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L’acqua, tutti la dovevano incanalare…

Cosa hanno fatto in questi anni coloro che dovevano seguire i canali e i corsi d’acqua? Consorzi, agenzie, bonifiche: quanti sono e che compiti hanno gli enti che si dovrebbero occupare dei problemi idrici. Mentre già dal 2014 era noto l’allarme sui rischi connessi ai torrenti collinari: ecco cosa dissero gli esperti.

14 Novembre 2024 - 12:16

Lo scorso 25 ottobre il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, rispondendo a una interpellanza durante il Question Time, per ripararsi dagli attacchi ricevuti da Palazzo d’Accursio dopo il disastro prodotto dall’alluvione in città, ha puntato il dito sulle responsabilità di altri soggetti istituzionali quali l’Agenzia regionale per la sicurezza del territorio, la Bonifica Renana e il Consorzio dei Canali di Bologna. Le sue parole hanno prodotto un certo stupore: «Quel che è accaduto all’Aposa ci preoccupa molto. E siamo noi i primi a chiederci cosa abbia fatto in questi anni chi doveva seguire questi corsi d’acqua».

Cosa ci stanno a fare gli organismi citati dal primo cittadino? Quali funzioni svolgono? Come si intrecciano i loro ruoli con le amministrazioni del nostro territorio?

Di questi enti non si sente parlare spesso, in questo periodo dedicare a loro alcune riflessioni non è certo inutile.

L’Agenzia regionale per la sicurezza del territorio

L’Agenzia regionale per la sicurezza del territorio è un organismo di diretta emanazione della Regione Emilia-Romagna; il suo ambito di competenza riguarda attività di protezione civile, difesa del suolo e della costa, sismica, demanio idrico ed attività estrattive, ed altre azioni legate ai corsi d’acqua. Interviene nell’ambito delle opere di difesa del suolo e della costa, svolge servizio di piena, concede i nulla osta idraulici, è parte attiva nella gestione dell’emergenza e delle risorse di post emergenza, cura i rapporti con gli enti, le strutture operative e il volontariato. Il governo della Regione una qualche affinità e una certa “simpatia” con chi amministra la città di Bologna, fino a prova contraria, dovrebbe averle.

Il Consorzio della Bonifica Renana

Dopo le parole del sindaco, in un comunicato a stesura rapida, il Consorzio della Bonifica Renana ha “ritenuto necessario precisare” che: «Sulla base delle norme nazionali e regionali vigenti, la gestione delle acque naturali di superficie e cioè tutti i fiumi, i torrenti ed i rii è materia di esclusiva competenza della Regione Emilia-Romagna».

Dopo un primo “scaricabarile” che non lascia spazio a “se” e a “ma”, si passa a un secondo “fermino”: «La legge regionale n.7 del 2012 prevede che i Consorzi di Bonifica possano effettuare interventi in area collinare e montana solo grazie alla stipula di convenzioni con gli enti locali eletti (Regione, Comuni o Unioni di Comuni). Convenzioni in cui le amministrazioni locali indicano alla Bonifica Renana gli interventi da realizzare nel proprio territorio, previa autorizzazione della Regione, ente sovraordinato competente».

Il terzo rimbrotto chiarisce che il Consorzio della Bonifica Renana «è competente per la gestione del proprio reticolo artificiale di scolo in pianura, costituito da 2.000 km di canali artificiali e condotte, 26 casse di espansione e 24 impianti idrovori di sollevamento».

La Bonifica Renana ammette che il reticolo che gestisce è «attualmente gravato», la causa sono le numerose esondazioni «provenienti dalle rotte e dai sormonti dei corsi d’acqua e dei torrenti regionali».

Insomma, secondo i dirigenti della Bonifica, la colpa dell’avvenuto disastro non è certo del loro Consorzio che ha un’area di competenza che riguarda per l’89% la Città metropolitana di Bologna, interessando complessivamente 63 comuni, situati su cinque provincie. Anzi, la Bonifica Renana si è dovuta accollare il gravoso carico delle “altrui acque”.

Per capirci qualcosa di più cerchiamo di comprendere cosa sia questa “persona giuridica di diritto pubblico” che ha come riferimento dei suoi interventi il bacino del fiume Reno. Un insieme di norme statali e regionali gli affida il compito di “autorità idraulica competente”.

