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Inchiesta / Vent’anni di emergenza abitativa a Bologna

Chissà se, accantonati i pregiudizi politici, la questione della casa verrà considerata uno dei problemi sociali più gravi come dovrebbe. La commissaria straordinaria incontra gli occupanti di via del Vivaio e questa è una novità.

22 Febbraio 2010 - 17:00

E’ MEGLIO DIFFIDARE DI CHI OCCUPA POLTRONE INVECE CHE DI CHI OCCUPA CASE SFITTE
E’ curioso che la Giunta comunale che ha dovuto, in fretta e furia, riempire gli scatoloni per lasciare posto al Commisario Prefettizio, abbia deciso tra le sue ultime delibere di cancellare le cosiddette “casette olimpiche” (una residenza collettiva che doveva essere realizzata già nell’altro mandato) e il vice-sindaco Merighi abbia salutato il suo breve mandato con un gesto dallo stile cofferatiano, ordinando lo sgombero di un immobile comunale in via del Vivaio. Stranamente la struttura era inutilizzata (senza nessuna giustificazione) da anni, ma appena delle famiglie di sfrattati l’hanno occupata una sua assegnazione è arrivata all’ordine del giorno.
Eppoi, ancora una volta, la stantia manfrina: “occupare non è di sinistra… si tolgono alloggi a chi ne ha diritto”.
Sulla “guerra tra poveri” che astutamente molti pubblici amministratori scatenano, invece che affrontare i problemi e/o trovare soluzioni, parleremo dopo. Per quanto riguarda l’essere di sinistra non facciamo fatica a domandare a Merighi: “E’ forse di sinistra aver scelto come candidato sindaco un personaggino come il signor Flavio Delbono?”.
Per quanto concerne poi la vostra altra “ossessione”, la LEGALITA’, non vi sentite affetti da un strabismo endemico che vi ha portato, per cinque anni di Cofferati, ad usare ruspe e manganelli contro poveretti e senza-casa, senza mai riuscire ad attivare politiche minimamente decenti per quanto riguarda l’emergenza abitativa in continua crescita in città?
E, al tempo stesso, come avete fatto a non accorgervi che, a fianco a voi, prendeva spazio una classe politica che era eslusivamente interessata al suo interesse personale (anche il più infimo) o al massimo del suo piccolo gruppo di amici e di sodali, completamente priva di dedizione al bene comune, semmai solamente disponibile a tutelare gli interessi dei vari poteri forti che da anni comandano incontrastati in città?
E a pagare le conseguenze di questo andazzo non sono certo gli “occupatori di poltrone”, ma la parte più debole della popolazione che, oggi, vede la sua condizione di vita ulteriormente aggravata dalla crisi.

A BOLOGNA SONO MIGLIAIA GLI SFRATTI
Secondo i dati raccolti dalla Corte d’Appello, a Bologna, nel 2009, le richieste di sfratto hanno raggiunto la quota di 2.900, la maggior parte delle quali dovuta a morosità.
Con la crisi, un 25,5% in più di inquilini (rispetto al 2008) è stato buttato fuori di casa. Sono cresciuti anche del 118,5 i pignoramenti immobiliari.
Il numero di questi sfratti proietta Bologna sulla vetta nazionale al livello di metropoli come Roma (nella capitale ci sono stati 7359 sfratti), Milano e Torino.
Questo dato, per tutto lo scorso anno, non era sfuggito al sindacato degli inquilini Asia-Rdb che ha organizzato diversi presidi antisfratto, in occasione dell’arrivo degli ufficili giudiziari con la forza pubblica.
Negli ultimi mesi, a più riprese, anche il SUNIA, ha lanciato l’allarme, parlando di una situazione difficile anche a livello regionale.
La prima causa di sfratto, che riguarda 8 casi su 10, è la morosità, cioè l’impossibilità di pagare l’affitto, e, a finire in strada sono soprattutto anziani, malati, lavoratori flessibili, chi stenta ad arrivare a fine mese, perché la crisi non colpisce tutti allo stesso modo.
Quello degli sfratti non è un problema venuto all’attenzione recentemente. Anche in altri periodi storici, come nella crisi del 1992, ci furono livelli alti di gravità. Rispetto a quegli anni, però, ci sono differenze per quanto riguarda i tempi delle espulsioni dalle abitazioni: un tempo la ragione principale degli sfratti era il mancato rinnovo dei canoni di locazione, oggi invece è la morosità che consente molte meno dilazioni temporali agli inquilini in difficoltà.

