Opinioni

Leggendo “La controrivoluzione preventiva” di L. Fabbri

In vista dell’imminente Festival Sociale delle Culture Antifascista ripubblichiamo questo contributo che apre il dibattito per il tavolo di lavoro sul neofascismo.

14 Maggio 2010 - 10:47

Da Umanità Nova

“Pur minoranza”

Fabbri scriveva a proposito di quella “pur minoranza” di operai che erano entrati in quelle leghe “autonome” che erano filiazione del fascismo, nei primissimi anni venti:

“Purtroppo è penoso constatare che in alcuni lavoratori la coscienza di classe ed il senso di dignità siano così scarsi da non comprendere l’umiliante perché della preferenza dei padroni per gli inscritti ai sindacati fascisti o raccomandati da loro… Ma la colpa non è la loro. La colpa è della cattiva educazione data alla massa operaia, specialmente in certe plaghe in cui socialista equivale a leghista [si parla qui di leghe operaie e contadine] e tutto il socialismo consiste nell’essere organizzato per essere pagato di più, per lavorare in migliori condizioni e anche per votare il deputato che difenda i diritti della lega o per l’amministrazione comunale che dia più lavoro alla cooperativa di mestiere.”

Sostituendo i sindacati fascisti con quelli leghisti (di oggi, cioè la Lega Nord, il partito più vicino alle pratiche ed alla metodologia del fascismo) e facendo lo sforzo di riportare a comparazione storica lo sviluppo del sistema delle cooperative che già allora cominciava a incancrenirsi in quella “educazione soverchiamente materialistica”, non si può oggi non notare un’assenza forte “di idealismo” come lo chiama Fabbri, di “costituzione morale” potremmo dire noi.

Il fenomeno leghista attuale ha saputo leggere e intervenire proprio su quel “vuoto morale” e su quella “insicurezza” (o “fluidità”) dei legami sociali, prodotto principe della cosiddetta globalizzazione.

La “piccola Patria Padana” ha potuto così costituirsi come orizzonte sia politico che sociale, ma anche, poiché tutte le comunità ne hanno in qualche modo bisogno, come “luogo identitario”. Questo è stato costruito, non senza tentativi falliti (ricordate? Una volta la Lega stava “a sinistra”) e processioni rituali, nella migliore tradizione delle comunità totemiche studiate dagli antropologi nel secolo scorso.

È la Lega che ha introdotto il populismo nel panorama politico italiano. Dietro a questo, è stata la prima a “sperimentare” la costruzione di un “nuovo paradigma politico di destra” (vi ricordate del sindaco Tosi? Del consigliere comunale Miglioranzi? Della Treviso dello “sceriffo” Gentilini?).

Il populismo oggi assume delle forme niente affatto nuove.

I progetti comuni della destra italiana

Scriveva ancora Fabbri che, secondo alcuni degli stessi “capi del fascismo”, il fascismo non poteva che essere “punto di convergenza di partiti diversi interessati a ottenere un dato fine”. Il fine era la lotta “al bolscevismo”, e cioè l’attacco diretto e indiretto alla classe popolare e proletaria, unica ragione che potesse metter d’accordo le tante anime che partecipavano a quel movimento fascista. Oggi le diverse “anime” della destra si sono raggruppate in prima istanza attorno a un capo, che indubbiamente oltre a gestire e costruire il consenso delle masse attorno a sé ha saputo coordinare tutte le diverse tendenze… Ma quali sono questi “progetti comuni” intorno ai quali si è riunita la destra italiana?

Economia

In primo luogo la cosiddetta “liberalizzazione” del mercato, su tutti quello del lavoro, incarnata dalla legge-tabù Biagi.

Ennesimo attacco alla classe lavoratrice, che ha come conseguenza la sua frammentazione, precarizzazione e definitivo assoggettamento allo “spirito del capitalismo” ben rappresentato dalla figura del consumatore, oggi tanto in auge.

A essa si accompagna un’altra “liberalizzazione”, ben strana invero, che si vuole fare a forza di dismissioni del patrimonio pubblico, di sostegni statali all’economia e all’impresa, di accordi di partenariato economico con potenze estere firmate dai governi per conto delle imprese (vedi patto Italia-Cina), di appalti internazionali e spartizioni di risorse effettuate in base alla “condivisione” della politica estera con gli Stati Uniti (Iraq, Afghanistan, Nigeria e Golfo di Guinea).

Cultura

In secondo, è attorno ai temi più propri della “morale [demo]cristiana” (aborto, divorzio, omosessualità, “vizi privati, pubbliche virtù”) che si sono stretti e si stringono i “novelli epigoni di Don Sturzo e Mussolini”, ovvero tutta quella morale cattolica che non ha mai smesso di predicare contro la fornicazione, l’adulterio, la “rettitudine sessuale” e “l’omicidio” di cellule, che non è mai arrivata né al riconoscimento dell’omosessualità né al riconoscimento dell’uso dei preservativi come contraccettivo e a difesa dalle malattie sessualmente trasmettibili. Il collante è il rifiuto e l’attacco del portato culturale e sociale del ‘68 mondiale.

Il gioco è semplice: basta invertire i termini. Aborto? No, difesa della vita! Divorzio? Familismo di seconda generazione. Contraccezione? Aiuto alle giovani coppie/madri (ma solo se prese a carico dal loro ““uomo” o dalla famiglia patriarcale).

A questa “vulgata” si associano i neo-fascisti dichiarati.

E per dar mostra della loro radicalità, si spingono fino alla Rivoluzione francese: “noi vogliamo tornare all’Ordine che c’era prima del kaos, alla Tradizione che regnava prima che il germe socialisticheggiante della Rivoluzione Francese contaminasse la società” (cfr. All’estrema destra del Padre: tradizionalismo cattolico e destra radicale, di E. Del Medico).

Conservatori, neofascisti, nazionalisti, cattolici, liberal-nazionali, insieme a uno stuolo di ex-socialisti convertiti sulla via di Hammamet, si ritrovano sotto la comune bandiera “dell’anti-sinistra”. In questo “laboratorio” nasce, ad esempio, la dichiarazione di Cicchitto sullo “stupro” fatto alla sinistra con la “presa” del Piemonte alle ultime regionali: frase che ha chiare origini nello “stupro delle negre” di Marinetti, dal quale ”sarebbe dovuto nascere l’uomo nuovo”, secondo il futurista-fascista.

Ma se dovessimo guardare alle dichiarazioni pubbliche, non basterebbero cento di queste pagine.

Società

Il piano sociale della destra italiana è fatto di corporativismo ed essenzialmente nient’altro che controllo e paura. Le “nuove” esperienze sindacali a destra (Polverini) non sono nient’altro che la riproposizione del sindacalismo fascista: un po’ dalla parte degli lavoratori, con parole forti e prese di posizione e aut-aut (“noi non firmiamo”), per il resto dalla parte dei padroni, (“sono passati due giorni, ora firmiamo””), facendosi addirittura “promotori” di proposte anti-operaie – sugli straordinari, sui premi produzione, sugli aumenti, sugli orari e sulle mansioni che venivano spacciate per “avanzamenti operai” le linee guida dettate direttamente da Confindustria, il tutto in concordia con CISL e CIGL.

Sul piano del controllo sociale e dei territori, entriamo in quanto di più “moderno” ha saputo mostrare la Destra conservatrice a livello mondiale: politica della paura per rinchiudere nelle loro case e nelle loro ristrette cerchie sociali la “brava gente”. Una storia vecchia: oggi saranno forse cambiate le “tecnologie del controllo”, ma non certo i motivi e gli obiettivi: isolare, individualizzare, terrorizzare per meglio “conquistare” menti e cuori.

“Governo dell’emergenza”, strategia della paura, costruzione del nemico sociale, razzismo e polizie altro non sono che le formule altisonanti partorite per lo stesso desiderio di sempre del potere: ottenere l’Ordine, quanto mai necessario perché continui lo sfruttamento e l’ingrasso a favore di padroni e sovrani grandi e piccoli.

Fascismo e neoautoritarismo

Ora, il quadro delineato sta al fascismo esattamente come il fascismo sta al capitalismo più in generale. Entrambi, fascismo e neo-autoritarismo attuale sono forme contingenti della necessità di comando e di governo di un sistema capitalistico nel momento in cui si comincia ad intravedere la realtà del suo stato di crisi permanente, i “limiti allo sviluppo” sono già stati raggiunti e, per certi versi, superati.

Che fare?

Non v’è dubbio alcuno che i rivoluzionari e quanti hanno a cuore le sorti della società abbiano, come diceva ancora Fabbri “a combattere il fascismo [non] lasciando indisturbato il perenne generatore [il capitalismo], ed anzi, illudersi di trovare in esso un difensore contro quello […] Uccidere il fascismo è possibile, sol che l’azione di difesa contro di lui non vada scompagnata dall’attacco alle sue sorgenti: il privilegio del potere e il privilegio della proprietà”.

Aldilà dei mezzi e degli obiettivi particolari e concreti, che ognuno sceglie, sceglierà e sta già praticando oggi con la sua attività politica, Fabbri ci lancia un monito, dal lontano 1922: “possono essere efficaci tutti i mezzi, anche i più legali e pacifici, ad un solo patto: che non si sprechino le energie proletarie in tentativi parziali, locali, o di partito; e che si sviluppi l’azione nella massima contemporaneità, non solo in tutta la nazione, ma con la partecipazione di tutte quante le forze organizzate, di tutti i partiti proletari. Non c’è bisogno, per questo, di blocchi o di fronti unici, o d’altre formazioni artificiali ed artificiose. Occorre unità morale ed unità d’intento; al resto debbono provvedere la forza di volontà e lo spirito di sacrificio di tutti”.

Ora, la “costituzione morale” o “idealità” (o, per altri ancora, semplicemente “Idea”) invocata all’inizio di questi miei appunti d’attualità è la “morale propria del rivoluzionario/a”, inteso come colui o colei che aspira a cambiare, in meglio e secondo i principi propri a questa morale, il modo di stare insieme di tutti/e, di vivere in società “tra liberi ed eguali”.

Essa non solo distingue il militante rivoluzionario dall’opportunista, o dal fascista, di turno. Ma soprattutto, essa è il “motore” stesso del processo rivoluzionario: senza “amore”, non c’è rivoluzione. Alcuni punti definiscono la “costituzione morale”

Solidarietà

La solidarietà è uno dei pilastri morali ed etici dell’azione rivoluzionaria. Può declinarsi in tante forme, essere “positiva”, nel senso che riesce ad apportare una qualche cosa di nuovo, di aggiuntivo; o può essere “negativa”, nel senso che va nella direzione della difesa di qualcuno (individuo o collettività) nel momento in cui sono posti sotto attacco i suoi diritti, la sua dignità, la sua libertà.

Chiaramente, trattandosi ora di “anni bui”, è la seconda forma che vediamo prevalere, nella pratica di movimento e della società. Ma è alla prima che dobbiamo ogni giorno guardare, perché è là che si comincia a porre i mattoni per costruire la nuova società per la quale lottiamo.

Libertà

La libertà è stata definita in svariati modi nella storia delle idee. Mi limito qui a dire che essa ha sempre a che fare con la dignità della persona da un lato, e con la “natura sociale” dell’essere umano dall’altro. Che questo semplicemente possa servire da guida: non ci sentiremo mai “più liberi” quando ci viene tolta la possibilità di entrare in relazione con altri “uguali e diversi”. “Uguali” nello spirito dell’incontro e sul piano dell’assenza di presunte “gerarchie umane” di cui bisognerebbe tener conto prima di rivolgere la parola; “diversi” per la ricchezza di esperienze, di gusti, di inclinazioni. La libertà sta dentro entrambe queste parole, le contiene e le qualifica.

Giustizia

La giustizia viene così a essere prodotto diretto dei primi due concetti, solidarietà e libertà. Non solo come forma riparatoria, ma soprattutto, ancora una volta, in forma “positiva”: giustizia è soprattutto cominciare a lasciarsi dietro la coda dell’opportunismo, in tutte le sue forme più o meno pesanti, e “agire moralmente”, applicando “con tutti, a tutti e per tutti” questi principi di cui ci facciamo portatori.

Non si tratta qui di “democrazia”, ma di tutta un’altra, grande, immensa, forma “d’Amore”.

redcat