Calata la tensione in carcere, danni ingenti. Anche oggi presidio solidale, nella notte affissi striscioni in città [foto]. Sono nove i decessi, invece, al Sant’Anna di Modena. Gli interventi di associazione Bianca Guidetti Serra, Cua, Tpo e Làbas, Noi Restiamo, Hobo.
Sembra scemata la sommossa che, da ieri, ha interessato al casa circondariale di Bologna, con molti detenuti rientrati nelle celle uno ricoverato in ospedale in condizioni che non sarebbero non gravi. Dimessi i tre ricoverati ieri. Complessivamente, sono venti i detenuti che hanno avuto bisogno di cure mediche. I danni sarebbero ingenti. Anche oggi, all’esterno, ha avuto luogo un presidio di solidarietà.
È invece salito purtroppo a 9 il conto dei morti in seguito alla rivolta al Sant’Anna di Modena, mentre sarebbero invece stazionare le condizioni di sei detenuti ricoverati in terapia intensiva.
Nella notte, una serie di striscioni in solidarietà ai rivoltosi sono stati affissi in città: pubblichiamo in calce all’articolo le fotografie inviate in redazione.
Diversi collettivi e realtà cittadine hanno raccontato e commentato l’accaduto. Scrive l’associazione Bianca Guidetti Serra: “Dal 22 febbraio scorso, gradualmente e a macchia di leopardo, sono state introdotte nelle carceri italiane misure restrittive imposte in nome dell’emergenza coronavirus: divieti di accesso ai volontari, sospensione delle attività formative e ricreative, sospensione di permessi e delle uscite per i semiliberi, fino ad arrivare alla sospensione dei colloqui, peraltro in un momento di così alta preoccupazione dei detenuti anche per la salute dei propri congiunti all’esterno. Queste misure, aggiuntive rispetto alla normale durezza della detenzione, hanno fatto letteralmente esplodere tutte le contraddizioni di un sistema che usa il carcere come “discarica sociale”. Alla sospensione dei già rari colloqui con i familiari per “motivi di prevenzione sanitaria”, fa da contraltare la normale situazione delle carceri italiane che è la negazione stessa del diritto alla salute. Nelle carceri italiane la promiscuità è forzata dal sovraffollamento, generato da decenni di gestione sicuritaria di ogni problematica sociale, e per il quale l’Italia ha già subito una condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Sessantamila detenuti per cinquantamila posti, con penitenziari dove l’affollamento rasenta il doppio della capienza. Sarebbe interessante capire, in queste condizioni, come dovrebbero essere mantenute le misure di “‘rarefazione sociale'”.
Prosegue il testo: “Le strutture carcerarie fatiscenti, l’insufficienza dei servizi igienici, la frequente mancanza di acqua calda, il sovrapprezzo per tutti i generi di acquisto – compresi quelli per l’igiene personale – le pesanti carenze dell’assistenza medica in caso di bisogno, fanno della condizione carceraria l’antitesi stessa, non solo delle misure sanitarie di emergenza il cui obbligo viene oggi tanto proclamato, ma anche delle banali misure igieniche di un periodo normale. Facile comprendere come l’annullamento sostanziale di ogni rapporto con l’esterno, col relativo sovraccarico di sofferenza psicologica, abbiano scatenato una rabbia accumulata da tempo. A questa rabbia, esplosa nelle rivolte degli ultimi giorni, lo Stato pensa di rispondere fornendo mascherine, come se potessero evitare l’espandersi di un contagio nelle condizioni descritte. L’unica prevenzione possibile a questa catastrofica eventualità è la sospensione della pena per tutte le persone detenute ammalate ed anziane e l’adozione di un provvedimento di amnistia, l’unico in grado di ridurre sensibilmente la popolazione carceraria e, di conseguenza, i rischi connessi all’epidemia di covid-19”.
Anche a Bologna, nel carcere della Dozza – scrive il Cua – i/le detenut* stanno lottando con coraggio e determinazione contro le disumane condizioni a cui sono costrett*, rese ancora più invivibili da questa mondiale crisi sanitaria. La giornata di ieri ha visto proseguire in maniera incessante gli scontri all’interno del penitenziario, arrivando all’occupazione di alcuni locali da parte della comunità in rivolta. Appena appresa la notizia si è formato spontaneamente un presidio di parenti, amici e solidali, che, accrescendo di ora in ora, ha deciso di partire in corteo attorno al carcere per cercare un contatto visivo e uditivo con l’interno. In tarda serata un gruppo di detenuti è riuscito ad accedere al tetto di uno stabile e al grido di ‘Libertà!’ ha iniziato a dare fuoco a delle lenzuola, provocando una forte emozione nei cuori di chi stava fuori in presidio. Al termine della giornata di lotta tre detenuti sono stati portati in ospedale, ma dentro quelle abominevoli mura del carcere la resistenza continua tutt’ora!”.
