Acabnews Bologna

Intervista / Il “caso Delbono”: è questione morale e di democrazia

Rudi Ghedini è considerato un attento osservatore della politica e della sinistra bolognese. Lo abbiamo sentito sul “Flavio-gate” e su come questa vicenda abbia influito sull’immagine della città.

08 Febbraio 2010 - 17:40

Rudi Ghedini, è stato giornalista dell’Unità e del vecchio Zero in condotta, in questi anni il suo rapporto con la scrittura si è “esternato” attraverso la pubblicazione di diversi romanzi e di alcuni saggi (sulla tragedia del lavoro della Mecnavi, la vita artistica di Andrea Pazienza, la vittoria di Guazzaloca a Bologna) e le collaborazioni con periodici come Carta, Le Monde Diplomatique e il Guerrin Sportivo. Oggi gestisce un Blog molto visitato (http://rudi.splinder.com/), che si chiama col suo nome (“Rudi”), e che mette in fila quotidianamente una serie di pensierini ben scritti, sull’Inter, sulla Sinistra, su Bologna, sulla musica, il cinema, i viaggi e la letteratura.
Considerandosi ed essendo considerato un “attento osservatore”, abbiamo deciso di realizzare con Ghedini questa intervista sul “caso Delbono” e su come questa vicenda abbia influito sull’immagine della città.

Ciò che sta accadendo a Bologna va ben al di là dell’eventuale profilo penale delle accuse che hanno portato alle dimissioni del sindaco…

“Sì, si tratta di un evento di per sé storico, mai accaduto in 65 anni di vita democratica. E se è vero che si tratta di accuse che non hanno a che fare direttamente con il funzionamento del Comune di Bologna, ma con il ruolo svolto da Delbono quando era assessore e vicepresidente in Regione, resta la sostanza: la città si è ritrovata senza sindaco e con indagini in corso che colpiscono la presunta superiorità morale della classe politica di centrosinistra”

Ma non ti sembra che il PD stia minimizzando questa vicenda?

“ Non direi… Anche se è il soggetto politico che ha la massima responsabilità di questo disastro… fu infatti il PD che impose agli alleati le primarie di partito… oggi al suo interno si levano voci preoccupate, che evitano di minimizzare la portata dello scandalo ad affare “sessuale”, e temono si tratti di episodi collocabili dentro un “sistema di potere”. Riveste particolare gravità la questione dei contratti e appalti concessi dal CUP – azienda pubblica partecipata dalla Regione – a favore della ditta di un amico del sindaco. Ora, Delbono risulta indagato per peculato, abuso di ufficio, truffa aggravata ai danni della Regione, nonché per aver fatto pressioni su testimoni nell’inchiesta che lo ha portato alle dimissioni”.

Quindi è opprortuno di parlare di questione morale…

“È giusto parlare di “questione morale”, anche perché il Pd non ha mai chiesto le dimissioni del sindaco. Anzi, il segretario del Pd ha persino detto che il sindaco era già stato assolto dagli elettori. In seguito, Delbono è stato spinto a dimettersi tramite telefonate riservate, e da quel momento l’unica preoccupazione del Pd è stata quella di minimizzare la gravità di quanto era accaduto, riducendo il tutto alla categoria del “sexgate” ed evitando di mettere in discussione le scelte che hanno portato a candidare Delbono e il significato dei comportamenti per cui il sindaco ha dovuto dimettersi. Quello che è stato definito come “il collasso dell’etica pubblica””.

Quello che è successo, politicamente, a chi crea danni?

“Per l’intera sinistra, il danno politico è incalcolabile, nonostante la differenza che passa fra comportamenti moralmente inaccettabili e reati penali, tutti da dimostrare. È ormai accertata l’estrema disinvoltura nell’esercizio del potere, e l’occasione di questo fallimento deve servire a ripensare, almeno, alle modalità di selezione dei gruppi dirigenti. Paradossale è il fatto che nemmeno i partiti alleati abbiano finora avuto il coraggio di pretendere questo cambiamento, e le voci più critiche – quelle che hanno posto il tema del “sistema di potere” e della necessaria discontinuità con le classi dirigenti degli ultimi dieci anni – siano venute dall’interno del Pd”.

Delbono sicuramente c’ha messo del suo, ma non è il sistema dei partiti (anche di quelli di “sinistra”) che comincia a far acqua?

