Attualità

Grecia / Si riaccendono le proteste dei migranti

Da Melting Pot un’analisi della situazione nel paese, peggiorata nei mesi estivi, tra fallimento del programma di ricollocazione e sovraffollamento, violenza fascista e ghettizzazione.

05 Settembre 2016 - 19:04

(di Tommaso Gandini, campagna #overthefortress, da Melting Pot)

(foto Melting Pot)La Grecia, e in particolare l’area di Salonicco, continua ad essere attraversata da manifestazioni contro l’indegna situazione in cui più di 58.000 migranti vivono tutt’ora. Un aumento dell’attenzione e dell’azione in Grecia riguardo al tema è dovuto in particolar modo a due eventi avvenuti negli scorsi mesi, ma la situazione in generale continua a essere molto magmatica.

Il primo di questi due è stato lo sgombero di tre occupazioni abitative, due delle quali aperte in particolare per i/le migranti, avvenuto la mattina del 27 luglio a Salonicco. Un’operazione di polizia massiccia voluto dalla politica con lo scopo di distruggere ogni forma di solidarietà dal basso verso i migranti e colpire duramente un movimento realmente internazionale. All’interno Kinotita Hurriya vi erano ben 60 attivisti, di cui solo due greci, provenienti da più di 16 Paesi diversi nel mondo. E non stiamo contando i migranti. Proprio per questo da tutta Europa sono arrivate manifestazioni di solidarietà e varie testate internazionali hanno seguito gli sgomberi e le manifestazioni di protesta.

Il secondo episodio avviene quasi un mese dopo, sempre poco prima dell’alba, il 24 agosto. Un gruppo di fascisti attacca con bottiglie incendiarie l’occupazione abitativa Notarà 26 ad Atene. All’interno vivono famiglie di migranti con molti bambini. Solo per fortuna non ci sono stati feriti, ma ci sono volute diverse ore per placare il fuoco e settimane per rimediare all’accaduto. Questa azione ha scosso molti in Grecia e in almeno tre diverse città vi sono state manifestazioni in solidarietà agli occupanti e chiaramente contro ogni tipo di fascismo o di razzismo.

Ma la parte più terribile purtroppo viene spesso ignorata, e non risiede nella repressione delle occupazioni ma nei campi governativi greci. Proprio il giorno dopo degli sgomberi di Salonicco una ragazza di 17 anni è morta a Softex, uno dei campi governativi nella periferia industriale di Salonicco. I migranti raccontano che ha avuto una crisi epilettica e che si sarebbe salvata, se solo l’ambulanza non ci avesse messo due ore ad arrivare al campo. Sembra che nella settimana seguente nello stesso campo siano morte altre due persone, tra cui un bambino appena nato. Il Guardian riporta di numerose violenze sessuali nei confronti di donne e bambini, parlando nello specifico proprio di Softex

I migranti del campo hanno protestato più di una volta, specialmente dopo la prima morte, ma come abbiamo già evidenziato sono notevolmente depotenziati rispetto al passato: non solo hanno difficoltà ad organizzarsi per creare momenti di protesta con grandi numeri, quindi coinvolgendo più di un campo, ma muovendosi a piedi sono distanti delle ore dal centro cittadino. E la situazione non fa che peggiorare.

Il relocation program, il programma che dovrebbe prevedere ad una parte di migranti bloccati nei campi di partire in aereo verso un Paese europeo, e di fatto l’unica speranza rimasta alla maggior parte di loro, si rivela sempre di più come un meccanismo inceppato. I dati sono impietosi ormai tutti hanno capito che ci vorranno anni per svuotare i campi, se mai ciò accadrà. Questo, unito alle condizioni indegne dei campi, porta ad una degenerazione della situazione e dei comportamenti all’interno dei campi. Le risse fra diverse etnie si fanno sempre più numerose e cruente, con utilizzo di armi improprie e accoltellamenti. Allo stesso modo aumenta la criminalità e all’interno di alcuni campi vi sono dei veri e proprio gruppi formati da i ‘‘tougher’’, i più duri, in una situazione che ricorda sempre più quella di un ghetto vero e proprio.

Ma va anche ricordato che le proteste non cessano con picchi di rinnovato ardore. Nella giornata di venerdì 2 settembre ben 8 diverse città della Grecia, tra cui Atene, Salonicco, Chios, Lesbos e Samos, sono state attraversate da manifestazioni indette e partecipate soprattutto dai migranti stessi. A Salonicco, alcuni di loro hanno deciso di rimanere a dormire in strada sotto l’ambasciata tedesca per denunciare le false promesse di accoglienza fatte negli scorsi mesi. (vedi il video di Refugees.tv) Questa (auto)organizzazione lascia ben sperare che lentamente i migranti stiano riuscendo a superare le difficoltà imposte dall’essere isolati nei campi governativi, anche se la strada è ancora molto lunga.

Ultimo, ma non per importanza, va ricordato che la situazione al confine con la Turchia è cambiata. Poco dopo il tentativo fallito del “golpe” un flusso di migranti ha ricominciato ad arrivare nelle isole greche, confermando dopo poco una realtà che ha sia del positivo che del preoccupante: la Turchia non sta più blindando i suoi confini. Le ragioni geopolitiche di questa scelta richiederebbero un approfondimento a sè, sempre che sia davvero possibile riassumere la spregiudicatezza diplomatica che il sultano Erdogan ha dimostrato negli scorsi mesi. Ma cercando di essere sintetici, i rapporti con l’Ue non sono più così rosei e il patto sui migranti approvato a marzo non è più dato per scontato. Il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu ha ribadito proprio ieri in un’intervista a Kathimerini, un importante quotidiano greco, che Ankara pretende l’entrata dei cittadini turchi in Europa senza visto, come previsto dall’accordo, entro ottobre.  Questo raffreddamento nei rapporti può essere la causa di un incremento dei flussi verso le isole greche, che ora sono sorvegliate solo dalla marina greca e dalle navi di Frontex e non più dai soldati turchi. Lunedì 29 agosto gli arrivi sono stati circa 300, mentre proprio ieri se ne registravano altri 178.
Sembra che per il momento le strutture nelle isole stiano reggendo, nonostante siano sovrappopolate e quindi attraversate da tensioni tra i migranti e con la popolazione. Ma è difficile prevedere cosa accadrà se l’accordo con la Turchia dovesse davvero saltare e quale sarà il piano B.

Quello di cui siamo sicuri è che ad un anno dalla tragedia del piccolo Aylan Kurdi i riflettori cinici dei media e la commozione a tempo delle élite politiche europee sono da un’altra parte.