Acabnews Bologna

E poi vennero a prendere le/i metalmeccaniche/i

Diecimila operaie/i in sciopero per il contratto deviano il corteo sulla tangenziale, bloccandola per 45 minuti. Scatta la morsa del pacchetto Sicurezza del governo Meloni, le/i denunceranno tutte/i?

24 Giugno 2025 - 09:37

«Prima vennero a prendere gli zingari, e non dissi niente perché non ero uno zingaro. Poi vennero a prendere gli ebrei, e non dissi niente perché non ero ebreo. Quando rinchiusero i socialdemocratici io non dissi nulla perché non ero socialdemocratico. Quando presero i sindacalisti io non dissi nulla perché non ero sindacalista. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno che potesse dire qualcosa o protestare».

Queste parole furono pronunciate in un sermone da un pastore protestante durante gli anni in cui il nazismo era al potere in Germania. Negli anni Sessanta, negli Stati Uniti, furono spesso utilizzate dagli attivisti sociali, a sostegno delle battaglie dei diritti civili e in opposizione alla guerra in Vietnam. Poi questi contenuti vennero parafrasati anche nelle strofe di una canzone:

«Quando vennero per gli ebrei e i neri, distolsi gli occhi. Quando vennero per gli scrittori e i pensatori e i radicali e i dimostranti, distolsi gli occhi. Quando vennero per gli omosessuali, per le minoranze, gli utopisti, i ballerini, distolsi gli occhi. E poi quando vennero per me mi voltai e mi guardai intorno, non era rimasto più nessuno…».

In forma di predica, di poesia o di brano musicale, nel corso del tempo, quelle parole sono diventate un monito contro l’indifferenza e la passività, e continuano ad essere usate ancora, adattandole di volta in volta contro le tante forme di oppressione e di diseguaglianza sociale.

E quelle parole, adesso, le abbiamo tirate fuori pure noi per commentare la vicenda dello scorso 20 giugno, della giornata di sciopero delle/i metalmeccaniche/i e del corteo operaio che “deliberatamente” ha imboccato la tangenziale di Bologna, bloccando il traffico per un po’ di tempo. Non poteva essere altrimenti: è arrivato il repentino avviso di denuncia della Questura, in ottemperanza delle Legge 80 del 9 giugno 2025 che ha convertito in norma vigente il tristemente famoso Decreto Sicurezza del governo Meloni. Migliaia di persone verranno denunciate?

Le lavoratrici e i lavoratori meccaniche/i, a quanto si è letto, saranno tra le/i prime/i a finire nella morsa dell’articolo 14 del provvedimento legislativo che ha modificato il decreto legislativo n. 66 del 22 gennaio 1948, portando la punizione, per chi ostacola “la libera circolazione delle strade ferrate ed ordinarie e la libera navigazione”, a sanzioni amministrative da 1.000 a 4.000 euro e alla reclusione fino a un mese per chi partecipa ai blocchi stradali. Se “il fatto è commesso da più persone riunite”, la pena sale “da sei mesi a due anni di carcere”.

Nel corso di questi anni, in nome della “Sicurezza”, sono state introdotte diverse restrizioni liberticide e nuove leggi di stampo razziale. La strada che ha portato alle ultime misure era stata tracciata da una serie di decreti (Maroni, Minniti e Salvini) che sono stati approvati da Governi di diverso colore politico. Oggi, l’esecutivo Meloni, impregnato da un incontenibile populismo penale, ha portato a termine l’opera: il traguardo dello “stato di polizia” sta per essere raggiunto; a supportarlo sono una serie di pratiche repressive quotidiane, fatte di soprusi, arbitrarietà e arroganza, che sono rivolte in primo luogo contro le/gli oppositrici/ori sociali.

A questo punto, un “predicozzo a compendio” ce lo possiamo permettere anche noi:

«Prima vennero i No Tav…. Ma come si fa ad essere contro il progresso e contro la velocità degli spostamenti?
Poi fu la volta dei centri sociali… ma quelli se la vanno a cercare, se non fanno casino non stanno bene (per loro ogni argomento è una scusa per farlo).
Poi arrivarono a caricare i picchetti delle/gli operae/i della logistica… ma la merce a basso costo la comprano degli altri lavoratori, non i ricchi; con i blocchi si colpisce la povera gente che sta aspettando a casa il prodotto.
Poi si aggiunsero le/i giovani attiviste/i climatiche/i di Extinction Rebellion e di Ultima Generazione… ma questi sfaticati che bloccano il traffico proprio non hanno nient’altro da fare?
Ci si poteva esimere dalle/i “pro-Pal” che, in nome di Gaza, hanno occupato i binari delle stazioni, che hanno contestato i prestigiosi appuntamenti delle istituzioni universitarie o che hanno bloccato le navi israeliane coi loro carichi di armi? No di certo… poi non si devono sorprendere se vengono raggiunti/e da denunce e da avvisi di fine indagine.
Negli ultimi anni, più di 20.000 procedimenti giudiziari (consistenti in denunce, processi, condanne, carcere e provvedimenti speciali di polizia) sono stati rivolti contro le donne e gli uomini che hanno partecipato ai movimenti di trasformazione della società o a pratiche di lotta per la difesa ambientale e sociale nei territori o per contrastare la precarietà lavorativa ed esistenziale… Chi si è preoccupato di quanto stava avvenendo?
Infine, pur non essendoci un clima da autunno caldo (ma solo un aumento “preoccupante” del clima), sono tornati a denunciare le/i metalmeccaniche/i… ma la classe operaia non era una classe in via di estinzione?… si domanda qualcuno…».

Fin che ci siamo, però, oltre alla questione repressiva, facciamoci qualche altra domanda.

Perché, prima del corteo in tangenziale, della vertenza delle/i metalmeccaniche/i non parlava nessuno? E, invece, da alcuni giorni ci pagine intere sui principali organi di informazione che trattano dello sciopero per il rinnovo del contratto? E con reportage da diverse città, non solo da Bologna. Prima di quei diecimila sull’anello stradale bolognese, in quanti conoscevano i contenuti della lotta contrattuale? Chi sapeva che sono stati richiesti aumenti salariali, perché con con 1.300 / 1.400 euro al mese a Bologna non si riesce a vivere e nemmeno in tante altrte città italiane? Chi sapeva che tra le rivendicazioni c’erano anche richieste di riduzione d’orario? Che si chiedeva di limitare la durata e il numero dei contratti a tempo determinato e, quindi, contrastare la precarietà dilagante anche tra le tute blu? E, dato che si parla tanto di sicurezza, quella che manca sui posti di lavoro, e che provoca incidenti mortali, infortuni e malattie professionali, perché fa notizia solo in alcuni casi?

Allora, quell’azione “illegale” di massa alcuni risultati li ha ottenuti, è bene dirlo: prima con i semplici scioperi e le classiche manifestazioni quando si strappava un trafiletto era già “grasso che colava”. Una cosa però non la si è riuscita ad ottenere (almeno leggendo gli articoli dei grandi quotidiani o ascoltando i tg): se le lavoratrici e i lavoratori metalmeccaniche/i sono da un anno senza contratto, se hanno fatto ormai 40 ore di sciopero senza ottenere risposte, di chi è la colpa? Sembra che Confindustria, Federmeccanica e le altre organizzazioni imprenditoriali in tutto questo non centrino nulla. Se gli stipendi dei lavoratori dipendenti italiani sono da fame, se in tanti casi non ti permettono di superare una condizione di povertà, non è forse perché quelle/i “padrone/i” (chiamiamoli per una volta con il loro nome), che si lamentano perché non trovano mano d’opera, hanno il “braccino corto”, anzi cortissimo. Certo, il populismo penale in questi anni ha trasformato il diritto penale nello strumento primario di risoluzione dei conflitti, ma, nel rinnovo di un contratto di lavoro, c’è un conflitto tra capitale e lavoro che non può essere risolto reprimendo le/gli operaie/i. Come si diceva una volta “i padroni devono venire giù di bocca” e, per convincerli a tirare fuori i soldi, bisogna indurire la lotta, nelle forme e con la fantasia di cui gli operai e le operaie sono sempre state/i capaci.

Nelle tante prese di posizione che abbiamo letto o sentito “a favore” delle/i metalmeccaniche/i, c’è una frase che ci ha dato particolarmente fastidio: «Non si è trattato di quattro ragazzini che mettono uno striscione o dell’occupazione di un posto simbolico». Perché quelle/i, invece, possono essere manganellate/i e denunciate/i? Per quelle/i il pacchetto sicurezza va bene? Così come va bene per le/gli operaie/i migranti della logistica che vengono caricati e denunciati quando fanno picchetto? O per le/gli ambientaliste/i che mettono i loro corpi a difesa di un territorio? E le lavoratrici e i lavoratori precarie/i che hanno grembiuli e tute diverse , oppure non ce le hanno, certe forme di lotta non se le possono permettere? Se c’è una cosa “positiva” del pacchetto Sicurezza e che non guarda in faccia nessuno, chi ha le caratteristiche dell’oppositore sociale deve essere colpito, perché l’opposizione il governo Meloni non la tollera. E, allora, è il provvedimento nel suo complesso che va respinto senza distinguo tra i soggetti che verranno colpiti.

Questa legge liberticida va disapplicata nei fatti. Va contrastata con varie forme di disobbedienza civile e politica. Sempre. Bisogna rendere “satollo” il sistema repressivo, portarlo al colasso, fare capire ai fascisti che ci governano che non ci lasceremo intimidire. Invece di alzare cartoncini o foglietti A4 al parlamento o fare finti “giù per terra”, indossare magliette con la scritta o inflazionare le richieste di dimissioni che al governo fanno il solletico, le/i politiche/i minimamente consapevoli di ciò che sta avvenendo nel paese e che vogliono contrastare nei fatti il pacchetto Sicurezza siano presenti nei luoghi dove ci possono essere azioni repressive e si assumano le loro responsabilità. Le/gli intellettuali (se ce ne sono ancora) escano dai salotti televisivi dove si parla spesso di niente e siano dove la polizia abbonda di manganello e di mazzate. E basta con le cantilene sulle forze dell’ordine, sui lavoratori in divisa che eseguono ordini: leggetela tutta la nuova legge sulla Sicurezza e vi accorgerete come gli agenti vengono supertutelati, a prescindere…

E, per regalarci un po’ più di consapevolezza, chiudiamo con queste parole del grande filosofo e attivista Bertrand Russell: «Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro… Forse non cambierete il mondo, ma avrete contribuito a inclinare il piano nella vostra direzione e avrete reso la vostra vita degna di essere raccontata. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai».