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La “Bologna per ricchi” e la vendita fantasma dell’ex Santa Giuliana

Occupato e subito sgomberato un anno fa, è rimasto senza esito il preliminare di vendita dell’immobile della chiesa che sembrava destinato a diventare un altro studentato di lusso. Un presidio delle/gli ex occupanti ha denunciato il caso, che si affianca alla “operazioni di speculazione” all’ex Tre Stelle e all’ex Inps.

20 Ottobre 2024 - 15:41

È passato più di un anno dallo sgombero di In/Out, l’ex Istituto Santa Giuliana di via Mazzini, un immobile di proprietà della Chiesa rimasto vuoto dopo la chiusura di una scuola cattolica e di un convitto che ospitava settanta studentesse universitarie. Lo aveva occupato pochi giorni prima il collettivo LUnA, “per aprire uno spazio per chi cerca casa, per chi è costrett* a stare su divani, chi in AirBnb, chi per strada”. Ci avevano iniziato a vivere 40 persone.

Durante lo sgombero, un poliziottto ferì una studentessa al volto con il manganello, procurandole sei punti di sutura al volto: “Prima di colpirmi in testa mi ha guardata, mi ha puntata, e ha sferrato la manganellata mandandomi a terra”, racconterà lei qualche mese dopo. La Procura denunciò sei delle persone che difendevano l’occupazione, infliggendo altrettante misure cautelari.

Dodici mesi dopo cosa è successo? Niente. L’immobile resta “amaramente vuoto“, come scrivono LUnA, Municipi sociali e Adl Cobas in testa al volantino distribuito nel presidio tenuto nei giorni scorsi davanti al’ingresso dello stabile. Lo sgombero fu motivato proprio con la necessità di chiudere la vendita  una società privata con la quale era già stato firmato un preliminare, con tanto di caparra da 800.000 euro già versata su un totale di otto milioni. Nonostante una scadenza fissata al 31 marzo, l’accordo è rimasto sulla carta e l’istituto non è stata venduto, come i manifestanti hanno appreso da una visura.

“Chiediamo alla Chiesa, alla Santa Sede che ha l’ultima parola sulla vendita di togliere definitivamente l’immobile dal mercato, che dal preliminare sapevamo essere stato destinato a studentato di lusso, per destinarlo alla città e quindi a studentati con prezzi accessibili”, fanno appello. La Chiesa a Bologna “dispone di un patrimonio immobiliare non indifferente, che a nostro avviso – afferma un attivista di Luna – dovrebbe mettere a disposizione per fare il proprio pezzetto rispetto alla questione abitativa”. A partire per l’appunto dal Santa Giuliana, visto che entrando un anno fa nell’immobile “abbiamo trovato più di 70 posti letto pronti per essere utilizzati e  quindi vederli vuoti è un grande colpo a chi in questa città vive un forte disagio”.

Bologna si sta trasformando in una città per ricchi. È chiaro che c’è un indirizzo politico dell’amministrazione ma vediamo come anche il potere negoziale dei privati sia in questo momento molto forte”. Il riferimento è ai due studentati privati annunciati un anno fa dal Comune nel comparto ex Tre Stelle e nel palazzo ex Inps  di via Gramsci, che i collettivi bollano come “operazioni immobiliari di speculazione ad opera di grandi fondi” e “che vanno fermate”.

Tra gli stuenti “si sta sviluppando un senso di rassegnazione nel venire a Bologna”, continua l’attivista. “C’è chi deve fare uno o due lavori mentre studia per guadagnarsi da vivere in città, vediamo tanti contratti che scadono e che i proprietari dicono di non voler rinnovare per fare un bnb o raddoppiare l’affitto”. Negli ultimi tempi “abbiamo conosciuto anche diversi Erasmus che hanno dovuto rinunciare perchè non riuscivano a trovare casa”, riferisce il portavoce del collettivo, mentre altri studenti “fanno i pendolari perchè non trovano casa. Ma ci sono anche lavoratori che hanno perso l’impiego perchè non trovano un alloggio e sono costretti a dormire per strada, ma poi in queste condizioni non riescono ad ad andare a lavorare alle sei del mattino in un magazzino”.

Le persone sgomberate un anno fa? “Alcune le abbiamo ospitate in vicolo Bolognetti per un mese o un mese e mezzo finchè non hanno trovato una sistemazione. Alcune sono finite in altre occupazioni poi sgomberate e altre hanno preso strade autonome”. Ma alla fine c’è “chi ha scelto di cambiare città ed era proprio quello che volevamo evitare”, spiega Adl Cobas.