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Islanda / Corte Efta riconosce l’insolvenza

Il tribunale dell’Associazione Europea di Libero scambio (più ampia dell’Ue) dà ragione alla decisione di non rimborsare il debito dei correntisti stranieri. Una novità del diritto internazionale.

04 Febbraio 2013 - 22:36

Di Marco Bertorello da Megafono Quotidiano

La Corte di Giustizia dell’Associazione Europea di Libero Scambio (Efta, una associazione a cui aderiscono oltre i paesi Ue, Islanda, Norvegia e Liechtenstein) consegna una sentenza importante per quanto attiene le regole possibili di una nuova finanza. L’Islanda ha ottenuto un importante riconoscimento rispetto al suo rifiuto di garantire correntisti stranieri di fronte al fallimento della banca islandese Landsbanki. Il collasso di questa banca incluse la sua versione on line, chiamata Icesave, in cui investirono circa 230 mila cittadini britannici e 100 mila olandesi invogliati dagli elevati rendimenti offerti. La crisi finanziaria islandese produsse il crack bancario e Icesave divenne insolvente. I governi inglese e olandese garantirono i correntisti autoctoni e successivamente chiesero rivalsa direttamente al governo di Reykjavik. Questi fece appello alla Corte dell’Associazione europea. Ieri la sentenza riconosce che l’Islanda non è obbligata al rimborso dei correntisti stranieri. La cifra benché non enorme, si parla di circa 2 miliardi di Euro, rappresentava qualcosa come il 20% del Pil del piccolo paese nordico. Un indiscutibile successo non solo nel merito della contesa, ma anche perché tale sentenza è automaticamente eseguibile e non appellabile. Un punto fermo insomma.

In questi tempi di crisi del sistema bancario, dove i governi sono pronti a garantire immediatamente con soldi pubblici le perdite private questa sentenza segnala come in realtà di fronte all’insolvenza per lo meno esista un vuoto legislativo che non favorisce espressamente le banche e gli investitori. In Islanda, infatti, il fondo di garanzia è stato incapace di far fronte alle sue obbligazioni, ma nei trattati internazionali non sono previste norme che prevedano un obbligo per l’Islanda al rimborso. Vano è stato l’intento dei governi inglese e olandese di appellarsi alla direttiva europea del 2009 che prevedeva una copertura massima fino a 100 mila euro di depositi.

La sentenza, naturalmente, va contestualizzata, come va considerato l’ammontare complessivo conteso, ma certamente rappresenta una significativa novità sul versante giuridico internazionale. Non è un caso che vi sia stata una reazione piuttosto piccata da parte della Commissione europea. Questa sentenza potrebbe rappresentare un’inversione di tendenza nei rapporti finanziari capestro esistenti e magari l’inizio di un ripensamento persino sulle regole nei confronti dei debiti sovrani. Esistono paesi che chiaramente non sono più in grado di sopportare i propri debiti e che necessitano nuove formule per uscire da questa morsa. Il problema dunque non è solo nella relazione tra investitori e banche ma più in generale tra creditori e debitori. Dal non garantire necessariamente gli investitori stranieri delle banche a non garantire neppure quelli del debito pubblico il passo potrebbe essere breve. Si tratta di ragionare come ristrutturare dal basso un debito sovrano e come tutelare i piccoli risparmiatori di qualunque nazionalità essi siano.