In collina e in montagna, in convenzione con le amministrazioni locali, il Consorzio cofinanzia, progetta e realizza interventi contro il dissesto idrogeologico «a supporto della viabilità e della fruizione ambientale».

In pianura invece, attraverso la propria rete di canali artificiali, la Bonifica ha la mission di favorire il «corretto deflusso delle acque piovane provenienti dalle aree agricole ed urbane» e di distribuire «acqua di superficie per usi irrigui e produttivi». Nel sito del Consorzio della Bonifica Renana si può leggere: «Questa attività protegge il territorio dai rischi di allagamento e alluvione, sempre più elevati a causa della crescente urbanizzazione».

Che ci sia un “adattamento ai cambiamenti climatici” lo si riscontra fin dal 2014, dove, nel rapporto annuale della “Renana”, a pagina 21 si può leggere: «Nel 2007 l’Unione Europea ha emanato una normativa specifica in materia di prevenzione del rischio alluvionale… Alla base del provvedimento vi è l’obbligo di attivare un Piano di Gestione nazionale per la valutazione e la gestione del rischio di alluvione, in una logica di prevenzione… Le Autorità di Bacino nazionali, con il coordinamento della Regione Emilia-Romagna hanno il compito di predisporre tale Piano di Gestione composto da interventi strutturali e non strutturali (questi ultimi prioritari) per la riduzione dei danni provocati dalle alluvioni. Alcune delle misure devono essere adottate in tempo differito (opere di difesa, previsione di sviluppo e uso del suolo), mentre altre in tempo reale (previsioni e monitoraggio idro-metereologico, sistema di allertamento). La Bonifica Renana con gli altri Enti competenti in materia di difesa del suolo, ha partecipato alla redazione delle mappe di pericolosità e ha partecipato alla fase di confronto prevista per la verifica del Piano».

Sarebbe curioso capire se qualcuno, a livello delle istituzioni locali e regionali, ha controllato se gli impegni decantati sono stati concretamente portati avanti e con quali risultati. O, quantomeno, sarebbe opportuno che l’elenco degli interventi realizzati negli ultimi dieci anni fosse evidenziato da qualche parte, in modo tale che anche un/a semplice cittadino/a potesse rendersi conto di quello che è stato fatto.

Per quanto riguarda il rapporto tra Consorzio ed enti locali, va ricordato che la Bonifica Renana si “autogoverna” attraverso un consiglio di amministrazione che ha mandato quinquennale e che è composto da 20 rappresentanti eletti dai contribuenti e tre delegati dei Comuni ricompresi nel comprensorio. A sua volta il consiglio elegge un comitato amministrativo composto da cinque membri fra i quali un presidente e due vicepresidenti. Inoltre va ricordato che la Regione vigila sulla congruità delle delibere assunte dal Consorzio, che sono disciplinate dalla legge regionale n. 42 del 1984, aggiornata nel 2012.

Al 31 dicembre 2023 la Bonifica Renana ha un organico composto da sei dirigenti, 11 quadri, 79 impiegati, 77 operai e 14 operai avventizi.

Si dice che la Bonifica Renana sia sempre stata un luogo a “sovranità democristiana”, dove la Coldiretti (la potente Confederazione degli agricoltori fondata nel 1944 da Paolo Bonomi, uno degli uomini più famosi della Dc) aveva una forte influenza. Oggi che la “Balena bianca” non c’è più la Coldiretti ha instaurato un rapporto privilegiato col ministro meloniano dell’agricoltura Francesco Lollobrigida. Il legame politico di cui abbiamo appena parlato passa attraverso le figure dei presidenti che si sono succeduti. L’ultimo democristiano di una certa rilevanza che è stato al vertice della Renana è stato il senatore Emilio Rubbi che militò nel “Bianco fiore” fino allo scioglimento del partito e che, per più volte fu sottosegretario in diversi Governi negli anni ottanta e nei primi anni novanta.

A Rubbi successe Giovanni Tamburini un imprenditore agricolo bolognese, impegnato nel settore bieticolo-saccarifero, dirigente nazionale di Confagricoltura, che era amministratore del Gruppo CoproB-Italia Zuccheri e pure presidente dell’Unione nazionale degli industriali dello zucchero. A Bologna Tamburini è stato anche amministratore di Seabo (l’ex azienda municipale del gas e acqua) e, successivamente, dopo la sua trasformazione in Hera spa, membro del consiglio di amministrazione, arrivando ad esserne poi presidente. E’ stato pure membro del consiglio di amministrazione dell’Asam (mercato macello/mercato bestiame) e presidente della Banca di Imola.

