Domenica 13 ottobre a Campi Bisenzio, davanti allo stabilimento dell’ex Gkn, si è tenuta l’assemblea internazionale dell’azionariato popolare per il progetto di fabbrica autogestita. Folta la delegazione delle realtà bolognesi: del resto, a Bologna, sono stati raccolti 98.000 euro di azioni. Un resoconto dell’incontro.
a cura del Centro di documentazione dei movimenti “Lorusso-Giuliani”
Nello scorso fine settimana, davanti allo stabilimento ex GKN a Campi Bisenzio, “sotto a quattro tendoni bianchi”, si è tenuta l’assemblea internazionale dell’azionariato popolare per la nuova fabbrica integrata che nascerà sotto forma di cooperativa ecologica.
Una cooperativa a forte impronta ecologica legata a doppio filo con i bisogni e le esigenze di un territorio finito sott’acqua per due volte nel giro di pochi mesi per le alluvioni del capitale, che già solo con il nome che si è data crea immaginario: GFF (Gkn For Future). Con un nome così, il legame con i Fridays For Future e le istanze ambientaliste più sviluppate non ha certo bisogno di spiegazioni. Ma se non bastasse, a saldarlo definitivamente, la presenza di Greta Thunberg, che ha raggiunto il Campi Bisenzio sabato 12 per gli Stati generali della giustizia climatica e sociale e si è trattenuta per un saluto all’assemblea del giorno successivo.
Davanti all’ex fabbrica (potenziale mostro economico/speculativo del prossimo futuro), i saluti d’apertura sono affidati a Dario Salvetti, una delle voci pù conosciute del collettivo di fabbrica, che inizia con un monito tanto realistico quanto disarmante: “Il capitale cerca di portare ognuno di noi al punto di rottura, chiedendo sacrifici e giocando col tempo”. Ma gli operai in presidio permanente da 1.200 giorni non si lasciano abbattere da questa dilaniante consapevolezza e rispondono: “La nostra salvezza è cercare sempre processi e reti collettive, di solidarietà e condivisione”. “Tutti noi abbiamo svolto un ruolo di supplenza ‘pericoloso’ – prosegue – perché ci siamo fatti carico di cose che non ci spettavano e perché, lo sappiamo, questa fabbrica non sarà comunque mai nostra, ma sempre del mercato. Ma non c’è alternativa. Non c’è mai stata. Se avessimo detto ‘solo’ che difendevamo il nostro posto di lavoro, forse è vero che sarebbe stato più facile recuperarlo. Ma l’unica via che vediamo per difendere il nostro posto di lavoro è questa, perché ancora una volta si tratta di spostare i rapporti di forza e di decidere se spiccare il volo o cadere nel baratro”.
“Grazie a voi che siete sempre venuti e venute a ‘votare’ (cioè a prendere parte, a scegliere, ndr), ce l’abbiamo sempre fatta. Oggi vi chiamiamo a votare, ancora una volta, questo piano di reindustrializzazione dal basso che si regge su due pilastri: il primo è che ci riappropriamo di alcune parole ‘loro’: ma non diciamo ‘capitalismo dal basso’; non diciamo ‘imprenditoria’. Diciamo, invece, ‘azionariato popolare’; ‘cooperativa’. D’altronde, non si possono separare i piani materiali da quelli narrativi e relazionali: ‘GFF è una proto-cooperativa, è l’elemento necessario per dialogare sulla reindustrializzazione’. L’accuratezza del piano, la puntualità in tutti i punti del progetto è lo sprone per eventuali investitori. L’altro pilastro è che puntiamo a un prodotto di fabbrica che la grande produzione di massa cinese green (che ha superato quella occidentale) non può produrre, cioè pannelli fotovoltaici personalizzati”.
“Il piano sarà presentato agli enti locali nei prossimi giorni e l’ultimatum che abbiamo dato è fissato al 15 novembre, non possiamo attendere oltre perché non c’è più tempo, perché scadono i termini di preventivi e consulenze, perché non possiamo tenere fermo 1.300.000 euro di azioni e azionisti/e”.
L’intervento di apertura si chiude segnalando un’altra data, il 17 novembre, nuova giornata di mobilitazione che prenderà la forma che dovrà in base a ciò che accadrà in questo mese.
Il piano di reindustrializzazione GFF
Si dà poi inizio, con Leonard, consulente tecnico solidale, all’illustrazione vera e propria del progetto di reindustrializzazione.
A scanso di equivoci, ma a dimostrazione del livello di dettaglio a cui è giunto il piano, l’esordio è: “Non sarà una cosa breve”.
