Quattromila migranti sbarcano ogni giorno sull’isola una crisi umanitaria a cui il paese non riesce a far fronte. Quando scoppiano proteste la polizia risponde con manganelli e lacrimogeni.
Di Ilaria Rossi da Melting Pot
La marcia dei migranti verso l’asilo promesso ha da qualche giorno conquistato il pubblico europeo, già quasi dimenticatosi di quel bambino respinto sulla spiaggia di Bodrum (Turchia) da una delle barriere più spietate, il mare. Quella tragica immagine, oltre ad averci riportati alla cruda realtà, testimoniava anche le drammatiche condizioni in cui versano i rifugiati diretti verso le coste della Grecia.
Da giorni, o meglio, da mesi ormai, migliaia di persone sbarcano ogni giorno sulle coste delle isole greche di Kos e Lesbo, ormai sull’orlo del collasso.
Dai dati dell’International Rescue Committee (IRC) si stima che attorno ai 260.000 rifugiati siano sbarcati sulle isole a est della Grecia.(1)
A Lesbo, prima uno dei posti più visitati in una Grecia già in serie difficoltà, i turisti sono stati rimpiazzati da decine di migliaia di profughi e dalle forze di polizia, quest’ultime evidentemente incapaci di gestire una simile emergenza.
Secondo le statistiche dell’organizzazione Welcome 2 Lesvos più di 33.000 rifugiati sono giunti a Lesbo nel mese di agosto 2015 (2), mentre si stima che il numero di persone bloccate sull’isola attualmente si attesti attorno alle 20.000 (3), 17.000 secondo i dati dell’UNHCR.(4)
Il personale dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) presente sull’isola parla di più di 12.000 migranti arrivati sull’isola tra l’1 e il 5 settembre, mentre a Kos sono sbarcate 3.000 persone dall’inizio di questo mese.(5)
Secondo la giornalista Natasha Tsangarides, di New Internationalist, tra le 2.000 e le 4.000 persone giungono a Lesbo ogni giorno su imbarcazioni e gommoni di fortuna, al ritmo di quasi sei sbarchi all’ora.(6)
Ciò che accade a Lesbo è una vera e propria crisi umanitaria a cui il governo greco e le autorità locali, già fortemente provati dalla crisi, non riescono a far fronte. A Lesbo mancano strutture, mezzi, operatori, un efficacie sistema di accoglienza e di registrazione. Migliaia di persone continuano ad arrivare sull’isola e a rimanervi bloccate data la lentezza e la disorganizzazione delle procedure di registrazione, nonostante la guardia costiera e le forze di polizia collaborino da giorni per velocizzare il processo.(7)
Per poter salpare verso il continente europeo attraverso uno dei traghetti messi a disposizione dalle autorità greche, è infatti necessario completare la procedura di identificazione e registrazione. I migranti sono così costretti ad accamparsi al porto in attesa di poter ripartire per continuare il loro viaggio. L’inefficienza e la lentezza delle procedure, la scarsità di aiuti e di mezzi hanno contribuito ad accendere le proteste dei rifugiati, sfociate in numerosi scontri tra la polizia e gruppi di rifugiati che manifestavano per le condizioni disumane a cui sono costretti sull’isola.
La situazione è andata peggiorando a partire da venerdì 4 settembre, quando centinaia di profughi hanno tentato di salire a bordo di un traghetto e la polizia li ha dispersi con i gas lacrimogeni, chiudendo anche l’accesso al porto. Altri scontri si sono verificati lo scorso fine settimana, quando la polizia ha risposto alle proteste a colpi di manganello, arrivando a picchiare uomini, donne e bambini indiscriminatamente (8). Il deteriorarsi della situazione ha portato il sindaco di Mitilene, Spyros Galinos, a chiedere al governo centrale di dichiarare lo stato di emergenza sull’isola.
Il flusso continuo di persone che si riversano a Lesbo e l’impotenza delle autorità elleniche nel farvi fronte risultano in una quasi totale mancanza di strutture, mezzi e personale di accoglienza. Dal momento dello sbarco, non essendoci sufficienti autobus per trasportare le migliaia di persone che arrivano ogni giorno, gran parte dei migranti devono affrontare un lungo e faticoso cammino dal principale punto di sbarco, Molyvos. Per oltre 50km essi sono costretti a camminare sotto il sole cocente dell’estate greca per raggiungere la città di Mitilene, e, finalmente, il porto. A tal proposito, l’IRC sta tentando di installare un punto di registrazione anche a Movylos. (10) Mancando anche strutture di accoglienza, i rifugiati non possono fare altro che accamparsi nei dintorni del porto, lungo le strade, o attorno al perimetro dei centri di accoglienza, sperando di ricevere un trattamento per lo meno emergenziale.
I centri di accoglienza presenti a Lesbo, Kara Tepe e Moria, sono stipati di persone, tanto che il numero di migranti accampati al di fuori delle strutture supera ormai quello di coloro che vi risiedono. L’ONG Medici Senza Frontiere (MSF) riporta che a Kara Tepe, pensato per ospitare 500 migranti, per lo più siriani, vivono 2.000 persone, mentre a Moria, un centro di detenzione, si trovano 700 persone, assieme ai 3.000 rifugiati che vi campeggiano nei dintorni (11). Non è difficile immaginare in quali condizioni versino Kara Tepe e Moria, quest’ultima inaccessibile al pubblico in quanto centro di detenzione. Gli operatori dell’IRC denunciano le condizioni di squallore in cui migliaia di persone sono costrette a vivere, aspettando di essere registrate per poter lasciare l’isola su uno dei traghetti messi a disposizione dal governo. A Kara Tepe non vi sono bagni né docce sufficienti, così come insufficiente è il sistema di distribuzione di cibo e acqua. A Moria la situazione è ancora più tragica: mancano agenti di polizia e personale sanitario, non ci sono dottori, cibo e acqua scarseggiano e gruppi di persone armate si aggirano all’interno dell’area (12). Lo scorso 2 settembre, una signora somala di 47 anni è morta appena fuori Moria per un’insufficienza cardiaca a causa della mancanza di un sistema di assistenza medica (13).
