Attualità

Rojava / “Guardando Kobane”

Arriva nella città assediata il controverso sostegno dei peshmerga, guerriglieri del kurdistan iracheno armati dagli Usa. La testimonianza di una blogger dal confine tra Turchia e Rojava e la cronaca di Nena News.

31 Ottobre 2014 - 11:05

di Silvia Todeschini da Resistenza Quotidiana

Guardando Kobane (foto Silvia Todeschini)C’è sempre qualcuno che guarda verso Kobane, di giorno, di notte. Qui sono tutti specialisti: riconoscono se a sparare è la resistenza delle Ypg e Ypj o i fascisti dell’isis dal suono delle armi. Quasi tutti noi che dormiamo nel villaggio di Masl abbiamo qualche conoscente o amica/o dall’altra parte, ci sono molte madri in attesa dei figli e delle figlie.
Ieri sera, vicino al fuoco, una profuga di Kobane, dopo aver scherzato sugli strani giochi della sorte che hanno fatto si che il minareto del suo quartiere crollasse sulla casa dell’unica famiglia cristiana, mi ha detto: “da quando sono uscita, sono stata a Suruc e a Urfa, e poi però sono tornata qui, che sono più vicina a Kobane, mi sembra di respirarne l’aria, qui quasi mi sento a casa. Quando Kobane sarà libera vieni che ci entriamo assieme? Ti ospito a casa mia! Però prima devi imparare il curdo, così quando entri parli con tutti.”
Una volta qui è arrivata una cattiva notizia. Una madre piangeva ed era vicina allo svenimento dal dolore. Una volta sola però: qui, quello che vedo, è una ferma volontà: noi vogliamo vincere. Noi vogliamo liberare Kobane. Per poter liberare Kobane, dobbiamo essere sicuri che ce la faremo. Dobbiamo portare ottimismo. Quindi solo buone notizie, per favore: per le cattive notizie ci sarà sempre tempo. Il morale è alto, il sorriso è sempre pronto. Però gli occhi girano ancora verso la città di Kobane, ad ogni bomba, ad ogni sparo. Ad osservare il fumo che sale, a non sapere chi possa essere rimasto sotto le macerie, a sperare per il ritorno alle proprie case, o a quello che ne rimane.

Intanto, coloro con cui parlo, si raccomandano che dica alcune cose alla gente in Italia, che le metta in chiaro, che si sappia. E principalmente, riguardano il fatto che la Resistenza a Kobane è portata avanti dalle Ypg-Ypj, dalle guerrigliere e dai guerriglieri curdi. Mi è stato spiegato da Ali, un compagno che stava combattendo quando sono arrivate le famose armi degli Stati Uniti in aiuto dei curdi, che queste erano bombe a mano ed altre cose poco utili in quelle circostanze, e tra l’altro scadute per il 70%. Secondo la testimonianza di Ali, poi, quando la coalizione (cioè in pratica gli Stati Uniti) bombarda, colpisce case vuote, non attacca veramente l’ISIS. Un suo amico fa giustamente notare l’ovvio: “gli Stati Uniti hanno conquistato l’Iraq in 20 giorni, vuoi davvero farmi credere che se volessero intervenire seriamente a Kobane la guerra continuerebbe a durare da 43 giorni?”. D’altronde, come diceva Joan la sera prima di entrare a combattere, l’ISIS è una creazione degli Stati Uniti, tutto questo show del volerlo distruggere, al momento è solo propaganda. Tutte cose che già si sanno, certo, ma che vale la pena ribadire.
E, nonostante questo, Kobane resiste.
Mi è stato mostrato l’originale di un video, direttamente dalla telecamera, di alcuni soldati turchi che chiacchierano con combattenti dell’ISIS. (chi me lo ha mostrato lo aveva dato alla televisione locale che lo ha trasmesso la sera stessa, è finito anche sul giornale tedesco). Gli stessi soldati turchi che tengono il confine chiuso per i e le combattendi del YPG – YPJ. Gli stessi soldati turchi che sparano ai curdi quando (per le loro vie) tornano da Kobane, come mi raccontava Ali. I soldati della Turchia alleata con l’occidente. Kobane è chiusa da 3 lati dall’ISIS, e dal quarto dai turchi, e i curdi qui si sentono abbandonati dal mondo: anche per questo è importante la solidarietà internazionale e la scadenza del 1 novembre.
Sembra che invece un certo cambiamento reale sul campo sarà dovuto alle armi portate dai Peshmerga. Su una cosa sono tutti d’accordo, che saranno armi utili, e che il fatto che arrivino è un buon aiuto alla Resistenza: sia perché sono le armi giuste, che perché contribuisce ad alzare il morale e trovare motivazione a continuare. Dopodichè, chiaramente a livello politico questo gesto viene letto in diverse maniere: c’è chi punta l’attenzione sull’importanza dell’unità del popolo curdo, e quindi sull’importanza che ha questo gesto di collaborazione, e c’è chi afferma che Barzani (il leader del movimento a cui fanno riferimento i Peshmerga) accetti supinamente quello che gli Stati Uniti gli dicono di fare: per questo inizialmente non ha combattuto contro l’ISIS quando è entrato nel Kurdistan iraqeno; per questo, ora che ha accettato di portare le armi in aiuto delle YPJ-YPG è perché gli Stati Uniti hanno deciso di porre fine a questa loro ennesima creazione (l’ISIS viene paragonato ad Al Quaeda e Saddam Hussein) e Barzani può sfruttare questo come propaganda.