“Abbiamo prima parlato di “questione morale”, ma in realtà si tratta, più in generale, di “questione democratica”, perché i partiti hanno requisito le chiavi della democrazia rappresentativa, e tanto più la loro vita interna si è fatta asfittica, tanto più pretendono l’esclusiva nella selezione delle cariche pubbliche. Un circolo vizioso che ha progressivamente ridotto l’autorità morale delle classi dirigenti: non a caso la categoria della “casta” si è abbattuta anche sui gruppi dirigenti della sinistra”.

Si ripropone, pertanto, la questione della cosiddetta “società civile”?

“Non serve enfatizzare le virtù della “società civile”, contrapponendola alla casta politica. Si tratta, piuttosto, di rivendicare una pari dignità fra partiti, reti, movimenti, associazioni di cittadini nel determinare la traiettoria del nuovo percorso politico che occorre aprire nella sinistra bolognese, se si vuole affrontare la gravità della crisi in cui siamo coinvolti.
In altri termini, si tratta di praticare un’altra idea della politica finalizzata a raccogliere proposte, energie, entusiasmo, fino a definire e comunicare un’altra idea di città.
Tornano di attualità idee e pratiche che hanno caratterizzato l’ultima grande stagione del pensiero critico, quella che si è rappresentata a Genova e nei social forum. Molti di noi hanno vissuto quella stagione, molti di noi hanno partecipato alle mobilitazioni pacifiste, contro le “guerre giuste” e “umanitarie”, e ancor prima hanno contribuito a una delle ultime grandi vittorie della sinistra italiana, quella sancita dai referendum contro le centrali nucleari. Pacifismo, riconversione ecologica dell’economia e democrazia partecipativa sono i fattori fondamentali della nostra identità politica. Quanto alle pratiche, accanto allo specifico contributo venuto dal movimento delle donne, resta essenziale l’approccio sintetizzato dallo slogan “pensare globalmente, agire localmente””.

Quei movimenti, però, sono andati ben oltre la “fase carsica”, direi che in Italia si sono esauriti, e quelli nuovi non hanno la stessa capacità di aggregazione…

“In questi ultimi mesi, ci sono stati i movimenti per la difesa della Costituzione e della libertà di informazione, per il rilancio della scuola pubblica, per i diritti dei migranti, per una nuova generazione di diritti civili fondata sulla piena laicità dello Stato, per una gestione pubblica dei beni comuni, per la difesa del territorio dal consumo scriteriato e per la qualità dell’aria che respiriamo, per una diversa legislazione del lavoro che consenta ai giovani di uscire da una condizione di perenne precarietà. Questi movimenti hanno imposto all’attenzione – prima e a volta contro le astratte priorità dei partiti – una lettura dell’Italia carica di indignazione e in grado di cogliere le ragioni e le responsabilità di vecchie e nuove ingiustizie.
Intorno a queste idee può nascere una nuova aggregazione a sinistra.
Nuova, accogliente, coinvolgente, capace di attivare luoghi di discussione e luoghi di socialità. Capace di indicare una prospettiva di governo e ritrovare una connessione sentimentale con la città. Capace di innescare un’autentica rigenerazione della sinistra bolognese”.

Rigenerare la sinistra bolognese, e come? Non ti sembra che abbia raggiunto il suo livello più basso di rappresentanza?

“Se la sinistra, a Bologna, è divenuta quasi irrilevante, una delle cause è la sua frammentazione; un’altra sta nel comportamento adottato da gruppi dirigenti che, pur di preservare il loro piccolo potere di contrattazione (con il Pd) hanno fatto fallire qualunque ipotesi unitaria. Perciò, la credibilità di una nuova proposta politica comincia dalle persone che la avanzano.
Nei prossimi mesi si dovrà scegliere con chiarezza un percorso: l’alternativa è stare dentro il recinto delle “primarie di coalizione”, indicando un proprio candidato, oppure agire per costruire una soggettività esterna a quel recinto, che si proponga di presentare una lista e un candidato-sindaco.
Se si vogliono intraprendere pratiche politiche autenticamente democratiche, va detto chiaramente che questo può avvenire se la conclusione del percorso è nelle mani di chi partecipa, non è già scritta – predefinita – da qualcuno che pretende di guidare gli altri”.