LA CONTINUA EMERGENZA ABITATIVA IN CITTA’
Alcuni mesi fa, il Centro Studi Nomisma ha segnalato che il 75% delle famiglie residenti in affitto e il 50% di quelle che hanno un mutuo non riescono a onorare i pagamenti a fine mese.
E’ stato fastidioso tutto l’agitarsi, di amministratori pubblici, commentatori politici e firme prestigiose dei quotidiani locali, attorno a questa specie di “effetto novità”, prodotto dall’inchiesta di Nomisma.
Noi lo possiamo dire perché, dalle pagine di Zero in condotta, sono anni che denunciamo la presenza di un’emergenza abitativa in città e nessuno, a livello di istituzioni, ma anche di media ufficiali, aveva mai dato il giusto peso a un problema sociale così grave.
Nel giugno del 1997, in un’inchiesta su Zero in condotta, scrivevamo: “Il comune di Bologna risulta latitante almeno da un ventennio. L’ultima politica di intervento pubblico sul problema casa risale agli anni ‘70 quando l’allora assessore Cervellati “ordinò” il risanamento del centro storico. All’epoca, il Comune investì nell’acquisto dei tanti immobili degradati, si sobbarcò i costi di ristrutturazione, mantenendo in locazione gli inquilini originari. Con l’esplosione del terziario, il centro storico iniziò il suo percorso di trasformazione verso una, più propriamente definibile, grande vetrina. La conseguente fase speculativa lasciò i vecchi inquilini con un’amara sorpresa: “normali” abitazioni divenivano di lusso mentre altre venivano destinate ad uso ufficio o comunque non abitativo. Tutti coloro che non potevano permettersi una più agiata sistemazione hanno dovuto scontrarsi, nel migliore dei casi, con un aumento generalizzato dei canoni d’affitto”.
In quel servizio si parlava del fatto che l’Italia, all’epoca (ma è così ancora oggi), deteneva il primato per la più bassa incidenza di patrimono pubblico fra gli altri membri dell’Unione Europea. Questo si traduceva, in Emilia-Romagna, con un’offerta pubblica di alloggi ERP che si aggirava su un misero 6-7% sul totale degli alloggi.
Veniva poi reso noto che un censimento del 1991, effettuato dal settore Pianificazione e Controllo del Comune di Bologna sulle abitazioni, dava uno specchio preciso delle dinamiche demografiche che erano presenti in città: mentre diminuiva il numero di famiglie, era in aumento quello degli appartamenti abitati da non residenti, lavoratori e studenti fuori sede. Lo stesso dato era stato confermato da una statistica pubblicata nel 1995 a cura dell’Uffico studi comunale (“Scenari demografici per l’area urbana bolognese negli anni novanta”) che rivelava, inoltre, un invecchiamento progressivo dei residenti, l’incremento di famiglie monoredddito, singles e un’alta concentrazione di studenti universitari. In quello studio si prevedeva un flusso migratorio costante per gli anni successivi e si “sollecitava” la città a prepararsi ad accogliere i “nuovi arrivati” nello scenario di mutamento della popolazione che si stava delineando.

