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Genova / G8 2001, Diaz: piccole pene tardive per grandi poliziotti

Scampoli di pena ai domiciliari per Mortola, Gratteri e Luperi. Esecutori e mandanti impuniti e pronti a rifarlo.

03 Gennaio 2014 - 17:05

di Checchino Antonini da Popoff

Almeno per otto mesi, a partire da San Silvestro, Spartaco Mortola, non sarà un problema per il movimento No Tav e, in generale, per i cittadini torinesi. L’ex capo della Digos genovese poi divenuto questore vicario di Torino deve scontare, infatti otto mesi di domiciliari per la macelleria cilena alla Scuola Diaz. Dodici anni dopo i nodi sono parzialmente arrivati al pettine visto che per chi comandò l’immane mole di abusi e violenze di quella notte del luglio 2001 ci sono pene irrisorie e per chi fu materialmente responsabile delle violenze brutali c’è addirittura la piena impunità grazie alla copertura di tutta la gioiosa macchina da guerra del Viminale.

Insieme a Mortola è stato arrestato Giovanni Luperi, ex dirigente Ucigos nelle giornate della guerriglia, quindi capo-analista dei servizi segreti e attualmente pensionato: per lui, della condanna definitiva a quattro anni, ne resta uno.

Il giorno 30 l’arresto era scattato per Francesco Gratteri, numero tre della polizia italiana prima della condanna, il più alto in grado quella notte alla Diaz e coordinatore d’indagini su attentati e latitanti. È ora obbligato a un anno di domiciliari, potrà beneficiare come gli altri di alcune ore (2 o 4) di libertà durante il giorno e usare il telefono.

I poliziotti-detenuti potranno chiedere il riconoscimento della buona condotta, e quindi rosicchiare qualche mese oltre a ciò che era stato condonato dall’indulto.

Dodici anni dopo nulla è come allora. Di quel movimento non restano che frammenti disorientati e litigiosi, di quella polizia resta l’allergia al dettato costituzionale che contraddistingue buona parte delle classi dirigenti italiane dal dopoguerra in poi.

Eppure solo poche settimane fa, a Genova, c’è stata un’altra condanna, quella in secondo grado (2 anni e 8 mesi) del questore di quei giorni di luglio, Francesco Colucci, per falsa testimonianza.

La sentenza conferma l’accusa formulata dai pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini. Francesco Colucci, questore di Genova nel caldissimi giorni del G8, nel maggio 2007 in aula cambiò radicalmente versione rispetto alle sue testimonianze precedenti su almeno due punti: l’organizzazione della spedizione alla Diaz (ne attribuì il comando a un funzionario già uscito dal processo) e le circostanze della convocazione sul posto di Roberto Sgalla, all’epoca portavoce della polizia di stato (oggi dirige la scuola centrale di polizia).

Colucci in aula affermò di aver chiamato Sgalla alla Diaz di sua iniziativa; in precedenza aveva detto di avere eseguito una precisa indicazione di De Gennaro.

Alcune telefonate di Colucci furono intercettate (per via di un’altra inchiesta) e si scoprì che Colucci incontrò De Gennaro alla vigilia della testimonianza in tribunale e che dopo l’aggiornamento della versione ricevette molti complimenti da colleghi, imputati e anche da Antonio Manganelli, all’epoca vice di De Gennaro e di lì a poco suo successore al vertice di polizia. Colucci, nei colloqui, spiegò anche di avere “fatto marcia indietro” sull’episodio di Sgalla dopo il colloquio col “Capo”. Ricorda Lorenzo Guadagnucci, giornalista e vittima della Diaz, che «De Gennaro fu condannato in appello ma assolto in Cassazione per induzione alla falsa testimonianza dell’ex questore: un’uscita di scena in totale contraddizione sia con la condanna di Colucci (assolto in primo grado per questo episodio ma condannato ieri) sia con la sentenza del processo Diaz, che attribuisce a De Gennaro un ruolo preciso nella catena di eventi che portò al blitz alla Diaz (si trattava di riscattare l’immagine della polizia compromessa dalla pessima gestione della piazza). Va detto che De Gennaro, ascoltato dai pm nel procedimento per la falsa testimonianza, spiegò l’incontro con Colucci a Roma (nel suo ufficio di capo della polizia) alla vigilia della testimonianza dell’ex questore nel processo Diaz come un’azione tesa a trovare “la consonanza per la ricerca della verità”. De Gennaro avrebbe cioè agito – ovviamente non richiesto – per “aiutare” i pm nel loro lavoro. Un concetto quanto meno ardito, esposto sfiorando la sfacciataggine, e che ovviamente confermò nei pm Zucca e Cardona Albini il sospetto dell’interferenza».

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