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Rojava / “Viaggio a Suruç”

Una delegazione di Ya Basta è in viaggio verso il Rojava. La prima testimonianza dall’Anatolia, con un’intervista al vice governatore del cantone di Kobane.

04 Novembre 2014 - 16:19

Andare a Kobane per essere Kobane

Da tempo abbiamo stretto un legame con il Kurdistan ed il suo popolo. Emotivo prima di tutto perchè da subito ci ha emozionato la dolcezza e la determinazione con cui la gente che abita da millenni questa terra divisa tra quattro Stati dalle potenze coloniali ormai quasi un secolo fa, chiede di poter vivere in pace e libertà, di autodeterminarsi, di parlare la propria lingua, di decidere da sé il proprio futuro.

Consideriamo il Rojava un incredibile laboratorio di pratiche di autogoverno che supera qualsiasi linea di razza di genere o di religione. Esperienza che parla a chiunque, anche se in condizioni molto differenti, ricerca, desidera, progetta, pratica, difende progetti di libertà.

Per noi la resistenza di Kobane contro il fondamentalismo jihadista è anche lotta contro il fascismo nelle mille forme che esso può assumere.

Il riconoscersi tra simili pensiamo sia stato uno dei motivi che ha prodotto l’incredibile solidarietà internazionale manifestata nei confronti dei curdi del Rojava. Come abbiamo fatto altre volte nella nostra storia di attivisti (come quando zaino in spalla andammo nella selva Lacandona a conoscere i ribelli zapatisti) partiamo per capire come essere utili, provando a raccontare pezzi di queste storie e cercando di costruire legami: ponti che uniscono esperienze differenti, ma animate dalla ricerca di orizzonti simili.

Partiamo per avere più strumenti utili al nostro al nostro ritorno. Questo per noi vuol dire andare a Kobane per essere Kobane.

Ya Basta! Bologna

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Viaggio a Suruç – Un leone è sempre un leone. Non importa se sia uomo o donna

Suruc (foto Ya Basta)Siamo arrivati a Suruç da meno di due ore, accolti da un calore immenso. Nel quartier generale del partito DBP c’è fermento. Le porte delle stanze si aprono in continuazione, la fila per arruolarsi per combattere i tafkiri (termine dispregiativo che indica gli estremisti dell’Isis, il cui significato letterale riguarda chi accusa gli altri di infedeltà, apostasia) cresce esponenzialmente durante il corso della giornata. Abbiamo la fortuna di incontrare Khaled Barkal, vice governatore del cantone di Kobane, che ci rilascia questa breve intervista. A margine cita un detto curdo: un leone è sempre un leone. Non importa se sia uomo o donna.

Siamo a SURUC e vorremmo sapere prima di tutto di Kobane . Qual è la politica del governo di Kobane ?

Vuoi sapere della politica riguardante il conflitto o più in generale la politica di governo?

Qual è la carta costituente del cantone di Kobane?

Come saprai a Kobane noi siamo un’autonomia democratica. Noi siamo parte della Siria, ma proponiamo una Siria democratica, una Siria progressista, una Siria rappresentativa, una Siria equa che appartenga a tutti i siriani. Vorremmo questo mondo in tutte le zone. La nostra regione è il cantone di Kobane. Noi vorremmo lasciare libertà alla popolazione di scegliere la propria religione, la possibilità di autogovernarsi senza limitazioni, così che la gente possa decidere per se stessa. Ognuno è responsabile delle proprie azioni e ognuno viene giudicato solo per questo, senza guardare partiti o appartenenze religiose. Nel nostro cantone si combatte chi perseguita e giudica a partire dal proprio credo, che è quello che accade nel Daesh ( stato islamico, dispregiativo). Quella del Daesh è una guerra settaria e di discriminazioni. La nostra è una guerra ideologica. Chi ci fa la guerra ce la dichiara perché contrari alle nostre idee progressiste e contrari alla nostra idea di democrazia, ma soprattutto perché siamo riusciti a creare un’autonomia democratica e genuina. La nostra idea grida che la Siria è di tutti i siriani e siamo riusciti a rendere questo reale in tutto il Rojava ed anche nel cantone di Kobane. Questa è la più grande minaccia per i takfiri del Daesh.