Le politiche economiche anni ’90 poi fecero il resto, implementando la “produzione di casi sociali” tra cui emergevano i lavoratori d’immigrazione extraeuropea, le donne sole con figli a carico, gli anziani, in particolare quelli che avevano subito l’esodo coatto dal centro storico degli anni ‘70/’80 (che con l’esplosione del terziario aveva subito una trasformazione speculativa da lugo di residenza a “grande vetrina”). In quegli anni, inoltre, cominciarono ad essere sempre più frequenti i casi di profonda emarginazione, legati a fenomeni sociali come le tossicodipendenze, il disagio mentale, le povertà estreme.
Quella fu anche l’epoca della “deregulation” e del libero mercato che doveva, a tutti i costi, superare la nefasta (per i proprietari) legge sull’equo canone e, infatti, ci fu l’introduzione dei cosiddetti “patti in deroga” (tipi di contratto, secondo cui l’ammontare del canone era concordato tra il proprietaro e l’inquilino, con quest’ultimo con un potere contrattuale pari a zero). Quello che si produsse fu un aumento generalizzato degli affitti. Anche un’indagine sul disagio abitativo a Bologna, condotta dal SUNIA nel 1996, confermava questo dato rivelando che, nel bando per gli alloggi ERP, la forte incidenza del canone d’affitto – circa il 30% – sul reddito costituiva il motivo più diffuso nelle richieste di un alloggio pubblico.
Di fronte a questa situazione, l’amminstrazione comunale che rimase in carica fino al 1995, l’unica cosa che aveva fatto per affrontare il dilagante disagio abitativo era stata l’inaugurazione di un sistema di semplici “pubbliche relazioni”: uno sportello cittadino di segnalazione di casi sociali dal quale ci si può aspettare nient’altro che un pò di compassione.
Con l’avvento della seconda Giunta Vitali, l’assessorato alla casa fu incorporato nell’urbanistica, e l’assessore Laura Grassi, a cui venne data la delega, cercò di limitare l’attività dello sportello, proponendo la mera gestione dell’esistente, con una fiducia smisurata nei meccanismi del libero mercato. La Grassi sosteneva che potevano essere raggiunti grandi risultati attraverso un ampliamento delle concessioni edilizie. La sua tesi era che incentivando i costruttori e sciogliendoli dai vincoli di un rigido piano regolatore, si poteva garantire un notevole abbassamento dei prezzi delle abitazioni, facendo diventare reale un obiettivo come la casa in proprietà per tutti. Sarebbe curioso sapere quali fossero i testi di economia a cui la Grassi faceva riferimento per comprendere la sua (e quella di tutto il centro-sinistra) apparente ingenuità.
Dal principio della pianificazione che concepiva il suolo come bene pubblico a gestione collettiva, si passò, a partire da quel periodo, alla pratica dell’edilizia concordata, incarnata nei Piani Integrati di Intervento che cedevano, in sostanza, ai privati e alla loro inevitabile logica di profitto la gestione del problema abitativo e del deturpamento dell’ambiente.
Una concorrenza senza regole, per lo più all’interno di un mercato ormai saturo, in una situazione di crisi economica (che, per definizione, impedisce un generalizzato e redistribuito arricchimento della popolazione), produsse pertanto l’effetto contrario a quello annunciato dalla Grassi e, al tempo stesso, una serie di obrobri urbanistici, come il DUC Fiera (con gli effetti ancora oggi visibili di “Porta Europa”), Borgo Masini, Via Larga, le aree attorno al CAB. Negli ultimi venti anni 6,5 milioni di metri quadri di territorio sono stati mangiati per edificare. Nella nostra città il rapporto tra territorio costruito e aree non edificate è gia oltre la soglia di tollerabilità. Pur costruendo una media di 500 nuovi appartamenti all’anno, nessuno di questi, negli ultimi anni, è stato destinato all’affitto sociale o all’edilizia popolare.
Quella impostazione urbanistica non fu frutto del caso, né tantomeno della mano invisibile del mercato, ma discendeva da un accordo tra il ceto politico e i poteri forti della città, in primo luogo i costruttori, ben rappresentati dai colossi cooperativi del mattone.
Queste scelte dell’Ulivo furono “cementificate, è proprio il caso di dirlo, dalle politiche della Giunta Guazzaloca nei suoi cinque anni di governo. Va anche detto che, dal 1999 al 2004, legate all’urbanistica, abbiamo assistito a convergenze preoccupanti tra la giunta di centro-destra, parte dell’opposizione diessina e lo stesso ente Provincia, governato dall’Ulivo, che diede il nulla osta a una serie di operazioni edilizie non necessarie e che ubbidivano solo a interessi speculativi: un esempio su tutti, le due Torri dell’Unipol, nell’ex area della Barbieri e Burzi, in via Larga.
Ne frattempo,nella graduatoria ERP (bando 2000/2003), su 5.705 domande valide, solo 1.373 (il 24%) trovarono una risposta; 4.332 nuclei familiari rimasero in lista d’attesa senza sbocco.

A partire da queste cifre, la Giunta Cofferati, insediatisi nel 2004, annunciò all’inizio del mandato di “prendere il toro per le corna”. Infatti, nell’accordo sottoscritto, tra il Comune e i sindacati, prima dell’approvazione del Bilancio 2004, si parlava della realizzazione di 1500 posti letto per studenti e 3000 alloggi per l’edilizia convenzionata con affitto a canone calmierato. In realtà, ben presto, il sindaco sceriffo abbandonò questi propositi e si concentrò, nell’ambito della sua campagna di “moralizzazione e legalità”, a colpire alcune decine di occupazioni di alloggi ERP vuoti da anni e a fomentare, attraverso il famoso “Dossier dell’Assessore Amorosi” una guerra tra i poveri sostenendo che migliaia di assegnazioni di alloggi ERP, avvenute negli anni precedenti, erano illegali (senza portare nessuna prova credibile a questa tesi grave e pericolosa rispetto a quello che poteva scatenare; dato di fatto, tra l’altro, riconosciuto anche dalla magistratura che indagò sul Dossier).
E’ bene ricordare che in questi anni, per la prima volta dal calo della popolazione residente, certificato dai censimenti 1991 (404.378 unità) e 2001 (371.217 unità), c’è stata una piccola inversione di tendenza, prodotta dalle decine di migliaia di persone arrivate a Bologna (studenti universitari fuori sede, lavoratori immigrati da altre regioni italiane, lavoratori immigrati da altri paesi), ma che vivono in condizioni di precarietà sempre più preoccupanti.