Dopo varie mappature (territorio, risorse, reperimento materie prime…), il gruppo di consulenti tecnici solidali ha elaborato un progetto di industria sostenibile che renderebbe GFF il primo player in Italia a produrre e vendere pannelli fotovoltaici custom, cioè personalizzati in base alla richiesta: un prodotto che la produzione green di massa, neanche quella più importante, la cinese, può riuscire a realizzare.
Il progetto si fonda su quattro direttrici: produzione e installazione, recupero e riciclo, cargo bike, gestione del consorzio.
1) Produzione e installazione
Si punta a costruire sette linee di pannelli custom con differente destinazione d’uso. I tempi per mettere a terra la nuova linea produttiva semi-automatizzata sono stimati in 40 settimane, e sono stati calcolati in base al rapporto tra tempo ciclo e tempo macchina, dove per tempo macchina si intende il tempo fisico che la macchina impiega per l’esecuzione di una determinata operazione; mentre per tempo ciclo si intende il tempo complessivo che si impiega per rilasciare un prodotto o servizio. Come tale, esso integra il tempo di produzione totale con i tempi morti dovuti ai colli di bottiglia organizzativi e ad attività non generatrici di valore. È un modello produttivo che pensa innanzitutto al benessere delle/dei lavoratrici/lavoratori e considera il costo del lavoro, non solo in senso di denaro, come il primo elemento fondamentale del proprio meccanismo, diversamente dai classici business plan che mirano al profitto e solo alla fine guardano al costo del lavoro.
I calcoli sono stati fatti immaginando una superfice per la produzione di 40.000 metri quadri. E qui si svela il paradosso a cui è approdata questa vertenza: c’è una fabbrica senza un piano di reindustrializzazione e c’è un piano di reindustrializzazione senza una fabbrica.
Il problema vero, allora, è non avere un luogo. Struttura e impianti sono di proprietà, una proprietà che però si pone esattamente nell’intersezione che sta tra la fabbrica e il piano di recupero, proprio lì dove si chiama speculazione (“non possiamo dirlo perché non siamo dei magistrati, ma non sappiamo come altro chiamarla”, dicono gli operai).
Per chiudere su questo primo pilastro, un dato: i preordini dei pannelli custom raccolti finora coprono già il 62% della produzione prevista del primo anno di attività della cooperativa.
2) Recupero e riciclo pannelli
La direttrice principale del progetto, la base su cui si sorreggono tutte le altre, è quella del recupero e riciclo dei pannelli dismessi per produrne di nuovi. Oltre all’immenso positivo impatto ambientale e concettuale, questo processo è anche quello che porta con sé i maggiori utili assicurati perché, molto intuitivamente, il risparmio sulle materie prime, che vengono recuperate e non devono essere comprate né trovate in altre maniere, garantisce insieme di produrre green e di limitare le spese, senza inficiare il costo del lavoro e le tasche di chi lavora.
3-4) Cargo bike e gestione del consorzio
Gli ultimi due pilastri sono stati inglobati dal precedente, ma va comunque segnalato che, in questo quadro, resta un elemento irrinunciabile la produzione di cargo bike, ad oggi prodotto di punta dell’autoproduzione sostenibile del collettivo di fabbrica, che potrà traghettare l’ex GKN verso la trasformazione in GFF.
Chi sono gli investitori
Riguardo agli investitori, per ora l’unico ente che si è palesato per il “capitale di debito” è stato Banca Etica, che si è detta interessata a mettere i soldi addirittura prima di vedere il progetto definito. Altri colloqui con altri possibili investitori sono già in corso.
È chiaro che più aumenta il capitale sociale (soci, azionisti, donazioni…), più margine c’è per altri investitori di capitale di debito.
Anche perché è ovvio che GFF installerà sul territorio toscano, perciò deve allacciare rapporti con altre realtà che installino in tutto il paese. Il sostegno a GFF non può prescindere dallo sconfinamento fuori Regione.
Le conclusioni tecniche (e non solo)
Il piano (come tutti i business plan, in teoria) dovrà ricevere non un’approvazione generale, ma dovrà superare “l’esame” in ogni suo singolo e specifico aspetto. Ed è per questo che è stato necessario pensare a ogni piccolo dettaglio in ogni singola parte per evitare falle o carenze che potrebbero far saltare il banco.
C’è da dire, conclude Leonard, che con questo progetto si può smettere di pensare all’autorganizzazione degli operai al condizionale, considerarla come una vicenda che potrebbe creare un precedente. Il precedente è già stato creato.
