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La vittoria di Bartleby: «Ateneo costretto a confrontarsi con un terreno conflittuale e autorganizzato» [audio]

Iniziano le attività nel nuovo spazio. In cantiere seminari di autoformazione, un’inchiesta su crisi e università, la proiezione su uno «spazio europeo di costruzione di movimenti». Ma anche «un atelier dell’arte e della cultura indipendenti»

02 Marzo 2010 - 21:00

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«L’assegnazione, dopo tre occupazioni, è stata la vittoria di un percorso politico denso di progetti, di relazioni con artisti studenti e ricercatori, con tutto ciò che si muove in città» esordisce Ilia di Bartleby, nell’improvvisata sala stampa destinata a diventare l’infoshop dello spazio di 180mq nelle strutture in via S.Petronio Vecchio già della croce rossa, messe a bando dall’ateneo e assegnate agli ex-occupanti di via Capodilucca.

Nella sala grande accanto, fervono i lavori per preparare l’ambiente alla prima iniziativa, domani, con Wu Ming e Vasco Brondi; il rumore di trapani, seghe e martelli quasi copre quello dei ragazzi che stanno parlando ai cronisti.

«Per la prima volta – continua Ilia – si strappa all’ateneo uno spazio definitivo, e sarà uno spazio autogestito». Non esagera: è dalla fine dagli anni novanta che non esiste uno spazio universitario stabilmente assegnato all’autogestione. «Lo riempiremo dei contenuti che hanno sempre caratterizzato Bartleby, parleremo di autoformazione, saperi liberi e reddito per tutti, entreremo in relazione con artisti e musicisti. Tutti i lunedì ci sarà un’assemblea aperta a tutte e tutti» E al giornale locale che ha titolato «Bartleby torna nella legalità» risponde: «E’ un’interpretazione forzata, noi continueremo a esprimere conflittualità. Abbiamo portato la governance d’ateneo a confrontarsi con istanze dal basso, con un terreno illegale, autorganizzato, conflittuale. Non si può parlare di normalizzazione, di contenimento»

Andrea parte dal successo dello sciopero dei migranti di ieri: «E’ stata una giornata straordinariamente significativa. Insieme agli studenti medi abbiamo fatto un’azione per segnalare che anche il terreno della formazione e dei sapere è un campo di battaglia per chi vuole costruire linee di esclusione (dalle classi ghetto al tetto agli studenti stranieri). Bartleby vuole mettersi in relazione con le dinamiche complessive di movimento. Nasce dall’Onda. Senza quell’incontro tra studenti, precari, suonatori e artisti sarebbe stato inimmaginabile. Sul terreno delle trasformazioni dell’università, a fianco delle attività di autoformazione, a seminari che coinvolgono docenti, ricercatori e dottorandi, vogliamo fare inchiesta, su come cambia l’università dentro la crisi. Che rapporto c’è tra questa università e la questione reddito, possibilità di campare in questa città?» Un’inchiesta per cui a diversi presidi è già stato chiesto ufficialmente che siano dedicati dieci minuti delle lezioni per somministrare i questionari. Annuncia infine per giovedì 4 l’incontro con gli attivisti di Bolognaburnst di Vienna, «dove ci sarà il summit tra i paesi che dieci anni fa hanno dato il via al Bologna Process, che ha rideterminato i processi formativi in tutta Europa. Andremo anche da Bologna al controsummit di tutti i movimenti che tematizzano il rapporto tra trasformazione delle attività produttive, del lavoro e dell’università. Bartleby si colloca anche dentro questo spazio europeo di costruzione dei movimenti.»

«Un altro aspetto che caratterizzerà questo posto – conclude – è la campagna Yes We Cash, per un reddito minimo garantito, per la definizione di nuovi diritti sociali»

Michele racconta infine il lato più culturale delle attività nel nuovo spazio, che vuole essere anche un «atelier della produzione culturale e artistica indipendente», e soffermandosi in particolare sulla collaborazione con i musicisti del conservatorio e del Teatro Comunale: «E’ un progetto musicale a trecentosessanta gradi, per una nuova didattica della musica». Il 16 marzo, ci dice in anteprima, sarà ospite inoltre Gianni Celati.

Per i prossimi diciotto mesi, promette dunque Bartleby, lo spazio di via San Petronio Vecchio sarà animato da un’intensa attività culturale, fulcro di progetti d’inchiesta e attraversato dalle lotte per l’autoformazione, per il reddito, per i diritti dei migranti. E dopo? Sembra che la facoltà di scienze politiche voglia avvalersi di quello stabile, «ma sono cinque anni che è di proprietà dell’università e non se ne è mai fatto niente. Siamo sicuri che lavorare bene per questi diciotto mesi ci darà la legittimità per assicurarci la continuità e la stabilità di un progetto. Di certo nessuno ci caccia via senza una soluzione adeguata. Noi siamo qui.»