SENZA POLITICHE PER L’ALLOGGIO SOCIALE, LA SITUAZIONE E’ DIVENTATA DRAMMATICA
Se a tutto questo aggiungiungiamo i progressivi aumenti delle locazioni (solo nel 2008 del 16%), si è arrivati a una situazione drammatica, in cui, sul bilancio di una famiglia, il costo dell’affitto incide dal 50 al 70% sul reddito famigliare. Un peso insostenibile che ha portato la morosità ad essere la causa principale degli sfratti. In più, con l’acuirsi della crisi economica, sono soprattutto lavoratori dipendenti e pensionati ad essere colpiti: il 24% delle famiglie sfrattate ha infatti subito la perdita del posto di lavoro del primo percettore del reddito; il 22% è precario; il 21% è in cassa integrazione.
Se prendiamo i dati che fanno riferimento agli ultimi mesi del mandato Cofferati, è abbastanza evidente comprendere come la politica della sua Giunta sia stata fallimentare, a fronte di un’emergenza abitativa che ha continuato a crescere:
– sono oltre 7 mila le famiglie che hanno fatto richiesta al Comune di Bologna di una casa popolare (con la capacità di ACER di assegnare in media 400 alloggi all’anno);
– alla graduatoria per l’accesso al canone calmierato sono arrivate quasi 2500 domande, mentre il Comune ha assegnato poco più di cento appartamenti;
– al bando per il fondo sociale per l’affitto sono state presentate 7329 domande, di pari passo sono diminuiti i trasferimenti governativi per implementare il “fondo”; circa 550 euro di intervento per ogni avente diritto, cifra insufficiente a pagare anche un solo mese di affitto a Bologna.; quindi questa misura è assolutamente inidonea per aiutare le persone a non cadere in situazioni di sfratto per morosità.

Al di là della volontà politica che deve stare alla base degli interventi, dal punto di vista tecnico, sarebbe stato necessario prendere in considerazione queste situazioni:
– le caratteristiche del dato della cosiddetta “casa in proprietà” e la portata dell’indebitamento di tante famiglie verso le banche;
– i 15.000 nuclei familiari che si rivolgono al Comune; vanno incrociate, nei diversi bandi le domande (domande bando ERP, domande canone calmierato, domande contributo sociale per l’affitto) e le risposte che l’Amministrazione riesce a dare;
– il mercato privato dell’affitto: il costo delle locazioni per appartamento o per stanza o per posto letto; il fenomeno degli affitti in nero;
– le residenze collettive (albergo popolare, studentati o collegi universitari, i ferrohotel, i residence per lavoratori single); per quali ragioni, tutte le amministrazioni comunali che si sono succedute negli ultimi mandati hanno avuto così scarsa attenzione o, addirittura, hanno contrastato l’apertura di strutture abitative a carattere collettivo?
– le residenze sociali (dormitori pubblici, asili notturni, centri di prima accoglienza per migranti e profughi)”.

ACER E LA SITUAZIONE EMERGENZIALE
ACER sta per Azienda Casa Emilia-Romagna, è stata istituita da una legge regionale che superava lo IACP, il vecchio Istituto Autonomo Case Popolari, fondato nel 1903 dal governo di Giovanni Giolitti, attraverso la legge Luzzati. Con la nascita di ACER, tutto il patrimonio di IACP è passato di proprietà ai Comuni dove gli alloggi si trovano. Quindi ACER ha il compito di gestire il patrimonio abitativo comunale. Nel far questo, può compiere anche degli errori, ma le scelte delle politiche per la casa sono degli Enti locali, i criteri di assegnazione degli alloggi derivano da una legge regionale, su cui si stende un regolamento applicativo comunale. I soldi per ristrutturae gli alloggi vuoti li decide il Comune. Per quanto riguarda, invece, la riassegnazione degli alloggi che vengono riconsegnati, ACER ha avuto delle responsabilità per la lentezza delle procedure. Così come per le lungaggini dei cantieri, per i tempi eterni tra l’inizio dei lavori e la consegna degli alloggi.
Anche per quanto riguarda l’Agenzia Metropolitana per l’Affitto, se il progetto non ha funzionato ACER delle colpe ne ha, avendo la responsabilità di gestione.