Nella tua risposta ci sono molte domande che volevo porti. Qual è il ruolo delle donne a Kobane?

Dal punto di vista della rappresentanza fino ad arrivare al punto di vista del avoro della terra, la donna ha un ruolo centrale. Lo si vede come esempio nel ruolo che le donne ricoprono all’interno dell’Ypg. A differenza degli altri eserciti dove le donne hanno dei ruoli secondari e dove ci sono pregiudizi nei riguardi delle loro capacità, tra noi curdi e all’interno dell’Ypg non esiste assolutamente questa distinzione. Da noi nel Rojava non esiste nessuna separazione fra uomo e donna. Noi abbiamo delle donne che combattono mentre i mariti si occupano della casa e della terra.

Quando è nato l’Ypg? Cosa è? Da chi è formato? Curdi? Arabi? Stranieri che arrivano da fuori come volontari?

L’Ypg è nato come un contenitore che potesse essere riempito da chiunque lo desideri. Innanzitutto è composto da tutti coloro che hanno voluto difendere se stessi dagli assassini che si sono trovati di fronte nel proprio territorio. L’Ypg è stato riempito da tutti gli uomini e le donne dei villaggi che hanno subito scorribande a cui poi si sono uniti rivoluzionati da tutti i paesi del mondo: curdi, arabi, tedeschi…che però si uniscono per condividere l’idea di una Siria progressista, democratica che guarda ad una redistribuzione equa delle ricchezze, con nessuna separazione fra lo straniero che sceglie di vivere quelle terre, e l’arabo o il curdo che ci sono nati.

Come fa chi è in Europa, chi condivide questo pensiero a dare un aiuto concreto a Kobane?

Noi prendiamo tutti gli aiuti senza distinzione, anche volontari che vengono dalla Germania e dagli Stati Uniti; hanno scelto di arruolarsi come combattenti nelle nostre fila. L’unica discriminante per chi viene da fuori è che sia mosso d’amore, e con ciò non si crea nessun problema in assoluto.

Come sta andando la guerra?

Innanzitutto siamo tutti resistenti, tutta la nostra popolazione è la resistenza. Da oltre un mese e mezzo stiamo vivendo un conflitto devastante, una battaglia ad alta intensità. C’erano forze militari in Iraq, in Siria, che si sono opposte e che sono state spazzate via in poco tempo. Tutte le armi che i takfiri hanno preso, le hanno prese dagli eserciti in fuga, e hanno preso armi leggere e pesanti, corazzati, mezzi d’artiglieria e blindati anti proiettili e con questi hanno scorrazzato in lungo e in largo senza incontrare resistenze efficaci. Fino a quando non hanno trovato Kobane, fino a quando non hanno trovato noi.

Daesh è riuscito a spazzare via l’intero esercito iracheno con tutti i suoi carri armati e armi avanzate in 24 ore. Eppure da un mese e mezzo hanno concentrato gran parte delle loro forze su una piccola città come quella del nostro cantone che non conta niente a livello geografico e militare. La resistenza ha difeso e continua a difendere questo piccolo pezzo di terra con sole poche armi leggere, rischiando di ritrovarsi le case bruciate, i parenti uccisi, ritorsioni di ogni genere. Perché queste persone sentono di difendere la comunità, il comune, Kobane e tutto quello che rappresenta. Sentono che questa è la loro guerra, una guerra per la terra, una guerra per il futuro. Tutti i resistenti dicono che difenderanno Kobane fino all’ultima goccia di sangue e tutta la sua popolazione. E se i takfiri gridano “Kobane cadrà “, noi gridiamo “Kobane vivrà!” Inch’ Allah.

Intervista a cura di Karim Franceschi dei Centri Sociali delle Marche, Sara Montinaro e Roberto Cipriano  Ya Basta! Bologna