Opinioni

“La Grande Bologna: le linee guida della Giunta Lepore, commentate”

Nel programma di mandato presentato dal sindaco “tanti buoni propositi, timide proposte, ma nessuna rivoluzione”, scrive Bologna for climate justice, proponendo “alcune riflessioni su una parte dei contenuti presenti in quelle pagine e su quant’è assente. Perché un documento programmatico è importante non soltanto per quel che dice, ma anche per quel che non dice”.

09 Febbraio 2022 - 12:08

di Bologna for climate justice

Il primo febbraio la Giunta bolognese ha presentato le proprie linee guida di mandato 2021-2026. Un documento di questo tipo non poteva che essere pieno di ambizioni e progetti innovativi, nonché di aggettivi che descrivono un futuro migliore per le/gli abitanti di questa città. E in effetti, a leggerlo, par già di vivere nella ‘città più progressista d’Italia’, capace di affrontare la crisi climatica e quella sociale, di migliorare la quotidianità dei suoi cittadini e dare un futuro degno alle prossime generazioni. Va da sé che, dei tanti progetti elencati nelle 36 pagine che descrivono ‘La Grande Bologna’, bisognerà vederne innanzitutto l’attuazione, e poi i risultati.

Su questo, lasceremo che sia il tempo a parlare, per vedere se titoli come ‘Città della Conoscenza’ e ‘Impronta Verde’ diverranno parte della nostra vita quotidiana, e attraverso quale percorso.

Nel frattempo, però, vorremmo proporre alcune riflessioni su una parte dei contenuti presenti in quelle pagine, e su quanto tra quelle righe è assente. Perché un documento programmatico è importante non soltanto per quel che dice, ma anche per quel che non dice. Naturalmente, non siamo tuttologhe e tuttologi: per questo, nei prossimi paragrafi, ci limiteremo a toccare alcuni temi, tralasciandone altri: non significa che siano più importanti; sono, semplicemente, quelli su cui ci sentiamo di affermare qualcosa.

Inquinamento

Dopo averlo letto dall’inizio alla fine, abbiamo provato a fare una ricerca testuale: nelle 36 pagine non compaiono mai le parole ‘smog’, ‘inquinamento’, ‘polveri sottili’, ‘Pm10’. Dopo settimane di mal di gola, limiti di legge ripetutamente sforati e fotografie satellitari allarmanti, pensavamo che queste dovessero entrare di diritto nel documento programmatico di qualunque Comune posizionato nella Pianura Padana. Del resto, parliamo di un’emergenza che, secondo alcuni studi, provoca almeno 100 morti al giorno in Italia. Un’emergenza non soltanto ambientale, ma anche sociale ed economica, che costa alla collettività miliardi di euro. Se “con la pandemia è risultata evidente l’importanza della rete dei servizi sanitari territoriali” (p. 11), ragione per la quale le linee guida di mandato si soffermano a lungo sulle sfide del sistema sanitario locale, altrettanto non emerge per l’inquinamento, che pure provoca malattie polmonari, attacchi di cuore, ictus, demenze, malattie renali e diabete, oltre ad avere effetti dannosi in gravidanza. Riconoscere l’inquinamento come uno dei fattori di rischio più importanti della città di Bologna significherebbe gettare le premesse per scelte politiche e amministrative capaci di affrontarne le cause.

Mobilità e trasporto

Non possiamo che partire dal paragrafo dedicato al cosiddetto ‘Passante di Nuova generazione’. Nelle ultime settimane, avevamo intuito che anche nella maggioranza che governa a Palazzo d’Accursio fosse emerso qualche dubbio nel definirlo “un’opera simbolo della transizione ecologica” (p. 24); avevamo capito male, perché nel documento si usano esattamente queste parole. Che, per noi, non possono che fare a pugni con lo sbandierato impegno per la transizione climatica e la “candidatura di Bologna a essere tra le prime 100 città europee che puntano alla neutralità carbonica entro il 2030” (p.4). Dire che l’infrastruttura si porrà “in futuro anche come un ‘laboratorio’ di innovazione permanente sulle tematiche della mobilità sostenibile e della salute dei cittadini” (p. 24) significa negare apertamente l’evidenza: un’infrastruttura autostradale è di per sé conservatrice, perché perpetua lo status quo, ovvero fa sì che la modalità prevalente con la quale si spostano persone e merci sia il mezzo privato a motore. Compensazioni e mitigazioni elencate nel documento non rappresentano altro che veli d’ipocrisia dietro ai quali nascondere la verità: Bologna, con questo programma, continuerà a subire una “servitù di passaggio” fatta di mezzi pesanti e inquinamento, accettando di essere il collo di bottiglia del trasporto su gomma, invece di proporsi come il nodo della transizione verso sistemi di trasporto sostenibili.

E, va da sé, questo paragrafo rende di fatto ininfluenti le tante parole dedicate al trasporto pubblico, al completamento del Servizio Ferroviario Metropolitano, alla rete tranviaria e alla ciclabilità. Intendiamoci, sono scelte irrinunciabili, ma che, di fronte a un’infrastruttura che – secondo i progettisti – aumenterà la quantità di emissioni inquinanti di cui è responsabile, diventano cure palliative.