GLI APPARTAMENTI COMUNALI LASCIATI SFITTI: I CASI PIÙ ECLATANTI?
Nel corso di questi anni ci sono stati diversi casi di immobili comunali lasciati sfitti, quelli più eclatanti sono stati gli alloggi di via Solferino 5, di via Avesella 2/2, di via Mascarella, Via Beverara e di altre centinaia di alloggi da recuperare attraverso i fondi introiettati dalla Legge regionale n.560 del 1993 (che prevedeva l’alienazione di alloggi pubblici e il ricavato andava reinvestito in progetti di recupero di patrimonio ERP). Molto spesso, dalla approvazione del progetto di ristrutturazione alla assegnazione degli alloggi, sono passati otto, dieci, dodici anni… una vergogna.
Un’altra vergogna, ancora di attualità, sono invece gli otto appartamenti di via Azzo Gardino 14: facevano parte di un lotto di alloggi da ristrutturare nell’area dell’ex manifattura Tabacchi. Ci sono voluti 5 anni (dal 1998 al 2003) per compiere i lavori di recupero, non poco dunque. Già questo fatto è alquanto criticabile, la cosa vergognosa è che ultimati i lavori alla fine del 2003, quegli otto alloggi sono ancora vuoti. E non sono servite le denunce che, a partire dal 2008, sono state fatte: prima dal coordinamento dei centri sociali, poi, in consiglio comunale, dai consiglieri dell’Altra Sinistra, poi Bologna città libera in campagna elettorale, poi perfino il SUNIA (che ha organizzato la vigiglia di Natale una “bicchierata augurale” per la loro assegnazione).
C’è l’emergenza abitativa che tutti conosciamo e i quattro assessori alla casa che si sono succeduti nel frattempo (Monaco, Amorosi, Merola e Naldi) non ce l’hanno fatta ad assegnare quegli otto appartamenti. Da qualche giorno, finalmente, una ditta di costruzioni ha riaperto la porta del condominio e ha dato corso ai lavori di rifinitura che attendevano da anni. Vericheremo quanto tempo occorrerà ancora per l’assegnazione di quegli alloggi.

UNA FAVOLA DI COMODO: LE OCCUPAZIONI TOLGONO LA CASA AI LEGITTIMI ASSEGNATARI.
Le occupazioni di case in questa città, a parte la grande occupazione del Pilastro del 1971 fatta da famiglie meridionali, quella dei due palazzoni di via Stalingrado nei primi anni novanta da parte di migranti di origine magrebina, quella di via Rimesse (poi via del Pallone e via Altura) del 1998 da parte di famiglie di immigrati, quella di via Saffi 17 (di un immobile privato da parte di una decina di famiglie), quella del 2002 del Ferrhotel da parte dei rom rumeni cacciati dal lungoreno, non sono mai state un fenomeno di lotta di massa. Tra gli episodi che abbiamo rammentato solo due, riguardavano case popolari (Pilastro e via Rimesse), gli altri erano immobili, per lo più di proprietà pubblica, abbandonati, che non avevano però una destinazione ERP.
La dimostrazione che non erano le occupazioni a portare via la casa a chi ne aveva diritto, ma l’ignavia dei governanti, è risultata lampante nel corso del mandato Cofferati; si è passati dai 643alloggi vuoti dell’inizio agli 850 della fine del mandato (con tutte le occupazioni tolte di mezzo).
La “sfida” che un Comune attento al tema della casa dovrebbe fare “a chi occupa” è quello di reperire le risorse per ripristinare il patrimonio pubblico inutilizzato.
Fino ad ora, questi fondi sono recuperati attraverso gli affitti degli inquilini delle case popolari. Essendosi modificata negli ultimi anni la composizione sociale degli inquilini (sono entrati infatti nuclei famigliari con redditi più bassi) ed essendo l’affitto proporzionale al reddito, l’introito complessivo annuale degli affitti sta calando e, quindi, di conseguenza anche le risorse per ristrutturare gli alloggi da rimettere in circolo. In più, una buona parte degli introiti degli alloggi ERP che dovrebbero essere destinati alle ristrutturazioni vengono indirizzate a spese ordinarie di gestione del Settore Casa.
In questo modo, da qui a pochi anni, si rischia di aumentare il numero di alloggi che rimangono vuoti perché non ci sono i fondi per recuperarli.
Il costo annuale per il ripristino degli alloggi che necessitano di manutenzione straordinaria è di circa a 7,5 milioni di euro, a cui vanno aggiunti 5 milioni di euro destinati alla manutenzione ordinaria. L’importo annuale dei canoni introitati è sui 15 milioni euro. Almeno tutti questi soldi vanno destinati al recupero degli alloggi vuoti.
Il tema da porre con forza è quello di un maggiore carico di risorse nelle ristrutturazioni degli immobili pubblici vuoti. Che a Bologna questa “sensibilità” non ci sia stata, lo dimostrano gli stanziamenti del bilancio 2009: un Comune come Reggio Emilia ha destinato 8 milioni di euro nel piano investimenti per le politiche abitative, il Comune di Bologna solo 2 milioni di euro”.