Dopo Giovanni Tamburini, la poltrana di presidente del Consorzio della Bonifica Renana è passata a Valentina Borghi, ed è lei che attualmente rappresenta l’ente nei confronti delle istituzioni e dei soggetti terzi che hanno rilevanza istituzionale. Borghi è a capo di una azienda che produce funghi champignon e che ha una linea di trasformazione di prodotti a base di funghi. E’ consigliera di “Cipolla di Tropea Igp” e, guarda caso, è stata pure presidente provinciale di Coldiretti.

I Canali di Bologna

Se la Bonifica Renana è attiva sul territorio di Bologna da quasi un secolo, Canali di Bologna è la forma di aggregazione che i Consorzi dei Canali di Reno e di Savena si sono dati «per meglio rispondere alle necessità della Bologna di inizio del terzo millennio». Almeno questo sta scritto sul sito dell’ente, molto curato graficamente, e con il vezzo di lanciare messaggi in stile da brand pubblicitario. Se questo vuole essere il modo in cui Canali Bologna vuole distinguersi dalla “concorrenza” degli altri soggetti con rilevanza istituzionale, c’è da dire che, in un periodo come questo, alcune frasi che appaiono in hompage sono veramente imbarazzanti: «Lavoriamo sottoterra per non mandarvi sott’acqua» oppure «Per proteggersi dall’acqua a Bologna non bastano i portici».

E poi ancora: «La difesa dagli allagamenti e la presenza della giusta quantità d’acqua rappresentano la normalità per i bolognesi: per noi sono gli obiettivi di sempre, di tutti i giorni».

Questa è ancora più sgradevole: «Il clima cambia, le necessità del territorio si modificano, le esigenze dei cittadini mutano, mentre la risposta del reticolo idraulico artificiale bolognese è sempre la stessa: sono attivo e funzionante».

Poi, «per trasmettere il concetto di continuità nella presenza secolare sul territorio per la regolazione delle acque», Canali di Bologna ha scelto come logo il simbolo dell’infinito che, secondo i grandi comunicatori consorziati, evocherebbe il ciclo dell’acqua. Ma che sarebbe pure «un simbolo di coesione fra i soggetti che si presentano alla città con un’identità unitaria più solida».

E, infine, una promessa: «Portare acqua durante i periodi siccitosi e portarla via quando ce ne è troppa è l’attività regolatrice di tutti i giorni, l’operatività che consente di contrastare ed attenuare gli effetti determinati dagli eccessi atmosferici».

Lo strumento che Canali di Bologna si è dato per portare questi immaginifici obiettivi è Gacres (Gestione Acque Canali Reno Savena), una Srl di sua diretta emanazione, considerata come gestore unico e mezzo operativo delle opere atte a raccogliere, collettare e regimentare la maggior parte delle acque meteoriche e di dilavamento della città di Bologna, Casalecchio di Reno e Castel Maggiore, e i soggetti istituzionalmente competenti in materia di servizio pubblico integrato e, in secondo luogo, della convenzione stipulata l’8 ottobre 2009 tra i Consorzi e Hera, ossia il gestore del servizio pubblico integrato.

Gacres, pertanto, è competente «per la custodia, la vigilanza, la pulizia e la conservazione in buono stato ed uso delle antiche Chiuse di Casalecchio e di San Ruffillo e delle opere annesse, dei Canali di Reno, di Savena, di tutti gli altri canali e condotti consorziali e di ogni altro manufatto inerente; per l’esecuzione di ogni relativo lavoro di manutenzione ordinaria e straordinaria, in quanto non di competenza di altro o altri soggetti; per l’attività di polizia idraulica».

La presidenza di Gacres è stata sulle spalle di Milena Naldi, prima assessora nella giunta del sindaco Cofferati poi presidente del Quartiere San Vitale, una stimata esperta d’arte antica “prestata alla politica” che aveva a curriculum l’organizzazione di decine di mostre, la realizazione di libri e cataloghi d’arte e una predisposizione per le tematiche riguardanti la bellezza della città. In più, dal febbraio 2020, Naldi è diventata curatrice di una rubrica “Arte e Tennis” sulla rivista mensile “Il tennis Italiano”. La conferma viene anche dal suo “portfolio” dove, ad esemplificazione delle sue competenze, troviamo scritto: «Ha cercato tutta la sua vita di spiegare la bellezza dell’arte, ama e pratica il tennis».