“Bologna investe per creare una reale alternativa al mezzo privato” (p. 23): difficile comprendere come questi propositi siano coerenti con l’allargamento di molte autostrade (tra cui, oltre al Passante, la terza corsia tra Bologna e Ferrara e la quarta corsia tra Bologna e Imola), la realizzazione di un nuovo parcheggio da 2.200 auto all’Aeroporto Marconi, l’autorizzazione alla costruzione di sette nuovi distributori di carburante su terreni agricoli, che confermano l’automobile come la regina indiscussa delle nostre strade.

Se davvero si volesse creare una reale alternativa all’uso del mezzo privato, bisognerebbe fermare gli investimenti in nuovo asfalto, e dedicare quelle risorse alla mobilità sostenibile; sarebbero necessari disincentivi all’auto, attraverso ampie pedonalizzazioni, la riduzione progressiva dei parcheggi, la chiusura completa al traffico dell’area all’interno dei viali, la creazione di aree a traffico limitato in tutti i quartieri. E servirebbero incentivi importanti, come il trasporto pubblico gratuito (già sperimentato in altre città europee), l’accelerazione nella realizzazione di percorsi ciclabili e la priorità semaforica a pedoni e ciclisti, la diffusione di strade condivise e l’allargamento dei percorsi pedonali. Temi assenti nelle linee guida di mandato, o presenti in maniera timida e relegati a ‘sperimentazioni’, come se queste soluzioni non avessero già dimostrato la loro efficacia in altre città che le hanno adottate.

Infine, l’amministrazione comunale afferma di voler “garantire la massima compatibilità tra lo sviluppo dell’Aeroporto e la qualità della vita dei cittadini che abitano nelle zone maggiormente interessate dai sorvoli” attraverso un “piano di interventi di mitigazione/insonorizzazione” (p. 24); non ci è chiaro come l’ampliamento della struttura aeroportuale, e la programmata crescita del numero di aerei in decollo e atterraggio, possa contribuire a ‘mitigare’ l’impatto di questa infrastruttura sulla vita di migliaia di bolognesi che ogni giorno sono sorvolati a bassa quota, e se la Giunta abbia individuato particolari vernici fotocatalitiche e sistemi di filtraggio, simili a quelli promessi per il ‘Passante di Mezzo’, capaci di catturare gli inquinanti che gli aeromobili scaricano sulle case. E, ancora una volta, ci sfugge il nesso tra impegno per affrontare la crisi climatica e l’ampliamento di un’infrastruttura del sistema di trasporto più inquinante e responsabile, da solo, del 2% delle emissioni climalteranti globali.

Conversione ecologica del sistema produttivo

“Saremo protagonisti di una nuova politica industriale metropolitana che innovi la produzione e garantisca buona occupazione per affrontare insieme le conseguenze economiche e sociali della crisi sanitaria” (p. 6). Il tema del diritto al reddito e della qualità del lavoro è, ovviamente, centrale. E, in tal senso, affrontare le conseguenze economiche e sociali della pandemia è certamente tra i compiti di un’amministrazione pubblica.

Tuttavia, siamo convinte/i che nella crisi climatica questo tema non possa essere affrontato senza tenere in considerazione le ricadute ambientali ed ecologiche del sistema produttivo e, quindi, del lavoro. Da questo punto di vista, fare tesoro del “Patto per il Lavoro e il Clima” promosso dalla Regione Emilia-Romagna (p. 6) non ci sembra un biglietto da visita promettente perché, come hanno sottolineato le 75 associazioni aderenti alla Rete Emergenza Climatica e Ambientale dell’Emilia Romagna (Reca Er), il documento regionale “si presenta come un accordo di parte, protezionista nei confronti dell’industria non sostenibile, senza obiettivi concreti di breve e medio periodo, che lascia libertà di scelta ai privati negli obiettivi e nelle strategie”. Se nessuno può dirsi a priori contrario nell’attrarre “nuovi investimenti ad alto contenuto di innovazione, sostenibilità ambientale e buona occupazione” (p.7), non possiamo non ricordare che gli esempi di greenwashing si moltiplicano e che dietro a parole come queste spesso trovano spazio aziende multinazionali e dei combustibili fossili che portano sulle spalle pesanti responsabilità legate alla catastrofe climatica.

Quando parliamo di sistema produttivo, quindi, ci sembra sensato indicare delle scelte precise rispetto alla direzione da prendere: vogliamo, per esempio, continuare a produrre beni di lusso destinati a poche migliaia di super-ricchi in tutto il Pianeta, o dedicare i nostri sforzi per prodotti e servizi di qualità che possano migliorare la qualità della vita di milioni di persone? Vogliamo supportare l’industria automobilistica, sapendo che questa contribuisce alla crisi climatica, o promuovere le produzioni legate alla mobilità sostenibile? Vogliamo che la “Città della Conoscenza” (p.8) sia al servizio della comunità o del mercato? Di queste e altre domande, nel documento della Giunta bolognese non c’è traccia, come se gli investimenti fossero neutri. Ma non basta qualche aggettivo per far sì che attrarre flussi di denaro significhi porre dei mattoncini per la ‘città più progressista d’Italia’.