“NESSUN ALLOGGIO PUBBLICO SFITTO”, UN PROGRAMMA DELA REGIONE
Al di là del titolo del programma (che però è un messaggio politico importante), si tratta della decisione della Regione Emilia-Romagna di sostenere con fondi propri un piano di intervento previsto dal Governo Prodi (ex Decreto Ministeriale 28 dicembre 2007) che finanziava con 550 milioni di euro (32.296.813 erano previsti per la Regione Emilia-Romagna), progetti di ristrutturazione di alloggi ERP vuoti e da recuperare. Per Bologna il finanziamento che sarebbe arrivato, avrebbe coperto, l’intervento su circa 250 alloggi (sul totale degli 850 vuoti). Poi il Governo Berlusconi decise di bloccare quei fondi con la legge 133/8. Le Regioni impugnarono presso la Corte Costituzionale l’articolo 11 della Legge 133/8, rivendicando nel contempo il finanziamento del programma straordinario di edilizia residenziale pubblica. Nel marzo 2009, tra il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, e il Ministro per i rapporti con le Regioni veniva firmato un protocollo d’intesa che prevedeva il rifinanziamento del programma straordinario di edilizia residenziale pubblica previsto nel 2007, con un primo finanziamento di 200 milioni di euro.
A questo punto, la Regione ha deciso di finanziare ugualmente i progetti di recupero già partiti, anticipando la somma di 32.296.813,16 euro che dovranno arrivare dal governo centrale, più 2.703.186,14 euro di suo investimento proprio, per un totale di 35 milioni di euro.
Quindi, con questo provvedimento, si torna a ripristinare una situazione della fine del 2007. Già allora il decreto che portava la firma del Ministro Ferrero era insufficiente, ma era comunque un inizio. Oggi sono passati più di due anni e l’emergenza abitativa è ancora più grave.
Comunque la Regione ha deciso di andare avanti con i finanziamenti che erano stati stanziati… non era obbligata a farlo… altre regioni non l’hanno fatto.
E comunque quella cifra, per la città di Bologna, era sufficiente per ristrutturare appena un terzo degli appartamenti da recuperare.

