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Editoriale / Il ballo dello sgombero e il risiko sociale

Ritornano le stelle di latta sul petto degli amministratori, straripano i manganelli sulle teste di chi lotta. Gorino non è così lontana: cronache dalla misera città che nasconde razzismo e discriminazione sotto il tappeto della legalità.

26 Ottobre 2016 - 13:00

Sgombero via Irnerio - © Michele LapiniDell’attuale sindaco di Bologna si sa che ha assolto il servizio militare come alpino nella Brigata Julia, pur essendo nato a Santa Maria Capua Vetere. La Julia è una grande unità specializzata per il combattimento in montagna, con tre reggimenti: genio guastatori, artiglieria e logistico. Non è dato sapere dove Virginio Merola fosse dislocato.

Dell’assessore alla sicurezza Riccardo Malagoli si sa che viene dalla gavetta. E’ lui stesso a rivendicarlo nella sua scheda curriculare: “Da operatore ecologico non potrò mai scordare gli anni di esperienza nelle strade cittadine che mi hanno fatto conoscere e amare l’anima più popolare e autentica della città: solidale e comunitaria”.

Ma di lui non si scordano anche tre brutti ceffi che, ad anni di distanza, sono pronti a giurare che, il 4 giugno 2004, fosse con loro a Roma, per bloccare la Tangenziale, all’altezza dell’uscita di San Lorenzo. Era in corso una protesta, alquanto colorita, per scandire ad alta voce che il presidente degli Stati Uniti George Bush non era proprio il benvenuto nel nostro paese.

Di Virginia Gieri si sa che è una mamma prestata alla politica, fin dal 1992. Fu il Partito Popolare di Mino Martinazzoli ad accoglierla tra le sue fila, ma in politica, a differenza che nel calcio, il prestito con diritto di riscatto è un’opzione a cui raramente si fa ricorso. Così la signora Virginia cambiò diverse casacche, dall’Asinello alla Margherita per arrivare al PD, rimanendo sempre in prestito. Attualmente è la renziana più “serena” che ci sia in circolazione. Pur essendo successo recentemente, è già stato messo in granaio, per gli annali della storia, l’avverbio “serenamente” che ha appiccicato alle operazioni di sgombero dello stabile occupato di via Mario De Maria.

Nel corso degli anni la carriera politica di questi tre amministratori di punta dell’attuale giunta comunale ha percorso strade diverse. Si incrociò soltanto, durante il mandato di Cofferati, per via di un “corso di bolognesità” a cui dovettero partecipare per sviluppare maggiormente la loro cultura di governo.

Fu in quel contesto che appresero dell’esistenza di un vecchio detto bolognese che li folgorò: “Fèr al bâl dal sgamber”. Fare il ballo dello sgombero, fare piazza pulita, risolvere in modo risoluto una particolare situazione. Per loro, quel ballo, divenne una specie di patto di sangue: se fossero diventati assessori alla casa si sarebbero fatti riconoscere per la tolleranza zero nei confronti delle occupazioni abitative.

E, in effetti, per l’assessorato alla casa ci passarono tutti e tre. Merola aggiunse questa delega a quella dell’urbanistica, che già aveva assegnata, a metà mandato del Cofferati primo (e unico). Malagoli, con questa e altre deleghe, divenne l’assessore alla fedeltà dei primi cinque anni da sindaco di Virginio. La Gieri è l’ultima arrivata al settore abitativo, ma vuole essere quella che “non guarda in faccia nessuno” più degli altri.

In una delle sue prime uscite pubbliche in città, in tema di edilizia popolare, ha parlato così: “Se tu occupi, difficilmente ne uscirai incolume”… La signora Virginia si è vantata del fatto che, a livello nazionale, Bologna è il comune che ha meno occupazioni “29 alloggi su 12 mila alloggi gestiti da ACER… Ma non ci accontentiamo… Vedere occupazioni non deve diventare un’abitudine… Lavoremo meglio per procedere più velocemente anche con l’intervento delle forze di polizia”…

Merola, dal canto suo, ha ribadito: “Sugli sgomberi continueremo con severità… La situazione è ampiamente sotto controllo rispetto a quanto capita in molte parti d’Italia, ma il numero delle occupazioni abusive deve assolutamente rimanere contenuto, con l’obiettivo di vederlo ridotto sempre più”.

Del resto, pure Malagoli, sugli sgomberi, è rimasto allineato ai suoi amici: “Le forze dell’ordine hanno agito bene, anzi benissimo”. D’altronde fu una sua dichiarazione roboante di qualche anno fa a farlo passare per “un duro che dura”: “Le persone che occupano non hanno atteggiamenti consoni e mettono in difficoltà le altre persone che vivono negli stabili vicini… Gli sgomberi sono una nostra priorità e andremo avanti in collaborazione stretta con la Questura”.