Efficienza energetica del patrimonio immobiliare privato

“Investiremo nell’efficientamento energetico dell’edilizia residenziale pubblica” (p. 32). Siamo d’accordo; così come riteniamo urgente promuovere “la micro produzione energetica diffusa da fonti rinnovabili, sul modello delle ‘comunità energetiche’” (p. 32), a condizione che non ci raccontiate che i pannelli solari installati da Società Autostrade per compensare l’allargamento del ‘Passante di Mezzo’ siano una comunità energetica: perché una comunità non la fa una grande azienda che compensa i propri danni, ma una collettività consapevole che decide di ridurre la propria impronta ecologica.

Non possiamo che segnalare, in questo contesto, un grande assente: l’edilizia residenziale privata. Se le emissioni prodotte dagli edifici sono complessivamente più di un terzo del totale, e l’obiettivo è raggiungere la neutralità climatica, non possiamo permetterci il lusso di lasciare questo settore alle ‘scelte del libero mercato’. Servono strumenti amministrativi e tecnici per favorire gli interventi di efficientamento energetico; serve una pianificazione capace di proporre forme più sostenibili di riscaldamento e raffrescamento degli edifici; servono strumenti di facilitazione e tutoraggio per affiancare amministratori di condominio e proprietari; e servono politiche per supportare anche coloro che l’efficientamento della propria abitazione non se lo possono permettere, perché anche questo significa fare politiche attive per la casa e affrontare la povertà energetica. Nelle linee guida di mandato abbiamo trovato una grande suggestione, ‘Impronta Verde’: “Un’infrastruttura ecologica per la mitigazione del clima, la salute e la biodiversità” (p. 21), capace di dare a tutti i cittadini un’area verde a dieci minuti dalla propria abitazione. Ma anche le nostre case devono essere luoghi salubri e sicuri, e l’assenza di un grande piano per l’efficienza energetica e la salubrità degli edifici cittadini mostra ancora una volta che l’ambizione di mettersi al petto la spilletta di ‘città carbon-neutral’ si scontra con l’assenza di priorità strategiche su queste tematiche.

Partecipazione e democrazia

“Il metodo è un elemento fondamentale per la città più progressista d’Italia” (p. 4). “Un importante strumento di democrazia partecipativa saranno le assemblee civiche e deliberative che, dopo l’inserimento nello Statuto Comunale delle ‘Assemblee cittadine’ come strumento innovativo di partecipazione popolare, nel primo anno di mandato entreranno in una fase operativa con l’approvazione del regolamento attuativo e la sperimentazione della prima Assemblea dedicata alla crisi climatica” (p. 30). Detta così, non abbiamo nulla in contrario, anche se è evidente che le modalità con cui saranno implementate queste proposte faranno la differenza tra partecipazione reale e costruzione del consenso. Ci domandiamo, però, per quale ragione l’amministrazione comunale non abbia deciso di adottare queste forme di partecipazione per temi che condizioneranno il futuro di Bologna, come l’espressione del parere della città sull’allargamento del Passante. In fondo, come ci ha ricordato il primo cittadino, si tratta di un’opera che ha aspettato vent’anni: non poteva attendere un ulteriore anno per dar modo alla città di esprimere il proprio parere in sede di Conferenza dei Servizi dopo il percorso di un’assemblea cittadina? A quanto pare no, perché, come ha affermato lo stesso sindaco al consiglio comunale durante la seduta del 27 dicembre 2021, “la differenza tra noi e gli attivisti è che nel nostro ruolo c’è chi sceglie, non chi fa testimonianza”. Permetteteci, quindi, di esprimere qualche perplessità di metodo.

Crisi climatica e città più progressista d’Italia

“I cambiamenti climatici, che irrompono con fenomeni estremi come alluvioni e ondate di calore, e impongono costanti e continui cambiamenti a bassa intensità, da quello che mangiamo a dove lavoriamo” (p. 2) rappresentano, nel documento, il primo tra “i problemi di natura globale che stanno premendo sulle ‘mura’ della nostra città, cambiando equilibri, mettendo in discussione ruoli, certezze e prospettive”. Non v’è quindi dubbio alcuno che, nella narrazione dell’amministrazione comunale, l’emergenza climatica rappresenti uno dei nodi principali su cui agire. Ma, anche alla luce di quanto emerso nei paragrafi precedenti, quest’attenzione rischia di tradursi in un mero striscione verde appeso alle finestre di Palazzo d’Accursio. Affrontare la crisi climatica, infatti, significa adottare soluzioni radicali, determinate, impensabili fino a pochi mesi o anni fa. Perché – ce lo dicono le/gli scienziate/i internazionali – è il sistema nel quale viviamo la causa della catastrofe verso la quale ci dirigiamo. Nelle linee guida di mandato della Giunta Lepore abbiamo trovato tanti buoni propositi, timide proposte, ma nessuna rivoluzione. Troppo poco per andare oltre il ‘bla bla bla’.