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Finestre aperte sulla crisi / Si parla di precarietà nel settore culturale e di sostegno alla disabilità

Sulle pagine di Zic.it l’iniziativa promossa da Vag61 nel contesto dell’emergenza coronavirus “per raccogliere piccole storie, pezzi di esperienze e racconti, lavorativi e non, per condividere ora ma soprattutto per tenere traccia. Tenere traccia dei profondi cambiamenti a cui siamo costretti, degli adattamenti e delle resistenze”. In questo articolo la quinta e la sesta narrazione.

14 Aprile 2020 - 15:52

Zic.it collabora all”iniziativa “Finestre aperte sulla crisi”, promossa da Vag61 per raccogliere testimonianze e contributi sulle conseguenze che l’emergenza sanitaria in corso produce sulle esistenze delle persone, partendo dalle esperienze quotidiane che in questi giorni si vivono dal punto di vista lavorativo, sociale, familiare. “Una raccolta di istantanee, di finestre aperte sulla crisi- è la presentazione del progetto- di fili rossi che si intrecciano oltre l’isolamento. Questa pagina vuole provare a raccogliere piccole storie, pezzi di esperienze e racconti, lavorativi e non, per condividere ora ma soprattutto per tenere traccia. Tenere traccia dei profondi cambiamenti a cui siamo costretti, degli adattamenti e delle resistenze, degli strappi e delle cuciture che viviamo sulla pelle ogni giorno. Un puzzle da costruire insieme e a cui attingere per il futuro”. In questo articolo la quinta e la sesta narrazione diffuse da Vag61.

Per inviare storie e contributi: infovag61@gmail.com 

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Storia #5: lavoro e cultura

Siamo precarie e precari. Lo siamo da anni, e ancora di più oggi. Ma dobbiamo ripartire da qui.

Lavoro e cultura. Non sappiamo se queste parole si conciliano davvero. Forse non ce lo siamo mai nemmeno chiesti. Abbiamo semplicemente cercato in questi anni di rendere possibile un percorso di emancipazione artistica, politica e di autoproduzione culturale. Abbiamo semplicemente cercato di liberarci il più possibile dalla gabbia salariale, per poter scrivere libri, girare film, comporre musiche, realizzare opere teatrali e tanto altro ancora. Ed anzi, non solo per poterli realizzare, ma anche per poterli diffondere e distribuire dal basso, senza il ricatto dell’industria culturale, che spesso saccheggia i diritti sull’opera che hai realizzato, ricattandoti con la mancanza di reddito o con la necessità di chiudere i debiti che hai accumulato per realizzare l’opera stessa.

Ma una cosa la sappiamo: sappiamo di essere tante cose diverse, insieme e contemporaneamente. Siamo i creativi, che sono spesso alle dipendenze di un padrone, ma senza nemmeno un contratto precario, grazie all’uso distorto delle partite iva. Senza ferie, senza garanzie, ma pur sempre dipendenti di un datore di lavoro. Facciamo foto, video, grafiche, siti web, ma la sostanza non cambia. Il problema rimane lo stesso: la nostra creatività è saccheggiata dalle logiche del mercato.

Siamo scrittrici e scrittori, che oggi si trovano a dover pagare per poter scrivere un libro, invece che essere pagati, a causa di una filiera editoriale che stritola qualsiasi progetto indipendente ed emergente.

Siamo attrici e attori, musicisti, pagati una miseria. Perché “ciò che fai non si inserisce nella lista di lavori ritenuti economicamente utili, perché ciò che fai non è utile al mercato”. Ma tanto, d’altro canto, anche se fai un lavoro utile al mercato, verrai comunque pagato ugualmente una miseria.

Siamo registe e registi, di cinema, di teatro, siamo quelli che uno spazio non ti viene mai dato, salvo quando riesci a prendertelo con le unghie e con le lotte. Siamo quelli che il tax credit di Franceschini non ci serve a nulla. Perché non siamo i Carlo Verdone o i Muccino di turno. Perché non facciamo accordi con le industrie cinematografiche. Perché non abbiamo milioni di euro da spendere nella produzione di film o in avvocati.

