La Corte d’Appello ha pubblicato le motivazioni della sentenza con cui a settembre ha condannato Gilberto Cavalini per concorso nell’attentato alla stazione, riqualificando il reato da strage comune a strage politica. Procede intanto l’altro processo di secondo grado, a carico di Paolo Bellini.
“Le stragi in genere avvengono per mano di persone che sanno quello che fanno e hanno un buon preciso scopo e un obiettivo“. Lo diceva con buone ragioni il 30 gennaio 2019 nel corso di un’udienza del processo per strage a suo carico Gilberto Cavallini, ex militante dei neofascisti Nuclei armati rivoluzionari (Nar). La Corte d’Assise d’Appello ha reso pubbliche le motivazioni della sentenza con la quale lo scorso 27 settembre è stato condannato in secondo grado per concorso nell’attentato esposivo alla stazione Centrale, che uccise 85 persone il 2 agosto 1980.
I giudici spiegano la decisione di riqualificare il reato contestato a Cavallini da strage comune a strage politica, come richiesto dall’accusa, ricordando che “lo stesso giudice di primo grado afferma esplicitamente che ricorre una strage politica, ma di non poterlo dichiarare formalmente a causa della nozione di spontaneismo richiamata nell’imputazione”. La tesi per cui i Nar, teorici dello spontaneismo armato antiborghese, non avessero rapporti con logge massoniche o pezzi di stato è ricorsa più volte nella lunga storia delle indagini e dei processi sulla strage del 2 agosto.
“Deve ritenersi provato – scrive la Corte – che sotto il termine ‘spontaneismo’ vi era una consapevole strategia politica volta all’annientamento radicale del sistema borghese, portata avanti con una serie di attentati finalizzati a destabilizzare l’ordine democratico. Non vi è quindi dubbio, per le modalità (para)militari con cui agivano e le dotazioni di eguale natura che si erano procurati, che il fine che muoveva i Nar era di tipo strettamente politico eversivo e aveva come mira le strutture dello Stato democratico e la radicale distruzione della società”.
Un altro passaggio della sentenza evidenzia che “‘plurimi elementi indicano che Gilberto Cavallini aveva quantomeno una contiguità con contesti dei servizi deviati e ambienti massonici, cui pure è riconducibile la strage”, nell’ambito di “quel micidiale, e si spera irripetibile, humus nel quale convergevano Servizi deviati, P2 e parte dell’eversione nera”. In particolare Licio Gelli, capo della P2, “si servì, come esecutori, di esponenti della destra eversiva, trovando terreno fertile in quei ‘ragazzini‘ che in quella fase avevano il convergente interesse, nella loro prospettiva ideologizzata, a ‘disintegrare’ in radice le basi dello Stato democratico, innestandosi in tale intento anche rapporti di tipo economico”.
Intanto procede un altro processo di appello, quello all’ex Avanguardia Nazionale Paolo Bellini condannato anche lui in primo grado per concorso nella strage del 2 agosto. Le ultime udienze hanno visto la difesa tornare a contestare l’identificazione dell’imputato in un filmato amatoriale sulla scena della strage, mettendo in particolare in dubbio l’orario in cui è stato ripreso: obiezioni confutate nel dibattimento sia dalle parti civili sia dalla Procura generale. Nella prossima udienza, in calendario mercoledì 14, i giudici decideranno se disporre una nuova perizia. Verrà anche riprodotta in aula un’intercettazione ambientale in cui Paolo Bellini, riferendosi all’ex moglie e teste chiave Maurizia Bonini, dice che la donna sarebbe stata “d’accordo per 40 anni, poi adesso non mi copre più… perché io non la copro più“. Per la Procura generale, “una patente di credibilità data a Bonini dallo stesso Bellini”.
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