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In ricordo di Gabriele Giunchi, l’ultimo compagno dagli “occhi dolci”

Scomparso durante un’escursione in montagna. Militante di Lotta Continua, era stato lui a tenere tra le braccia Francesco Lorusso, colpito a morte dalle pallottole sparate da un carabiniere l’11 marzo del ’77, in via Mascarella.

31 Luglio 2018 - 19:37

Per Francesco Lorusso, 11 marzo 2015 - © Michele LapiniSe n’è andato Gabriele Giunchi: l’ultimo compagno dagli “occhi dolci”.

Sono gli articoli che non si vorrebbe mai scrivere, le informazioni che non si vorrebbero mai dare, soprattutto se le s’impara dalle notizie di agenzia rilanciate dai quotidiani on line. “Escursionista bolognese cade da un dirupo lungo un sentiero sulle montagne bellunesi… dopo due giorni di ricerche, trovato il suo corpo precipitato per più di duecento metri”. Quando, andando oltre le prime righe, si legge che quel corpo apparteneva a Gabriele Giunchi, un uomo di 66 anni, abitante a Casalecchio di Reno, è il mondo a caderti addosso.

Gabriele non mancava mai l’11 marzo, davanti alla lapide di Francesco Lorusso in via Mascarella. Sempre sorridente, abbracciava tutti, non faceva a spallate per mettersi in mostra, ma c’era.

Era stato lui a tenere tra le braccia Francesco, colpito a morte dalle pallottole sparate da un carabiniere l’11 marzo del ’77, proprio di fronte alla libreria “Il Picchio”. E quel legame con Francesco che già era forte prima del suo assassinio, dal quel giorno, diventò indissolubile nella sua tragicità.

Gabriele era venuto a Bologna con Lotta Continua, ne era stato uno dei suoi militanti più attivi. Quando il giornale del gruppo si era trasformato in quotidiano aveva lavorato nella sua redazione. Poi, dopo lo scioglimento dei gruppi della sinistra rivoluzionaria, nella seconda metà degli anni settanta, si buttò a tempo pieno con la sua creatività, con la sua intelligenza e con il suo corpo nel neonato movimento.

Il ’77 a Bologna fu un anno “impegnativo” e Gabriele si impegnò, e non poco. C’era sempre alle assemblee, ai cortei, alle riunioni.

Poi, quando il movimento si affievolì, lui assieme a Franco Morpurgo e a un altro Gabriele fondò il Circolo degli Occhi Dolci. Organizzarono iniziative di un certo clamore, con un uso molto intelligente dell’ironia parlavano di cose molto serie divertendosi un sacco. E ci fu “Il Collinone degli Occhi Dolci” sui colli a Paderno: polleggio, musica diffusa, meditazione, osservazioni del cielo stellato. Poi venne il corso di Lingua Napoletana, con ripetuti pienoni delle aule universitarie che ne furono sede (era il modo più originale per contrastare fenomeni di razzismo che si cominciavano a vedere, allora nei confronti dei meridionali). E arrivarono anche le serenate per le innamorate e per gli innamorati e la manifestazione delle galline in via Indipendenza per la chiusura della strada al traffico veicolare.

Gabriele intanto faceva il bidello alle scuole Longhena, quelle diventate famose per le lotte a difesa della scuola pubblica e della sua qualità. Lo chiamavano “Dado Gabriele” i bimbi che con lui si divertivano molto, perché ci sapeva fare nell’intrattenere grandi e piccini: in tanti anni l’aveva dimostrato.

Dalle elementari chiese il trasferimento al Museo archeologico, lì dava informazioni sulle collezioni permanenti e sulle mostre, con tutta la maestria che anni di attivismo sociale e culturale gli avevano regalato. In museo ci rimase fino alla pensione che aveva festeggiato un po’ di tempo fa.

Oggi ci è caduta addosso la terribile notizia della sua morte. Ci mancheranno la sua dolcezza, il suo sorriso, la sua determinazione e la sua coerenza, perché siamo consapevoli di aver perso un gran compagno.

Una parola che a Gabriele continuava a piacere.