Siamo tutto questo e siamo tanto altro ancora. In un momento dove anche gli spazi culturali, siano essi cinema, teatri, librerie o centri sociali, sono tutti chiusi, messi economicamente in ginocchio, e dove non si sa se apriranno mai un domani, quando tutto questo sarà finito. La desertificazione passerà prima di tutto per la scomparsa degli spazi di incontro, di confronto, di contaminazione. Una cosa certamente non automatica, ma che se non proteggiamo con attenzione, allungherà la lista delle cose che scompariranno dalla nostra quotidianità. In un paese dove non ci sono solo le grandi città, ma anche i tessuti territoriali periferici, fatti di piccoli cinema o teatri di provincia, di piccole librerie e spazi sociali nei piccoli centri urbani, questa desertificazione rischia di trascinarsi per anni. A danno delle comunità stesse.

Siamo questo, siamo tanto altro e vogliamo continuare ad esserlo. Ripartiamo da qui.

Pretendevamo spazio e diritti prima di tutto questo, li pretendiamo ancora di più oggi, per costruire tutte e tutti insieme un mondo migliore per il nostro domani.

(27/03/2020)

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Storia #6: cosa ne è della disabilità “nello stato di eccezione?”

È passato ormai un mese e mezzo dalla chiusura delle scuole. Da quel momento bambini e ragazzi con disabilità hanno visto drasticamente interrotto ogni intervento educativo a loro destinato.

Per tutti è stata avviata l’erogazione di didattica a distanza ma spesso bambini che soffrono di autismo, deficit di attenzione e iperattività, o di altri disturbi cognitivi o del comportamento non riescono in alcun modo a sfruttare questa possibilità. Di fatto in questi casi, oggi, non è garantito alcun diritto all’istruzione.

La fine della scuola, l’interruzione di ogni routine quotidiana ha generato in questi soggetti fragili e nelle loro famiglie un carico di sofferenza inaspettata e ingente, resa ancora più insopportabile dalla quasi totale indifferenza che ricevono nonostante le loro quotidiane richieste di aiuto.

I sindacati di settore e le cooperative di educatori si sono mostrati esclusivamente preoccupati della tutela della salute del personale (sacrosanto diritto che nessuno intende sacrificare) ma non hanno, di contro, mostrato alcuna sensibilità nei confronti della salute e della sofferenza di quell’utenza, il sostegno della quale dovrebbe rappresentare, in regime di normalità, la più importante ragione sociale del loro lavoro.

Gli educatori della scuola si sono celermente mobilitati per avere garantito lo stipendio, ma ci viene da chiedere, a stipendio assicurato, perché non attivarsi in egual misura per provare a garantire anche la prestazione per la quale si viene pagati?

L’assessore con delega alla disabilità Marco Lombardo non ha escluso la possibilità di un intervento domiciliare per quei soggetti che non riescono a sfruttare la didattica a distanza, ricordando come sul tema ci sia una norma specifica del decreto legge #CuraItalia ed una circolare della Regione Emilia-Romagna che fornisce indicazione in merito all’erogazione dei servizi educativi domiciliari nei casi indifferibili ed urgenti. Di fatto ad oggi, a più di un mese dalla fine dello svolgimento regolare delle lezioni le uniche cose che Provveditorato, Regione, Comune e Quartieri sono riuscite a fare sono riunioni e tavoli tecnici (ci auguriamo rigorosamente on-line) senza produrre alcun risultato tangibile.

Se da un lato occorre certamente individuare modalità di intervento per ridurre al minimo il rischio di contagio per entrambe le parti, dall’altro lato è impensabile continuare a lasciare sole le famiglie per mesi e mesi senza nessun tipo di sostegno didattico, educativo e terapeutico. Si tratta di servizi destinati a minori con disabilità certificata che pertanto devono essere riconosciuti come essenziali e quindi garantiti.

Molte famiglie a Bologna stanno oggi vivendo una situazione di totale abbandono, i ragazzi disabili vivono momenti di forte agitazione e la situazione in casa diventa ogni giorno più insostenibile. Per non parlare di tutti quei piccoli progressi che si erano fatti, spesso con tanta fatica e tanti sforzi, ora messi seriamente a repentaglio. Ma, forse, di questa emergenza, privata, che investe i pochi e i deboli, nessuno sente veramente l’urgenza di occuparsi in questo maledetto stato di eccezione.

Francesco e Silvia Cerrato

(04/04/2020)