Ieri è arrivata un’altra ondata di profughi da Kobane: 150 l’altroieri sera e poi altri il giorno dopo. Ora i turchi li lasciano passare ma non lasciano che si portino dietro le automobili, e alcuni rimangono fermi al confine in attesa. Sono stati portati nei campi, dove sono state allestite le tende e dove troveranno qualche cosa da mangiare: i volontari che si occupano di questo sono per la maggior parte giovanissimi. Intanto, Kobane resiste. Dentro, c’è qualche migliaio di civili (qualcuno dice 2000, qualcuno 5000), chiusi in casa nelle zone sotto controllo curdo, senza acqua, elettricità e con cibo scarso; e qualche migliaio in più di combattenti (qualcuno dice 8000, qualcuno 4000), uomini e donne. E questo particolare che ci siano anche le donne, lungi dall’approccio occidentale per cui i loro volti diventano “fashon”, è per loro davvero importante: è un’affermazione della libertà femminile non solo nei confronti dell’ISIS che vende le donne e le tratta come schiave, ma anche nei confronti del nostro occidente, dove spesso la donna viene oggettificata e valutata per il suo corpo, più che per le sue azioni. L’orgoglio negli occhi di queste donne, la loro fierezza e ostentato buonumore, sono cose che insegnano davvero molto al nostro mondo composto spesso da bambini viziati in la con gli anni. L’altro giorno, ad esempio, ci sono state diverse esplosioni causate dall’ISIS. La sera, abbiamo gridato slogan più forte del solito, perché stando a pochi km da Kobane sapevamo che di la i combattenti curdi ci sentivano, e speravamo di dar loro un po’ di supporto. Dopo, abbiamo ricevuto una telefonata da una combattente che si trovava li: diceva che l’autobomba che avevamo sentito non aveva fatto nessuna vittima e che le case bombardate erano vuote. Che sarebbe cambiato tutto, che la resistenza curda avrebbe vinto. Solo buone notizie. Perché fino a che Kobane non sarà libera, non possiamo perdere la forza e la certezza di farcela. Ieri ci sono stati 5 funerali, più o meno nella media, ma qui, per questo, non ne parlerò. Prima che cada Kobane, cadrà Istanbul.

Qui siamo davvero pochi stranieri, a parte i giornalisti. Ci sono diversi turchi qui in solidarietà, ma da fuori la Turchia siamo pochissimi. I curdi sono incredibilmente ospitali, non si viene mai lasciati soli, anche se non si parla nessuna lingua in comune. Un ragazzo turco ieri mi ha detto che per lui la libertà e essere qui, ora, a cantare ed ascoltare canzoni tradizionali curde di fronte a un fuoco a fare il possibile per supportare una resistenza incredibilmente tenace. Per cui non mi resta che invitarvi alla liberazione di Kobane – che avverrà certamente – perché sono certa che ne varrà la pena.

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SIRIA. Peshmerga a Kobane. Opposizioni moderate allo sbando

150 combattenti curdi inviati da Irbil  nella città sotto assedio. Isis e Fronte al-Nusra strappano all’Esercito Libero i villaggi intorno Idlib.

 di Chiara Cruciati da Nena News

I 150 peshmerga che tanto hanno fatto discutere in questi giorni sono arrivati in Turchia questa (mercoledì, NdR) mattina. Prossima destinazione Kobane: una parte del gruppo a bordo di autobus è in viaggio verso la città curda a nord della Siria, scortata da veicoli militari turchi. Alcuni sono arrivati in aereo, altri in autobus dal Kurdistan iracheno, sventolando bandiere curde.

Lungo il confine i curdi che da oltre un mese hanno assistito da lontano alla battaglia di Kobane li hanno visti passare e li hanno accolti con canti e slogan. Sembra giunta alla fine la diatriba tra Ankara e Rojava, che hanno passato l’ultima settimana a scambiarsi accuse per il ritardo nell’arrivo dei peshmerga mandati da Irbil.

“Resteranno fino a quando non saranno più necessari”, aveva detto ieri il ministro curdo Qader. Avranno con sé armi automatiche, lanciarazzi e mortai, tutti di fabbricazione Usa, con la promessa di non lasciarli in mano alle Unità di Protezione Popolare di Kobane e ai combattenti del Pkk presenti nella città curda. Funzionari di Irbil hanno poi tenuto a precisare che non saranno impiegati in azioni dirette, sul campo, ma sosteranno con l’artiglieria i combattimenti dei kurdi siriani.

La notizia fa sorridere il presidente Obama, dopo settimane di pressioni sulla Turchia perché intervenisse a Kobane. L’unico intervento ottenuto è stato il via libera al passaggio dei peshmerga. Poca cosa: appare alquanto improbabile che 150 combattenti possano fare la differenza in campo, quella differenza che nemmeno le bombe della coalizione riescono ad archiviare.

L’Isis resta fermo nelle proprie posizioni e si fa beffe del fronte anti-Isis, di nuovo via web. Ieri è stato pubblicato un nuovo video dello Stato Islamico in cui appare l’ostaggio britannico John Cantlie, usato dall’Isis alla stregua di un reporter di guerra. Cantlie da Kobane dice di voler svelare le bugie dei media occidentali: l’Isis non sta perdendo la battaglia per la città kurda, dice nel video, perché controlla ancora la zona est e sud della città. La caduta di Kobane, aggiunge, è solo questione di tempo.

Ma non si combatte solo a Kobane. Nel resto della Siria è in atto uno scontro su due livelli, tra Damasco e Isis e tra Stato Islamico e opposizioni moderate. Seppure il nemico sia lo stesso Washington insiste nel non voler parlare con il governo di Assad, aiutando indirettamente l’avanzata islamista. Ora sempre più vicina alla caduta è la città di Idlib, 30 chilometri da Aleppo.

Lunedì miliziani dell’Isis e del Fronte al-Nusra (ex gruppo qaedista, oggi affiliato allo Stato Islamico dopo la stipula di un patto di non aggressione) hanno lanciato una dura offensiva contro la comunità, strategica per la sua posizione. A metà tra Aleppo e Latakia, lungo la costa mediterranea, Idlib rappresenta il corridoio di passaggio tra il nord – per gran parte occupato dalle milizie di al-Baghdadi – e la costa, e quindi Damasco. Due giorni fa gli islamisti hanno temporaneamente occupato la sede del governatore e il quartier generale della polizia e avrebbero decapitato 70 soldati governativi. Poco dopo l’esercito di Damasco ha riassunto il controllo di Idlib, ma l’alleanza tra al-Nusra e al-Baghdadi continua a preoccupare.

Preoccupa anche la Casa Bianca, dopo la presa da parte islamista di alcune comunità intorno Idlib, strappate al controllo delle opposizioni moderate dell’Esercito Libero Siriano sempre più allo sbando. Ormai in un angolo, il braccio armato della Coalizione Nazionale Siriana (considerata dalla comunità internazionale unico rappresentante legittimo del popolo siriano), è spinto fuori da ogni area prima controllata, tanto da perdere ulteriore credibilità anche agli occhi dell’alleato Usa. A Washington si continua a discutere del programma di addestramento e armamento di 5mila miliziani dell’Els, nella convinzione però che vadano ormai utilizzati non per la guerra guerreggiata quanto per una futura transizione politica. Se mai ce ne sarà una.

La perdita delle comunità intorno Idlib è un altro duro colpo per le opposizioni moderate, incapaci di frenare Isis e Fronte al-Nusra, in grado di allargarsi fino al Libano dove nei giorni scorsi è stato protagonista di una dura battaglia a Tripoli con l’esercito di Beirut.

“Quanto successo è già avvenuto in passato – ha detto Jamal Maarouf, leader delle opposizioni moderate siriane – Ma questa volta la mobilitazione è molto ampia”. Impossibile frenarla, soprattutto per una coalizione internazionale divisa al suo interno tra gli interessi personali e strategici di ogni attore in campo che detta diktat e impone obiettivi. Nena News