Forse è la riconoscita “antichità” del sistema idraulico artificiale bolognese, la sua bellezza architettonica, e la necessità di promuovere adeguatamente «la cultura dell’acqua tramite iniziative culturali, attività didattiche, visite guidate, e alla gestione dell’Opifico delle Acque – Centro didattico documentale», che fece propendere verso la scelta di Milena Naldi.

Certo che la garanzia della qualità e della frequenza delle manutenzioni ai canali e ai diversi condotti avrebbe dovuto essere un altro degli scopi (più o meno il principale) di una società di scopo (appunto!) come la Gacres… forse su questo qualche pecca (a detta del sindaco Lepore) la si è riscontrata.

Fatto sta che, alla scadenza del mandato, a prendere il posto della Naldi è stata Adriana Giamperoli, proveniente dalla Asl e, specificatamente, dal Servizio Unico Metropolitano Economato (Sume).

I rapporti tra i vertici degli enti e la politica istituzionale

Da quello che abbiamo fin qui scritto risulta abbastanza evidente che ai vertici degli organigrammi dei tre enti che hanno il compito della gestione e del controllo delle acque nel nostro territorio, oltre alle figure tecniche, a livello apicale, ci sono persone che sono state nominate attraverso meccanismi politici di difficile comprensione (frutto di convergenze tra governi degli enti locali e organizzazioni di categoria capaci di una certa influenza oppure scelte di opportunità per trovare forme di “continuità professionale” a chi, in precedenza, ha avuto incarichi istituzionali).

Comunque, come si dovrebbe correttamente fare con le “aziende partecipate”, anche per l’Agenzia regionale per la sicurezza del territorio, per il Consorzio Bonifica Renana e per il Consorzio Canali di Bologna, dovrebbero essere richiesti resoconti periodici (annuali) sulle opere eseguite e sulle attività di monitoraggio svolte.

Queste rendicontazioni sono state fatte oppure questi organismi si sono fatti vivi solo per redigere l’elenco dei danni prodotti dalle alluvioni?

Poniamo questa domanda non a caso perché, nel recuperare una vecchia agenzia di stampa del 5 novembre 2014, abbiamo letto che in quel giorno di dieci anni fa, nell’ambito di una Commissione Ambiente e Assetto del Territorio di Palazzo d’Accursio, un gruppo di tecnici dell’Arpa, alla domanda di come si potevano prevenire gli effetti di eventi atmosferici straordinari avrebbero potuto provocare sulle vie d’acqua sotterrnee della città, rispose: «Bologna finora ha goduto di una relativa sicurezza, ma quel margine si sta assotigliando…». In quell’incontro uscì il fatto che l’allertamento in caso di piena dei piccoli bacini non era inserito nel sistema di monitoraggio e allerta. L’Arpa portò come “caso di studio” il torrente Ravone: venne evidenziato che la sezione artificiale del torrente non era in grado di sostenere la quantità d’acqua derivante da una pioggia eccezionale.

L’indagine portò alla luce il fatto che i torrenti che convergevano su Bologna, anche se per la maggior parte dell’anno presentavano uno scarso deflusso, erano comunque portatori di un potenziale rischio idraulico che non doveva essere stottovalutato. Era stata fatta una simulazione che prendeva in cosiderazione la caduta in due ore di 70 millimetri di pioggia (che era la media storica di pioggia caduta nell’intero mese di ottobre). Una eventualità eccezionale ma che, secondo i tecnici, non poteva essere esclusa. Infatti, si portava ad esempio il nubifragio del 21 luglio 1932, in cui erano caduti complessivamente 134 millimetri di pioggia, che causò ingenti danni nelle zone della città adiacenti al territorio collinare. E facevano bene i tecnici a non escluderla; lo abbiamo visto tra il 19 e il 20 ottobre scorsi quando, in poche ore sono caduti 2,5 volte i millimetri di acqua che mediamente cadono nell’intero mese di ottobre.