Con questa logica i nostri tre, insieme agli altri rappresentanti dei palazzi istituzionali sono i protagonisti, di quel vero e proprio “Risiko sociale” che avviene al tavolo per la sicurezza urbana e che ha dato al questore pieni e indiscussi poteri di invadere la città con blindati e divise blu. Di usare la forza come unico elemento di confronto sulle istanze poste dal conflitto sociale.

Nel “Patto per Bologna sicura” il manganello e il pugno di ferro sono le modalità principali d’intervento. Non è un caso che la questione degli immobili occupati sia al primo punto del Patto, insieme al contrasto del commercio abusivo, alla lotta all’uso di sostanze psicoattive, al potenziamento del sistema di videosorveglianza. E come non ricordare che Bologna non si è fatta mancare nemmeno un bel protocollo d’intesa come “Mille occhi sulla città”, dove viene sancita la collaborazione tra le Forze dell’ordine, la Polizia municipale e i principali istituti di vigilanza privata. All’epoca dell’intesa si parlò di “tante sentinelle, raccordate tra di loro, per aumentare il grado di sicurezza e il controllo del territorio”.

Ogni giorno di più questa città, che fino ad oggi si è chiamata Bologna, prende le sembianze della Treviso che fu di Gentilini. Con buona pace di coloro che, pochi mesi fa, hanno sostenuto che Merola era l’ultimo terrapieno da contrapporre allo sfondamento fascio-leghista guidato dalla Borgonzoni.

In tanti, negli anni passati, alzammo la voce, scandalizzati, quando il “sindaco sceriffo” del Nord Est si scagliava contro i migranti. Fummo in meno quando, con Cofferati, un “sindaco sceriffo” si vide girare sotto le Due Torri. Oggi che la stella di latta se l’è messa anche Merola siamo pochissimi a dirgli basta.

Quando episodi di “razzismo istituzionale” si verificano in altri paesi, ci fanno ribrezzo. Se a Bologna, invece, attraverso la politica degli sgomberi, diventano cronaca quotidiana, lasciano i più indifferenti.

Adesso, viene riproposta l’ennesima emergenza securitaria: la guerra ai lavavetri.

Ci dicono che se ne incontrano troppi, ogni giorno, ai semafori. E il nostro solerte “nuovo sceriffo” di Palazzo d’Accursio intende venire incontro al senso di fastidio e di insofferenza di tanti automobilisti bolognesi (specie quando ti senti aggredito o hai la macchina pulita). Sotto la mannaia della legalità finiranno, ancora una volta dei poveri cristi. Come si permettono di svolgere ai semafori “un’attività che non è prevista da alcun ordinamento come da nessun regolamento”?

Che dire? La disillusione, diventa un sentimento legittimo contro questa cosiddetta “sinistra” che fa della guerra ai poveri (e non alla povertà) una delle sue priorità quotidiane.

Siamo, da tempo, di fronte a una vera e propria “mutazione antropologica”, a un processo di regressione e d’imbarbarimento. Che fine stanno facendo la solidarietà verso chi è in difficoltà e l’aiuto al proprio simile che soffre? Gorino, in fondo, non è così lontana

Il sistema politico-amministrativo in cui viviamo non vuole far fronte a situazioni di disagio sociale e di emergenza soprattutto quando ad esserne oggetto sono persone provenienti da altri paesi.

Questo è il segno dell’ipocrisia e della malafede non tanto di chi si dichiara apertamente razzista e ostile ai migranti, quanto di chi si dichiara pubblicamente favorevole ad una società multietnica e multirazziale, poi fa di tutto per contrastarla.

E’ un tema che chiama in causa anche gli artisti, gli scrittori, gli intellettuali di questa città perchè è necessario rendere il più manifesto e pubblico possibile il dissenso verso un’impostazione che punta ad affrontare vecchie e nuove sfide con una logica tutta e solo militare.

I rappresentanti del PD guardano al mondo in un modo che non è molto diverso, per impostazione, da quello degli esponenti della destra. Si tratta di un modo “realistico”, privo di coinvolgimento emotivo, glaciale e pragmatico fino al cinismo.

C’è un grande bisogno di agire, di fare qualcosa, di rompere questo muro aberrante di perbenismo e di populismo, di accettazione delle discriminazioni e degli abusi mimetizzati sotto l’alibi della legalità.