Al Nettuno presidio e microfono aperto su iniziativa di Non Una Di Meno dopo la sentenza della Corte suprema statunitense: “Anche in Italia il diritto all’aborto continua a non essere garantito. L’accesso all’interruzione di gravidanza è ancora un percorso ad ostacoli”.
Al pari di altre città italiane, anche a Bologna ieri sera Non Una di Meno è tornata in piazza “per contrastare l’attacco al diritto all’aborto e la violenza maschile sulle donne e di genere, in connessione con le proteste delle femministe negli Stati Uniti”: in piazza del Nettuno si è svolto un presidio con microfono aperto e banchetti informativi sull’accesso all’Ivg. “Lo scorso 25 giugno la Corte suprema statunitense ha di fatto cancellato il diritto all’aborto sicuro a livello federale- scrive Non Una Di Meno in un comunicato- revocando la sentenza Roe vs Wade del 1973. Questa decisione peserà maggiormente sulle donne e le persone con capacità gestante più povere, più marginalizzate, afrodiscendenti e latine. In diverse parti del mondo i movimenti antiabortisti e la destra ultra-conservatrice hanno esultato per questa sentenza. Anche in Italia il diritto all’aborto continua a non essere garantito. L’accesso all’interruzione di gravidanza è ancora un percorso ad ostacoli: in molte regioni l’obiezione di coscienza rende impossibile abortire, arrivando a toccare anche punte del 100% di obiettori. Quando le donne e le persone con capacità gestante decidono di non portare avanti una gravidanza indesiderata sono esposte alla violenza istituzionale del personale medico e alla stigmatizzazione”.
Come emerge dai dati raccolti nella mappatura sull’obiezione di coscienza in Emilia-Romagna, nata dalla collaborazione tra Non Una Di Meno e alcuni Centri antiviolenza, “il tasso di obiezione solo all’ospedale Sant’Orsola di Bologna è del 71%, ben oltre la media regionale che si attesta al 42,9%. Per queste ragioni, Non Una Di Meno reclama molto più di 194! L’attacco all’aborto va di pari passo con l’intensificazione della violenza maschile e di genere. Solo in Italia, nelle ultime settimane c’è stata un’escalation di femmminicidi, lesbicidi e transicidi: sono più di 60 dall’inizio dell’anno, come riportato anche nell’osservatorio sui femminicidi di Non una di Meno. È di pochi giorni fa la notizia dell’ennesimo femminicidio a Rimini, mentre viene richiesta l’archiviazione dell’indagine sulle molestie da parte degli Alpini. La violenza non si arresta neanche dopo che le donne vengono ammazzate: proprio oggi (mercoledì, ndr) al tribunale di Bologna è iniziato il ricorso in appello sul lesbicidio di Elisa Pomarelli. Lo scenario di guerra giustifica politiche razziste e sessiste, basti pensare che paesi come la Polonia, a cui è affidata la gestione dell’accoglienza delle/dei profug3 provenienti dall’Ucraina, impedisce l’aborto anche alle donne ucraine stuprate e si è dotata di un registro che monitora le gravidanze per limitare i tentativi di abortire. If abortion isn’t safe, neither are you (se l’aborto non è sicuro, nemmeno voi lo sarete!) è il messaggio che infiamma le piazze statunitensi. In Italia come in Argentina le proteste non si sono fatte attendere perché ci vogliamo viv3 e liber3 di scegliere sui nostri corpi!”. In piazza anche le Mujeres Libres per presentare “la mappatura dal basso sui dati della vergognosa obiezione di coscienza”.