Le motivazioni della sentenza di secondo grado che ha confermato “senza ombra di dubbio” non solo la condanna all’ergastolo per l’ex militante neofascista come quinto esecutore dell’attentato ma anche la catena di comando che ne era all’origine e il flusso di denaro.
La Corte d’Assise d’appello di Bologna ha pubblicato le motivazioni della sentenza con cui lo scorso 8 luglio ha confermato tutte le condanne in primo grado nel processo scaturito dall’inchiesta della Procura generale sui mandanti dell’attentato alla stazione che fece 85 morti e oltre 200 feriti il 2 agosto 1980.
Ergastolo per concorso in strage all’ex Avanguardia Nazionale Paolo Bellini, sei anni per depistaggio all’ex capitano dei Carabinieri Piergiorgio Segatel e quattro anni per false informazioni al pubblico ministero a Domenico Catracchia, ex amministratore di condomini in via Gradoli a Roma.
Quanto a Bellini, “dal quadro probatorio emerge con assoluta certezza” la sua “piena colpevolezza” in ordine “agli orrendi delitti a lui contestati”, perché “non solo la catena indiziaria a suo carico emersa nel processo di primo grado è risultata granitica e inequivocabile, ma è stata ulteriormente supportata dalle risultanze istruttorie espletate in grado di appello”, cioè dai nuovi elementi acquisiti in questo secondo processo. I giudici citano il video girato quella mattina in stazione dal turista Harald Polzer, nel quale la moglie dell’ex avanguardista Maurizia Bonini ha riconosciuto il perito, una relativa consulenza fisioniomica: elementi che provano “senza ombra di dubbio che Bellini era alla stazione di Bologna pochi minuti prima e pochi minuti dopo la micidiale esplosione“. La sua presenza, si legge, “era finalizzata o a trasportare, consegnare e collocare quantomeno parte dell’esplosivo utilizzato oppure, a prescindere dal trasporto, dalla consegna e dalla collocazione dell’esplosivo, a fornire un materiale supporto all’azione degli altri compartecipi, nella piena consapevolezza che nella sala d’aspetto di seconda classe sarebbe stato collocato un micidiale ordigno”.
Di conseguenza “è anche senza ombra di dubbio provata la falsità dell’alibi esposto da Bellini, alibi raffinatissimo organizzato nei minimi particolari ed eseguito altrettanto abilmente” per fare risultare l’imputato all’ora dell’attentato in viaggio verso il Tonale per una vacanza e caduto “solo perché Polzer decise di filmare l’arrivo del treno su cui era a bordo la sua famiglia pochi istanti prima dell’esplosione, documentando quindi la presenza di Bellini sul primo binario”. Nel corso del processo di secondo grado, poi, Bellini è caduto in contraddizione su dove si trovasse il 3 e 4 agosto.
Per la Corte è dunue “provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la consapevole e premeditata partecipazione attiva di Bellini alla strage” . L’attentato fu eseguito da “un commando terroristico composto da più cellule costituite a loro volta da più soggetti provenienti da varie organizzazioni eversive di destra, uniti dal comune obiettivo di destabilizzare l’ordine democratico o, comunque, anche da soggetti legati ad apparati istituzionali ‘deviati’ disponibili a partecipare a gravissime operazioni delittuose per ricevere in contropartita agevolazioni, protezioni ed anche compensi in denaro”. I componenti di questo commando, scrivono ancora i giudici d’appello, “sono stati coordinati nell’esecuzione da funzionari dei servizi segreti e da altri esponenti di apparati dello Stato ‘deviati‘, che a loro volta hanno risposto alle direttive dei vertici della P2, il cui capo indiscusso Licio Gelli ha sia direttamente finanziato la strage, sia organizzato ripetute operazioni di depistaggio, anche mediatico”. Di tali depistaggi “gli esecutori materiali erano perfettamente consapevoli, e in particolare lo era Bellini che, da latitante ricercato, aveva un rapporto diretto e personale con il procuratore di Bologna Ugo Sisti” che “lo copriva e lo proteggeva da anni asieme ad altri appartenenti ad apparati istituzionali”.
Sempre la stessa formula, “senza ombra di dubbio”, è scelta dalla Corte per la validare la ricostruzione del ruolo di “consapevole finanziatore della strage” da parte di Gelli: nelle motivazioni si individua anche nel 30 o 31 luglio 1980 la data in cui almeno uno tra Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, militanti neofascisti condannati in via definitiva come esecutori materiali della strage del 2 agosto, avrebbero ricevuto un pagamento in contanti da un milione di dollari da un intermediario di Gelli. Altri pagamenti furono destinati al capo dell’Ufficio affari riservati del ministero dell’Interno Federico Umberto D’Amato e al senatore del Msi Mario Tedeschi, riconosciuti a vario titolo come mandanti, finanziatori e fiancheggiatori della strage insieme a Gelli e al suo braccio destro Umberto Ortolani. Tutte queste persone erano già decedute al momento della sentenza di primo grado.