LE RESIDENZE COLLETTIVE: UN ASPETTO DELL’EMERGENZA ABITATIVA MAI PRESO IN CONSIDERAZIONE
La questione delle residenze collettive in questa città è sempre stata osteggiata da tutte le amministrazioni comunali che si sono succedute negli ultimi mandati: o hanno avuto scarsa attenzione o, addirittura, hanno contrastato l’apertura di strutture abitative a carattere collettivo.
A metà degli anni novanta, a fronte di una legge regionale che dava contributi per la realizzazione di studentati, il Comune di Bologna, per bocca dell’allora assessore all’Urbanistica Ugo Mazza, dichiarò che i privati erano più capaci del pubblico a realizzare e gestire strutture collettive, quindi, da parte dell’Amministrazione comunale venne sostenuto un progetto per un Collegio Universitario in via Sacco, realizzato dalla Fondazione CEUR (di area cattolica, vicina a Comunione e Liberazione) che, naturalmente, si prese i soldi della Regione.
Il 14 di cembre 1998, venne occupato un grande immobile in via Altura, alla periferia di Bologna, ai confini con San Lazzaro. La struttura, vuota dal 1991, avrebbe dovuto diventare una grande residenza protetta per anziani, gestita da un’azienda sanitaria privata che, nel frattempo, era fallita. I collettivi di movimento che avevano accompagnato un gruppo di famiglie di immigrati nella lotta per un alloggio sociale (sgombero di via Rimesse, occupazione della Basilica di San Petronio, alloggio temporaneo nella ex scuola di via del Pallone, ospitate poi al centro sociale TPO), decisero di rendere fruibile la residenza collettiva abbandonata ai migranti senza casa. Nello stesso tempo, partì una campagna di sensibilizzazione e di solidarietà che chiedeva al Comune di acquistare l’immobile per trasformarlo in luogo di residenza e di produzione culturale per cittadini migranti e non solo. Il progetto che il “Comitato 14 Dicembre” presentò teneva conto anche delle caratteristiche che la costruzione presentava e della disponibilità che un gruppo di intellettuali diede (anche a livello di aiuto economico) a questa “giusta causa”. La risposta negativa dell’amministrazione comunale non si fece attendere e avvenne per bocca dell’allora assessore al Bilancio Flavio Delbono. Con i soldi necessari per acquistare l’immobile dal curatore fallimentare, il Comune avrebbe potuto realizzare 60 alloggi sociali. Naturalmente si concluse il mandato amministrativo e di quegli alloggi non si vide mai traccia.
Altra vicenda che ha dell’incredibile è quella relativa all’Albergo Popolare di via del Pallone. Doveva essere realizzato con i fondi del Giubileo del 2000, si trattava di investimenti vincolati alla destinazione d’uso (albergo popolare). La Giunta Vitali, per stare dentro ai tempi, nel novembre del 1998, molto sbrigativamente, cacciò per strada i migranti che venivano da San Petronio. Finiti i lavori di ristrutturazione dell’immobile nel 2000, la Giunta Guazzaloca, nel frattempo insediatasi, decise, arbitrariamente, di non utilizzare la struttura come albergo popolare perché la frequentazione da parte di soggetti “deboli socialmente” avrebbe potuto creare turbativa in una zona del centro della città come via Irnerio.
Tenete conto che la richiesta di un albergo popolare per lavoratori o per persone momentaneamente senza casa aveva fatto capolino alla fine degli anni ottanta.
Con la Giunta Cofferati, la questione dell’Albergo Popolare venne riproposta e, solamente nella primavera 2009, la struttura di Via del Pallone venne riportata alla vecchia destinazione originaria, sotto la gestione dell’ASP Poveri Vergognosi.
Il tema delle residenze collettive venne posto anche con l’occupazione del Ferrhotel di via Casarini, dove trovarono rifugio i rom sgomberati dalla Giunta Guazzaloca il 19 settembre 2002 dal Lungo Reno. Il progetto dello Scalo Internazionale Migranti venne presentato al Comune; la Regione dichiarò il suo interesse e la disponibilità di erogare fondi per l’allacciamento delle utenze di luce, acqua, gas. La Giunta di centro-destra decise di non arrivare allo sgombero frontale con gli occupanti, ma adottò una tattica di sfiancamento facendo di fatto ostruzionismo sui miglioramenti necessari alla struttura per garantire condizioni dignitose di vivibilità. Questa scelta portò a una situazione di disagio abitativo molto grave per le persone che abitarono in via Casarini per più di due anni.
C’è da sottolineare che, mentre il Comune di Bologna dimostrò un suo marcato disinteresse per un recupero dell’immobile, in molte altre città italiane, le amministrazioni comunali avevano deciso di utilizzare a fini sociali gli ex Alberghi dei ferrovieri, facendo accordi con le FFSS.