I tanti interventi
Il giro degli intereventi di potenziali soci/e e solidali inizia con un collegamento dall’Assemblea delle imprese recuperate internazionali di Barcellona: è Gigi Malabarba a portare un saluto. Secondo il portavoce di Rimaflow si sta creando, oltre alla convergenza materiale, una rete di concezione del lavoro ecologista, di cui GKN è guida.
Subito dopo, Usb ribadisce che GKN è già un precedente e auspica che troviamo la forza per spingere il Pubblico a intervenire a favore di un’azienda pubblica recuperata, esattamente come tante volte ha fatto a favore dei privati in casi di reindustrializzazioni volte alla speculazione.
Il Pubblico, se vuole, interviene, facciamo che intervenga anche dalla parte di questo progetto!
Per Eliana Como, che ha “ascoltato la descizione del piano con le lacrime agli occhi, come se fosse una poesia”, il peccato originale è pensare che dalla crisi climatica si esce con il mercato, quando invece il mercato ne è la causa. L’uscita dalla crisi va ripensata, principalmente ottenendo un intervento pubblico.
Interviene, poi, Lab (sindacato basco manifestatore di interesse GFF), ringraziando il collettivo ex GKN, considerato di grande ispirazione per lotte nel territorio di Euskadi.
È quindi il turno di Adl Cobas che, con una dichiarazione molto sincera e accorata, sostiene che il progetto va portato in giro e fatto conoscere; ma soprattutto che, “se questo spazio (fisico e di azione) non verrà dato, la dovranno pagare”.
Il Sial Cobas di Milano si limita a ringraziare e a mettersi a disposizione per il 17 novembre, qualunque cosa quella data significherà.
Gli interventi si interrompono per qualche statistica sui dati dell’azionariato popolare, a leggerle è Tiziana del Collettivo di fabbrica, che ha gestito le richieste di ammissione a socio: 1.149 manifestazioni di interesse, per un totale di più di un milione e 300.000 euro di potenziali azioni.
Sbalorditivi i numeri di Toscana, per l’Italia, e Germania, per il resto d’Europa. L’Emilia-Romagna, come regione, si piazza al terzo posto della speciale classifica dellɘ azionistɘ italianɘ, dietro solo a Toscana e Lombardia.
Prende parola anche Danio, altro componente del collettivo di fabbrica, per l’occasione a capo della presidenza (gestionale) dell’assemblea. “Siamo tornati bambini”, esordisce. “Siamo tornati bambini perché abbiamo bisogno di qualcuno che bada a noi – la rete di sostegno solidale che accompagna gli operai, senza stipendio da nove mesi – e perché abbiamo dovuto imparare di nuovo a camminare (alla nostra età abbiamo dovuto reinventarci)”.
Riprendono gli interventi con Comunet (realtà mutualistica torinese): “GKN da subito ha praticato la società di cui stava parlando, cioè una società alla ricerca di complicità intersezionali per avere strumenti molteplici da usare per costruire conflitto. E, come più volte ribadito da loro stessi, difendendo il proprio territorio e insieme il loro posto di lavoro, parla a tuttɘ”.
Bes (?) porta i suoi ringraziamenti al Collettivo di fabbrica e snocciola i dati della partecipazione all’azionariato popolare che la loro piccola realtà è riuscita a mettere insieme.
Dopo una piccola pausa pranzo, è Maurizio Acerbo, segretario nazionale Prc, a riaprire le danze: “La vittoria di questa lotta ha un’importanza paradigmatica per le lotte del nostro paese, perché dimostra l’inganno di chi vuole farci credere che le lotte per il lavoro e per l’ecologia siano separate. La Ue ha affidato la Transizione verde al mercato, ma il mercato, per definizione, sottomette il lavoro, e infatti fallisce in questo tentativo”.
La Rete per l’economia solidale afferma che “qui si è già oltre il mercato. Qui bisogna essere “cooperai”. Bisogna rilanciare questo modello di concezione del lavoro, che è effettivamente diverso da quello Ue, per andare verso la reale transizione verde.
Anche Generazioni Future sostiene che l’azionariato popolare diffuso sia una strada diversa che dobbiamo percorrere.
Tocca poi a Bartolomei, che interviene come azionista non facente parte di alcuna struttura o gruppo organizzato: “Abbiamo fatto una colletta per prendere le quote e siamo riusciti a raccogliere 1.500 euro. Questo piano, e questa lotta, potrebbero effettivamente diventare un precedente: per fare sì che così avvenga, è necessario che la lotta sia ampliata a tutti i lavoratori e lavoratrici, e non confinata alle avanguardie”. Conclude poi con una battuta: “Non vi preoccupate, noi azionisti abbiamo pazienza”.