Le tragiche condizioni in cui versano i rifugiati e l’isola hanno presto portato all’esasperazione anche dei suoi cittadini, talvolta sfociata in proteste nei confronti delle autorità, altre volte nel blocco dell’accesso ai nuovi centri di registrazione. Non sono mancati anche episodi deprecabili, come la vendita di bottigliette di acqua del valore di 50 centesimi a prezzi maggiorati di 4 – 5 euro l’una.
Nonostante ciò, una parte della cittadinanza si adopera da mesi ormai per alleviare la sofferenza dei rifugiati provvedendo alla distribuzione di generi alimentari e acqua, e offrendo assistenza medica di tipo emergenziale. Gruppi di solidarietà come O Allos Anthropos (L’altro umano) operano in zone come Kara Tepe per distribuire ai migranti pasti caldi e anche un po’ di conforto (14).
La solidarietà dimostrata dai volontari e dai cittadini di Lesbo serve anche ad arginare l’assenza di un numero consistente di organizzazioni internazionali rispetto all’entità del problema. Gruppi come IRC, Médecins du Monde e Medici Senza Frontiere, sembrano essere le uniche organizzazione ad operare stabilmente all’interno dei centri di accoglienza. A monitorare la situazione si aggiungono anche gli operatori dell’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, in stretto contatto con le autorità dell’isola e del governo centrale. La presenza dell’UNHCR rimane invece controversa: nonostante sia di fatto operante sull’isola si sono registrati diffusi malumori sulla insufficienza e l’intermittenza della missione, specialmente nella zona portuale, dove i rifugiati sono stati costretti a chiedere aiuto (cibo e acqua) ai giornalisti presenti. Secondo quanto riportato dalla giornalista Natasha Tsangarides il 7 settembre, l’UNHCR avrebbe distribuito un totale di 7,400 bottigliette di acqua fin dall’inizio del suo operato, l’equivalente di quanto distribuito dai volontari locali in due giorni (15).
È dunque chiaro che al ritmo di 4.000 arrivi giornalieri l’isola di Lesbo è condannata a soccombere, così come le migliaia di rifugiati che la affollano. Chiare sembrano anche essere le priorità a cui far fronte, come la dotazione di strutture per l’accoglienza e la registrazione, l’impiego di più personale e meglio qualificato (come la necessità di mediatori culturali, soprattutto arabofoni) e di mezzi di trasporto sufficienti, autobus e traghetti in prima istanza. Tuttavia, il governo ellenico non sembra essere in grado di contrastare una simile emergenza da solo, a maggior ragione considerando lo stato in cui versano le sue finanze ormai da tempo. Sembra dunque necessario un aiuto esterno, a livello europeo e internazionale, così come hanno suggerito fino ad ora le altrettanto drammatiche immagini che giungono dal confine serbo – ungherese. E mentre Obama promette di dare asilo a non meno di 10.000 rifugiati siriani (numero considerevolmente piccolo data la capienza e la portata dell’economia americana) (16), il 14 settembre, l’incontro tra i Ministri dell’Interno e della Giustizia dell’Unione Europea è stata l’ennesima farsa, consumata ancora una volta sulla pelle di migliaia di bambini, donne e uomini.
(1) As refugees crowd onto Lesbos, the IRC is providing vital information and registration services, IRC, 9 settembre 2015.
(2) Update: arrivals in Lesvos, Welcome 2 Lesvos, 24 agosto 2015.
(3) Police violence in the port of Mytilini, Welcome 2 Lesvos, 6 settembre 2015.
(4) Refugee crisis: Lesvos is a waiting hell, Natasha Tsangarides, New Internationalist, (7) settembre 2015.
(5) IOM Monitors Migrant Arrivals, Deaths in Italy, Greece and Spain, IOM, Press Release, 8 settembre 2015.
(6) Refugee crisis: Lesvos is a waiting hell, Natasha Tsangarides, New Internationalist, 7 settembre 2015.
(7) Refugee crisis: Lesvos is a waiting hell, Natasha Tsangarides, New Internationalist, 7 settembre 2015.
(8) Police violence in the port of Mytilini, Welcome 2 Lesvov, 6 settembre 2015.
(10) As refugees crowd onto Lesbos, the IRC is providing vital information and registration services, IRC, 9 settembre 2015.
(11) Refugee crisis: Lesvos is a waiting hell, Natasha Tsangarides, New Internationalist, 7 settembre 2015.
(12) Refugee crisis: Lesvos is a waiting hell, Natasha Tsangarides, New Internationalist, 7 settembre 2015.
(13) Unbearable conditions in refugee camp around the detention centre of Moria, Welcome 2 Lesvos, 2 settembre 2015.
(14) This kid came to ask how much the food cost, I told him it was free, Annia Ciezadlo, Upworthy, 10 settembre 2015.
(15) Refugee crisis: Lesvos is a waiting hell, Natasha Tsangarides, New Internationalist, 7 settembre 2015.
(16) Obama increases number of syrian refugees US resettlement to 10,000, Gardiner Harris, David E. Sanger and David M. Herszenhorn, The New York Times, 7 settembre 2015.
(17) Refugee crisis: Lesvos is a waiting hell, Natasha Tsangarides, New Internationalist, 7 settembre 2015.