Il modello che l’Arpa aveva ipotizzato nel suo studio del 2014 vedeva l’acqua in eccesso propagarsi al di fuori dell’alveo, allagando il fondovalle a valle della tombatura. Secondo le simulazioni del modello idraulico l’acqua avrebbe raggiunto altezze elevate nelle zone di maggior depressione del terreno; la velocità del flusso fuoriuscito sarebbe stata molto elevata e l’acqua avrebbe invaso una vasta area abitata. Oltre a questo, avrebbero potuto verificarsi altri fattori non considerati, come l’ostruzione dell’alveo per frane eo per la presenza di tronchi, che avrebbero avuto effetti altamente impattanti.

In quella udienza conoscitiva della commissione comunale il Servizio tecnico del bacino Reno dichiarò che il Ravone andava considerato come un “sorvegliato speciale”. Il segretario dei Canali Savena e Reno, invece, mise in guardia sui puntelli inseriti nel corso del tempo per sostenere la volta dei canali coperti. Lo stesso sostenne che,dopo ogni piena, sarebbe stato necessario intervenire tempestivamente per rimuovere i materiali portati dai torrenti.

Si parlò anche di interventi ben maggiori riguardanti la rete fognaria per il tratto superiore del torrente Aposa (programmati nel triennio 2014/2017) e interventi della stessa portata che sarebbero stati necessari anche per il Ravone, ma che, all’epoca, non erano ancora stati messi in calendario.

Il messaggio politico che uscì da quell’incontro era che tutte quelle che fino a quella data erano state considerate situazioni di ordinaria amministrazione richiedavano scelte di riequilibrio con interventi di altra portata che dovevano prevedere anche una rivisitazione e una aggiornamento del piano di Protezione civile.

A un decennio di distanza da quell’incontro (alla luce dei fatti odierni illuminante), le preoccupazioni e gli scenari catastrofici che erano stati prefigurati hanno avuto impegni e conseguenze di intervento adeguati? I progetti previsti sono stati portati avanti?

Sentendo le parole di Lepore («Siamo noi i primi a chiederci cosa abbia fatto in questi anni chi doveva seguire questi corsi d’acqua») sembrerebbe di no.

Individuare eventuali colpe e responsabilità (politiche) sarebbe il caso, capire quello che non è stato fatto e che si doveva fare, è il primo passo per intraprendere un cammino diverso.

Non si tratta di seguire campagne demagogiche come quella dell’associazione dei proprietari immobiliari Confabitare che attrraverso il suo presidente Alberto Zanni ha lanciato una petizione per l’abolizione dei Consorzi di bonifica, ritenuti inefficienti nel garantire la sicurezza idrogeologica e la corretta manutenzione dei corsi d’acqua.

La stessa proposta di abolizione dei Consorzi di bonifica venne fatta dall’attuale capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera nel 2015, da consigliere regionale dell’Emilia-Romagna. Secondo il meloniano non si capiva l’utilità della presenza a livello regionale di più enti.

Poi ci sono le boutade, tipo quella fatta nei giorni scorsi dall’ex direttore generale dell’Enit (Agenzia nazionale del turismo) Andrea Babbi, oggi nel consiglio di amministrazione di Interporto e candidato nella lista civica per Michele de Pascale alle elezioni regionali, che, in un’intervista all’agenzia Dire ha sostenuto: “Così come è stato creato nei secoli passati, alla luce dei cambiamenti climatici di oggi forse il Canale Navile bisognerà porsi il problema di toglierlo”.

Di esperti “un tanto al chilo” che aprono la bocca per avere un po’ di visibilità non ne abbiamo bisogno, così come delle enfatizzazioni per un “patto repubblicano” di Lepore e de Pascale, le logiche da “unità nazionale” non hanno mai portato bene in questo Paese.

Sarebbero necessarie azioni, interventi organici e di sostegno alle opere esistenti, strumenti e modalità organizzative per ridurre significativamente il rischio idraulico in città, con una gestione coordinata degli organismi che si occupano dei canali e dei bacini idrografici. E, soprattutto, il governo di questi enti non può essere considerato come un “cimitero per elefanti” dove vengono parcheggiate persone per “amicizie politiche”.

Qualcosa si sta muovendo? Vedremo… E’ la politica che deve cambiare.

Qualcuno, prendendo spunto, dalla vecchia metafora “intervengono quando i buoi sono già scappati dalla stalla”, l’ha coniata così: “Cercano di aprire la porta delle stalla, rimuovendo i detriti che impedivano il passaggio, purtoppo però i buoi sono già annegati”… Sì, è un’amara verità.