò che avremo tanto amato dovremo abbandonare

Viene inverno: una pena antica geme
Dentro i macigni dei duomi potenti.
Forse è il segno promesso – e non pregare
Felici i giorni vili, il sonno morto
Che ora grava la mia nemica città.
Tutta la notte si dovrà vegliare
Soli e vicini in ascolto
Del passo ancora lontano.
(Franco Fortini, “Di Maiano”, da Foglio di via e altri versi, 1946)

Forse lo ignorate, perché rimanete convinti di vivere in un luminoso regime democratico, ma la ricerca della libertà, una ricerca che non si accontenti del simulacro allestito per tutti noi dal neoliberismo, si paga oggi come si pagò in passato. Questo tempo senza coraggio che ci vuole schiavi sotto ricatto, rigetta come impossibile e non necessario qualsiasi atto di insubordinazione. Bisognerà, perciò, porsi con forza a salvaguardia di coloro che, in un contesto difficile come questo, lungo la strada in salita e senza scorciatoie della crisi infinita, cercano di modificare, per migliorala, la vita quotidiana, di trasformare la società, l’università, la città, mettendo a disposizione tutto di se stessi, accettando interamente di assumersi quella responsabilità a cui tutti e tutte dovremmo sentirci chiamati/e se vogliamo dare un senso alla nostra esistenza.

Forse non lo sapete, ma passano gli anni, addirittura i secoli e ciò che veniva chiamato “esilio”, e durante il fascismo venne aggravato dal “confino” (ricordate gli internamenti a Ventotene, Ustica, Lipari?), oggi si chiama “divieto di dimora”. Nel 2015, a Bologna e in altre città d’Italia, chi esprime dissenso, chi non si adegua allo status quo (precarietà, lavoro gratuito, fabbrichismo dei saperi, soppressione di ogni libero pensiero, controllo di ogni spinta all’autodeterminazione), viene ancora costretto all’“esilio”. Tutto questo senza neppure che le accuse vengano comprovate, alla faccia dello stato di diritto.

Tra gli altri, Loris e Parvis, due studenti dell’università di Bologna, il 29 aprile 2015 sono stati costretti, per ordine della procura bolognese, a recuperare in fretta le proprie cose, fare una valigia e abbandonare Bologna nel giro di poche ore. Accusati di aver opposto resistenza allo sgombero di uno spazio autogestito degli studenti all’interno dell’università più antica d’Europa. Forzati a emigrare, lasciando affetti, relazioni, il loro impegno sociale e di studio.

L’applicazione di misure cautelari di questo tipo si va diffondendo: misure che colpiscono direttamente la vita perché la sottraggono al tessuto di rapporti in cui la vita si sviluppa, e per di più senza oneri per lo Stato. Le stesse, atroci, misure di repressione della libertà di circolazione che vengono imposte dall’Europa di Schengen ai migranti e ai rifugiati che scappano dalle situazioni infami create dagli stessi governi occidentali, oggi sono sempre più frequentemente applicate a chi manifesta dissenso politico.

È il codice Rocco (promulgato durante il fascismo) a prescrivere che “il divieto di soggiornare in uno o più comuni o in una o più Provincie” si possa imporre “al colpevole di un delitto contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico, ovvero di un delitto commesso per motivi politici”. Perciò, nulla di nuovo. Siamo sempre alla stessa pagina della storia. Non deve sembrare insolente ricordare i precedenti illustri, poiché ciò che ha mosso tanti e tante nel corso del tempo, è sempre, nella diversità delle forme assunte dal potere, la stessa spinta a non soggiacere alle sue prescrizioni e alla sua forza, battendosi per un futuro diverso.

In fondo, come successe a Dante – condannato nel 1302 all’esilio perpetuo da Firenze «per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, proventi illeciti, pederastia […] e se lo si prende, al rogo, così che muoia» – oppure a Machiavelli – che nel 1513 affrontò l’esilio dalla politica per salvarsi dalla prigione e dalla tortura – per non dire di Antonio Gramsci, Carlo Rosselli, Emilio Lussu, Sandro Pertini, Umberto Terracini, Camilla Ravera, Altiero Spinelli, Loris e Parvis, sono accusati di esprimere il loro dissenso, questa volta contro le logiche di privatizzazione e di mercificazione del sapere universitario.

L’autoritarismo si espande, conquista spazi, prova a imporsi a tutti i livelli. Le libertà d’espressione, di azione e di movimento sono sempre più soggette a restrizioni. Bisogna dirsi solidali perché ciò significa rendersi responsabili gli uni degli altri e costruire reti, sostenendo i comuni fini che ci muovono, cioè il comune desiderio di costruire un mondo completamente diverso.

I sottoscrittori di questo appello vogliono denunciare un crinale repressivo che ben si inquadra in una situazione di crescente e grave impoverimento economico nonché nel clima di “regressione costituzionale” che oggi si vorrebbe imporre. I sottoscrittori di quest’appello intendono denunciare la deriva punitiva in atto, chiedendo il ritiro di un provvedimento di natura fascista e in contraddizione con lo stato di diritto come è il “divieto di dimora” che è stato imposto a Loris e Parvis.

> Per firmare l’appello: inviate un messaggio alla pagina fb “Libertà di dimora” o all’indirizzo libertadidimora@gmail.com