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Finestre aperte sulla crisi / Parlano un lavoratore precario e una cassiera della Coop

Sulle pagine di Zic.it l’iniziativa promossa da Vag61 nel contesto dell’emergenza coronavirus “per raccogliere piccole storie, pezzi di esperienze e racconti, lavorativi e non, per condividere ora ma soprattutto per tenere traccia. Tenere traccia dei profondi cambiamenti a cui siamo costretti, degli adattamenti e delle resistenze”. In questo articolo la terza e la quarta narrazione.

10 Aprile 2020 - 17:47

Zic.it collabora all”iniziativa “Finestre aperte sulla crisi”, promossa da Vag61 per raccogliere testimonianze e contributi sulle conseguenze che l’emergenza sanitaria in corso produce sulle esistenze delle persone, partendo dalle esperienze quotidiane che in questi giorni si vivono dal punto di vista lavorativo, sociale, familiare. “Una raccolta di istantanee, di finestre aperte sulla crisi- è la presentazione del progetto- di fili rossi che si intrecciano oltre l’isolamento. Questa pagina vuole provare a raccogliere piccole storie, pezzi di esperienze e racconti, lavorativi e non, per condividere ora ma soprattutto per tenere traccia. Tenere traccia dei profondi cambiamenti a cui siamo costretti, degli adattamenti e delle resistenze, degli strappi e delle cuciture che viviamo sulla pelle ogni giorno. Un puzzle da costruire insieme e a cui attingere per il futuro”. In questo articolo la terza e la quarta narrazione diffuse da Vag61.

Per inviare storie e contributi: infovag61@gmail.com 

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Storia #3: lavoratore precario

Sono un lavoratore precario da quando ho terminato le scuole superiori e cominciato l’università, tredici anni fa. Nell’ultimo periodo avevo trovato un fragile equilibrio di reddito, lavorando nel corso dei dodici mesi come barista nella stagione estiva, come operatore fiscale per l’elaborazione delle dichiarazioni dei redditi, come giornalista con collaborazioni occasionali pagate con ritenuta d’acconto, e infine percependo la disoccupazione (Naspi) nei periodi di assenza di lavoro.

Con l’emergenza attuale, e dopo aver percepito l’ultima indennità di disoccupazione, mi risulterà ancora più difficile trovare un lavoro: le dichiarazioni dei redditi slitteranno, occupando anche la stagione estiva nella quale avrei probabilmente lavorato come barista. Inoltre il lavoro di barista, essendo collegato ai flussi di turismo, con ogni probabilità non potrò farlo, dato il contraccolpo enorme che subirà il settore. Di conseguenza non maturerò le settimane lavorative necessarie per accedere nuovamente agli ammortizzatori sociali, quando scadrà il contratto.

Prima di svolgere i lavori sopra elencati ho lavorato a lungo nei teatri come maschera e come figura di supporto ai tecnici del palcoscenico. Penso alle e ai tant* che lavorano nello spettacolo, persone che in tanti casi si trovavano a vivere grazie a forme di collaborazione precarie, che già prima di questa situazione avevano spesso scarse opportunità di lavoro e che ora troveranno davanti a sé un deserto.

(27/03/2020)

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Storia #4: cassiera della Coop

Sono una cassiera di un supermercato Coop, fino a pochi giorni fa lavoravo allo sbarramento delle casse, al front office in faccia a centinaia di persone che mi sfilavano davanti molto più silenziose di un tempo. Soprattutto gli anziani, quelli che conosco ormai più dei miei vicini di casa e con i quali ho sempre scambiato quattro chiacchiere, come se fossimo in cortil. Li ho visti molto in difficoltà con quella mascherina che non stava ferma o che impediva poter dire qualcosa. Se un tempo venivano a far la spesa due volte alla settimana, adesso con la scusa di questa “necessità” ci vengono tutti i giorni, pur di uscire di casa almeno un’oretta. Uno, l’altro giorno, lasciandomi di stucco, mi ha detto: “Forse fra un po’ di tempo sparirò e voi non saprete nemmeno se sono morto”.

L’altra caratteristica di questo periodo sono le file infinite fuori dal negozio, gli addetti alle entrate fanno passare solo un certo numero di clienti per volta, e si formano questi lunghi cordoni di persone… era una cosa che avevo visto a Londra tanti anni fa. Per quei luoghi si trattava di normalità, vederla come una triste consuetudine anche da noi fa un certo effetto. Poi c’è questa razzia che continua, per ogni genere di prodotto, quasi tutti i giorni, di diversa intensità a seconda dei “bollettini di guerra” che vengono emanati, come se non ci fosse un domani.

A partire da questa settimana, come hanno fatto altri miei colleghi e altre mie colleghe, mi sono presa le ferie arretrate non consumate l’anno scorso. Avevo bisogno di staccare e, paradossalmente di starmene a casa, accantonando per un po’ tutte le paure che, comunque, durante il turno di lavoro mi assalivano.

Sono rimasta comunque in contatto con alcune delle mie compagne di lavoro: so che sono state messe delle protezioni alle casse e hanno distribuito mascherine e guanti a tutti gli addetti. Si fa molta più attenzione alla distanza di sicurezza ai banchi dove c’è il servizio diretto (come la macelleria, la salumeria,o la rosticceria). Mi dicono che, durante tutto il giorno, ci sono ripetuti annunci alla clientela per trasmettere norme comportamentali. Infine, mi hanno comunicato che l’apertura dei negozi Coop è stata ridotta e la chiusura è stata anticipata alle 19,30 anziché alle 21. Anche la chiusura dei negozi alla domenica (per dare un po’ di riposo al personale particolarmente sotto pressione in questo periodo, così come è annunciato dagli altoparlanti interni), mi sembra una posizione saggia che, per una volta, guarda anche al benessere dei dipendenti.

Dovrebbero essere notizie che mi trasmettono quel tanto di serenità per quando dovrò rientrare in servizio, ma, a dire la verità, ci vorrebbe ben altro per far mollare la presa a quell’ansia che in queste giornate mi angustia e mi attanaglia.

(27/03/2020)