Aprì quasi per scherzo in vista della mobilitazione No-Ocse del 2000, finì per cambiare l’informazione dal basso e la storia dei movimenti prima, durante e dopo il G8 di Genova: lo racconta il libro corale “Millennium bug”, che verrà presentato stasera a Vag61. E ci sono due sorprese.
Càpita nel 2021 di scoprire che, più di vent’anni prima, galeotta fu una riunione a Bologna per porre le basi del sito di Zero in condotta nel fare incontrare le due persone che per prime ebbero l’idea di aprire il primo nodo italiano di Indymedia, il sito internazionale di informazione dal basso che nel novembre 1999 aveva seguito le grandi manifestazioni contro la conferenza di Seattle del Wto dando la possibilità di pubblicare contenuti a chiunque, senza nessuna registrazione o filtro.
La sorpresa è a pagina 42 di “Millennium bug, una storia corale di Indymedia Italia”, libro edito da Alegre e che verrà presentato questa sera alle 21,30 a Vag61 in via Paolo Fabbri 110. Siamo a inizio 2000, Zero in condotta era un giornale molto diverso da oggi e usciva in edicola ogni settimana, il dominio zic.it sarebbe stato registrato solo un anno dopo. Bologna si preparava a contestare il vertice Ocse del giugno successivo. Il sito italy.indymedia.org aprì a ridosso di quella data, e all’inizio fu una specie di scherzo: l’idea “era far passare Indymedia come una redazione giornalistica a tutti gli effetti e furono mandati comunicati ai giornali in cui si presentava come una testata vera e propria”, con tanto di foto scattate però in un laboratorio di informatica all’università. “I giornali abboccarono”, si legge nel libro, ma nelle giornate del No-Ocse il newswire, lo spazio a pubblicazione libera sul sito, iniziò davvero a popolarsi di notizie e contenuti multimediali. Al progetto subito dopo si interessò la comunità di hackmeeting, l’incontro delle culture digitali che si svolge annualmente dal 1998, e fu l’inizio di una storia che sarebbe passata da altri “controvertici” di quegli anni: a Praga contro il Fondo monetario internazionale, a Napoli contro il Global Forum a marzo 2001 e soprattutto a Genova contro il G8, dove Indymedia giocò un ruolo fondamentale e “tolse la narrazione dalle mani dei media mainstream”.
“Millennium bug” racconta tutta la storia. La prende ancora più dalla lontana, dagli anni ’80, dal mondo pioneristico delle BBS, sistema di comunicazione telematica via modem che permetteva di condividere file e messaggi quando il world wide web doveva ancora essere inventato, dalle prima comunità hacker, per poi dedicare molte pagine ai fatti di Genova, quelli di piazza e quelli avvenuti tra il mediacenter alla scuola Pascoli e la scuola Diaz, narrati da molti punti di vista, e infine passare ai mesi e agli anni successivi, alla realizzazione del documentario Aggiornamento#1, allo nascita in senso di comunità dell’esperienza di Supporto Legale. Una seconda sorpresa arriva a pagina 159, dove spunta un capitolo firmato da Zerocalcare, che tra le altre cose racconta che per partecipare a una discussione sul newswire di Indymedia si trovò a doversi inventare un nickname, e proprio in quel momento passò in tv la pubblicità di un prodotto per pulire il ferro da stiro.
Indymedia Italia ha chiuso nel 2006, ma negli anni successivi aprirono diversi nodi locali (tra cui Indymedia Emilia-Romagna) che ebbero alterne fortune, l’ultimo smise le pubblicazioni nel 2017. Il primo storico sito, però, con le cronache di Genova e tante storie di lotta dei cinque anni successivi, è rimasto inaccessibile per 15 anni. L’ultimo capitolo del libro racconta di come in vista del ventennale del G8 la comunità di Indymedia si sia ritrovata e sia riuscita a far tornare online l’archivio. Per tutto luglio 2021 è stata in funzione la Indymedia time machine, che ha ripubblicato sui social network i post di venti anni prima, lo stesso giorno alla stessa ora.
ll ripristino di tutti i materiali d’archivio, e la pubblicazione del libro, si sono rivelate operazioni importanti e hanno permesso di sottrarre all’oblio una parte importante della storia dei movimenti , consegnando la testimonianza di come furono i primi a capire le potenzialità rivoluzionarie della rete e dell’informazione dal basso, ben prima del web 2.0, dei giganti del web, degli algoritmi.