Quando è Edizioni Alegre a prendere parola, dopo aver ricordato che quella dell’ex GKN rappresenta la lotta più lunga del movimento operaio italiano, si torna a parlare dei due festival di letteratura organizzati insieme al Collettivo di fabbrica, una volta all’interno, l’altra all’esterno della fabbrica: “Abbiamo costruito insieme due edizioni del Festival di letteratura Working Class, che può essere uno dei fondamenti della reindustrializzazione”.
Su questa onda, viene lanciata una votazione anticipata: Alegre propone di replicare il festival ancora nei giorni intorno al primo aprile, come pesce d’aprile per chi vuole gli oppressi muti e i dominanti liberi di assolversi con le proprie narrazioni consolatorie.
L’assemblea approva all’unanimità.
Dopo il collegamento da Barcellona e l’intervento di Lab, il successivo contributo internazionale arriva dai Sindacalisti tedeschi per l’ecologia, presenti all’assemblea: “Abbiamo raccolto circa 300.000 euro per le azioni. Quello di cui abbiamo bisogno è un dialogo per una transizione giusta, e questo può avvenire solo se questa lotta e altre come questa vincono, il nostro interlocutore non può certo essere la Ue”.
Alex del Circolo Arci Ciro Menotti di Carpi apre un altro fronte del discorso molto interessante: “Parlo come lavoratore della tecnologia. Un nuovo modello di fabbrica, come quello che questo piano propone, dovrebbe funzionare sulla base di una impostazione open source, perché questo è non solo tecnologico, ma soprattutto strategico: tutti potrebbero migliorare il codice, non solo i ‘tot’ operai previsti dal piano di reindustrializzazione”.
Gli Studenti di sinistra (rete di collettivi universitari di Firenze) sposta il focus sul mondo degli Atenei, affermando che nell’università la transizione ecologica viene drenata nel mercato, quindi non riesce a dispiegarsi veramente. GFF può essere l’alternativa a questo modello ipocrita, perché può fornire una tecnologia effettivamente sostenibile.
Dopo qualche altro intervento, da parte di singoli e realtà collettive organizzate, tra cui i britannici di UK Solidarity Network, arriva la voce di Seano, dove lavoratori e lavoratrici si trovano in presidio, prontə a partire in corteo, dopo l’aggressione avvenuta nei giorni scorsi ad un gruppo di lavoratorə e sindacalistə che stavano scioperando davanti ai cancelli dell’azienda di pelletteria “Lin Weidong”. Uomini armati di mazze lə hanno sorpresə e pestatə davanti al picchetto che avevano istituito.
Uno di loro raggiunge l’assemblea a Campi Bisenzio per portare la sua testimonianza e per invitare tuttə alla manifestazione che si terrà poco dopo, al termine della riunione: “Abbiamo subìto una grande violenza, ma non ci dimentichiamo che la violenza è sistemica. A Prato, lavoravamo 12 ore al giorno per 7 giorni, abbiamo conquistato il lavoro 8×5. Gli scioperi funzionano, non i controlli dell’ispettorato!”. Continua poi allargando il discorso: “Le merci vanno fermate, e continueremo a fermarle, nonostante il ddl 1660”. E ancora: “Nei padroni si può trovare qualsiasi nazionalità, il punto quindi è che il problema non sono i Cinesi. Il punto è che le aggressioni sono impunite!”.
A chiudere, il saluto e gli auguri di Greta Thunberg.
Poi si passa a discutere una risoluzione sul progetto che approda ad un voto di approvazione all’unanimità.
Le conclusioni finali
Le conclusioni finali sono affidate ancora una volta a Dario Salvetti.
“Il piano non può andare più in dettaglio di così, è maturo. Ogni secondo in più che passa, marcisce. E se non dovesse passare, quello che vi chiediamo è che dovrà essere rabbia, non depressione. Vi chiediamo di tenervi libere e liberi per il 17 novembre, ci sarà la prossima giornata di mobilitazione. Cosa sarà dipenderà dalla fine che farà questo piano industriale, ma di sicuro, in ogni caso, dovrà essere una cosa che si collochi tra quest’assemblea e una manifestazione”.
L’azionariato popolare riapre, nuove richieste di acquisto quote potranno essere presentate entro il 15 novembre: il nuovo obiettivo è arrivare a un complessivo di due milioni di euro.
La chiusura, provocatoria e particolarmente sentita, è una frecciatina agli enti locali, gli stessi che dovranno esprimersi sul piano: “Ci hanno accusato di fare politica, vuol dire che proprio loro, gli stessə che fanno la politica istituzionale, la considerano una cosa sporca”.