L’ALLUCINANTE VICENDA DELLE “CASETTE OLIMPICHE”
La dimostrazione paradigmatica di come le varie Amministrazioni che si sono succedute al governo della città siano state ostili alle residenze sociali collettive è riscontrabile nella vicenda delle cosiddette “casette olimpiche” da destinare a lavoratori.
All’inizio del 2008 viene avanti l’opportunità di recuperare le “casette olimpiche”, utilizzate come alloggi per i giornalisti durante le Olimpiadi Invernali di Torino. Sarebbero state smontate dalla città della Mole e portate a Bologna per un prezzo “molto competitivo” per realizzare 118 monolocali. I costi economici dell’operazione sarebbero stati coperti dalla Fondazione Carisbo, il Comune avrebbe messo a disposizione l’area dove collocarle. Il Consiglio comunale aveva votato il provvedimento all’unanimità. Tutto si doveva realizzare entro maggio/giugno 2008.
All’annuncio della destinazione nella Zona Industriale Roveri, il Consorzio dei piccoli imprenditori dell’area insorge perché, secondo loro, mettendo insieme più di un centinaio di operai (in maggior parte immigrati), automaticamente si produrrebbe degrado. Il CNA dichiara la sua contrarietà perché stava già pensando a un progetto simile. I Costruttori fanno uscire la loro ostilità non facendo parte del percorso di realizzazione.
A questo punto il Comune prende tempo, per individuare un altra collocazione. I due consiglieri di Sinistra Democratica (Milena Naldi e Gianguido Naldi) decidono di non non uscire dalla maggioranza, come fanno i consiglieri dell’Altra Sinistra, perché vogliono essere le “sentinelle” della realizzazione delle “casette olimpiche”.
L’8 luglio 2008 i Naldi “minacciano” di non votare il nuovo piano regolatore se non verranno realizzate le “casette olimpiche” (poi dopo qualche ora lo voteranno).
Il 15 luglio 2008 l’Assessore Merola annuncia alla stampa che le “casette olimpiche” si faranno, non più in Zona Roveri, ma in via del Carpentiere, nei pressi del Parco di via Larga: le Fondazioni bancarie contribuiranno per 3 milioni di euro. Il Comune metterà a disposizione il terreno (in diritto di superficie per 40 anni), la gestione sarà affidata all’ACER, i posti, alla fine, saranno 110.
Il 17 dicembre 2008, altro annuncio di Merola che giustifica la modifica della delibera: “Il Comune procura 38 alloggi dal patrimonio ERP da destinare a famiglie di poliziotti inviati a Bologna per il “Patto per la Sicurezza” (firmato da Cofferati e Ministro dell’Interno). Per i poliziotti single, verrà messo a disposizione un buon numero di posti dentro le “Casette Olimpiche”. I Posti rimanenti liberi dai poliziotti saranno destinati ad infermieri provenienti da altre regioni. Le “casette olimpiche” saranno state pronte a giugno 2009”.
Durante la notte dell’ultima maratona in consiglio comunale (il 22 aprile 2009), tra le varie delibere di fine mandato, passa, con l’ostruzionismo dei consiglieri di Bologna città libera, il cambio di destinazione delle “casette olimpiche”, da alloggi per lavoratori ad alloggi per poliziotti (Milena Naldi dice: “anche i poliziotti sono lavoratori e, quindi, la destinazione originaria non è intaccata nella sostanza”).
Si arriva così alla 30 gennaio 2010, all’addio della Giunta Delbono, al “giorno dell’orgoglio e non del rimpianto”. Ma a versare lacrime è l’assessora alla casa Milena Naldi che rilascia dichiarazioni indimenticabili: “La delusione penso sia sul volto di tutti, a pensarci ci vengono le lacrime. Siamo tristi e disperati per il lavoro che si interrompe”.
Dopo di che, annuncia che il progetto delle “casette olimpiche” viene definitivamente cestinato: “gli alloggi temporanei per lavoratori saranno ricavati nell’ex studentato di via Roncaglio, che l’ERGO (l’Azienda Regionale agli Studi Superiori) lascerà libero ad aprile 2010”.
Non è la stessa cosa: intanto i posti sono 88 e non 110; avere attive entrambe le strutture, di fronte alla fame di alloggi non avrebbe fatto schifo. Le “casette olimpiche” dovevano essere pronte a giugno 2008 e l’ex studentato quando sarà pronto?
Alla fine di questo girone infernale, stando alle cifre presentate, in città ci saranno 88 posti in meno per studenti fuorisede e 22 in meno dei 110 previsti per lavoratori.
Altra domanda: i 3 milioni di euro che le Fondazioni bancarie dovevano sborsare, rimaranno dentro i loro forzieri o verranno investiti per altre attività?

LE RESIDENZE SOCIALI
Per quanto riguarda infine le residenze sociali (dormitori pubblici, asili notturni, centri di prima accoglienza per migranti e profughi), in questi anni, sono state gestite con la logica della cosiddetta “accoglienza disincentivante” che ha portato al fatto che buona parte di queste strutture non ha rispettato le norme di sicurezza e di igiene (il caso del dormitorio di via Sabatucci è eclatante)… e nella “capitale della legalità” si è trattato di contraddidizione non di lieve entità.
Se, negli anni passati, ci fosse stata una amministrazione comunale un po’ lungimirante, la scelta degli alberghi popolari, degli studentati, delle residenze collettive a basso costo (anche di piccole dimensioni), sarebbero state portate avanti con convinzione. Sarebbe stato un modo intelligente per dare risposte pubbliche alle nuove domande (differenziate) di alloggio, Poteva essere anche un contributo per combattere gli “affitti in nero” e modificare una situazione che, da più di trent’anni, ha completamente drogato il mercato dell’affitto privato.
Per rimettere in circolo, in maniera “calmierata” buona parte del patrimonio privato sfitto o affittato in nero, questi interventi andavano incentivati: per togliere “clienti” agli strozzini degli alloggi, attraverso la realizzazione di strutture collettive, dove chi viene a Bologna temporaneamente per lavorare o per studiare abbia la possibilità di trovare un alloggio senza dovere sottostare allo strapotere della rendita parassitaria.

Ma in questa città, tutto questo, forse anche per il Terzo Millennio, nessuno riuscirà a vederlo.

Valerio Monteventi