Per Tpo e Làbas “l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ci impegna a osservare misure e adottare azioni di tutela per sé e per la collettività, per niente semplici o scontate. Cosa succede se queste misure prendono la forma di una punizione e non di una prevenzione? Succede che in uno spazio già di privazione della libertà, come le carceri, si genera una tensione che non può che accumularsi a quella già intrinseca alle condizioni che le strutture dispongono peggiorando, ancora una volta, la situazione di chi le vive. Questo è ciò che è accaduto nelle ultime ore in oltre 30 carceri italiane. Ed è per questo che ora più che mai, a partire dalle numerose e determinate proteste a cui stiamo assistendo, ci dobbiamo porre delle domande. Perché per tutelare la salute dei detenuti è necessario che vengano potenziate soluzioni alternative al carcere? Sono numerosissimi i rapporti che da anni denunciano le condizioni delle carceri. Condizioni rese ostili anche dal sovraffolamento sistemico che le caratterizza. Nel 35,3% di esse l’acqua calda non è assicurata. Nel 7,1% non funziona il riscaldamento. Nel 54,1% le celle sono prive di docce, pur previste dalla legge. Nel 20% non esistono spazi per le lavorazioni, figuriamoci quelli per mantenersi a distanza di sicurezza per prevenire eventuali contagi. Generalmente, la pena detentiva si allontana oggi talmente tanto dagli obbiettivi rieducativi da prendere le forme di una tortura. Perché questo è il momento di lottare per un provvedimento di amnistia? Le carceri sono sovraffollate e sono destinate a rimanere tali alla luce dei tassi di incarcerazione in aumento da anni. Viviamo in un ordimento giuridico che in contrasto con quello di molti altri paesi europei assiste alla progressiva diminuzione dei reati commessi ma all’aumento del tasso di detenzione. Com’è possibile? Da una parte vi è l’assenza di un utilizzo sensato di misure alternative alla reclusione, dall’altra la tendenza a penalizzare sempre di più condotte che, al contrario, andrebbero depenalizzate. Perché l’amnistia non riguarda “soltanto” chi oggi è in carcere, ma tutte e tutti noi?”.
Proseguono i due centri sociali: “In Italia il diritto penale viene utilizzato come strumento politico per criminalizzare condotte che hanno a che fare con la povertà, il dissenso, le sostanze. I decreti sicurezza Minniti prima, Salvini poi ne sono un’ultima rappresentazione. Sono strumenti di criminalizzazione e repressione: da una parte costruiscono una narrazione incentrata sulla pericolosità di fragilità e libertà, dall’altra utilizzano la detenzione come strumento punitivo, di allontanamento dalle città, come rimedio per la costruzione di una strana forma di ‘sicurezza’. Il diritto di muoversi, di dissentire, e di autodeterminarsi deve essere una prerogativa di e per tutte e tutti, e in quanto tale va garantita e difesa, insieme. E’ drammatico aver dovuto aspettare la morte di sette persone per tornare a parlare di ciò che accade nelle carceri e delle condizioni degradanti al loro interno. E’ necessario però partire da quanto accaduto per affrontare con forza il tema della depenalizzazione e dell’amnistia sociale perché ciò che è in gioco è una libertà e un diritto alla salute che o è di tutt@, o non è. Le rivolte in carcere sono la temperatura di una situazione insostenibile, simile alla tortura e che ora diventa anche un campo di germinazione virale. Non si tratta di essere tifosi, ma di usare la testa e ricordarci che la qualità della democrazia si misura sugli ultimi della piramide. E’ tempo del coraggio. E’ tempo di un provvedimento generale di amnistia. Liberatel@”.
Interviene anche Noi Restiamo: “Oggi i detenuti, come in altre città d’Italia, hanno iniziato la protesta dopo le notizie degli assassini al carcere di Modena, e contro i rischi di epidemia a causa del sovraffollamento in cui i detenuti si stanno ritovando in questo momento. Non abbiamo notizie di quello che sta succedendo all’interno, l’unica cosa certa sono gli spostamenti delle camionette che entrano ed escono dal carcere. In questo momento di emergenza sanitaria ribadiamo la necessità di svuotare le carceri.
Infine, Hobo: “Una catena di rivolte sta interessando il circuito concentrazionario italiano con morti e feriti. I detenuti, con giusta ragione, temono di fare la fine del topo. È evidente a tutti che se il Covid-19 entrasse nelle carceri sarebbe una strage, dato che il 70% di loro è affetto da almeno una malattia cronica oltre il naturale abbassamento delle difese immunitarie dovuto allo stress psicofisico provocato dallo stato di detenzione in una situazione di sovraffollamento disumano che consta di oltre 61.000 presenze a fronte di una sanità carceraria da terzo mondo. Allo stesso tempo é inaccettabile che chi già è costretto a brutali forme di restrizione della libertà debba subire un ulteriore aggravamento della pena con l’impedimento delle visite che sono tra le poche cose che consentono di sopravvivere in carcere. C’è un’unica soluzione: amnistia subito e uscita immediata dei malati e degli anziani. Sosteniamo le giuste lotte dei detenuti, solidarietà militante!”.
> Le fotografie degli striscioni in città inviate a Zic: