Acabnews Bologna

Denunce a pioggia, ma sventola alta la bandiera della Palestina

Decine di avvisi di fine indagine per le/gli attiviste/i scese/i in piazza contro l’offensiva israeliana su Gaza: ma “la repressione non ci ferma, il silenzio è complice”, è la risposta delle realtà cittadine che ieri hanno parlato sotto al Nettuno e issato i colori palestinesi sul simbolo della città.

13 Giugno 2025 - 14:55

La bandiere palestinese sventola tra le braccia del Nettuno, a simboleggiare gli innumerevoli momenti di mobilitazione che hanno attraversato Bologna dall’inizio del feroce attacco di Israele su Gaza. La scena risale a ieri mattina quando proprio ai piedi della statua simbolo della città si è svolta una conferenza stampa a più voci indetta da diverse realtà cittadine per prendere posizione dopo gli avvisi di fine indagine recapitati nei giorni scorsi a 32 attiviste/i per la manifestazione che lo scorso 28 maggio si riversò in stazione occupando i binari. E altri 22 avvisi di fine indagine, intanto, sono piovuti per le contestazioni messe in campo in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico. “Di sicuro non ci fermano 32 denunce, di sicuro non ci ferma la repressione che sta venendo messa in campo contro chi schiera il proprio corpo contro il genocidio di Gaza e continuiamo insomma a scendere in piazza, a stare nelle strade, a stare nei Tribunali, a stare nelle Università, nelle scuole e nei quartieri e in ogni posto dove possiamo bloccare questo sistema genocida. Siamo stanchi delle parole vuote della politica, il silenzio è complice”, è la replica che arriva dai collettivi.

Per la giornata in cui furono occupati i binari, intanto, la magistratura contesta i reati di blocco ferroviario, istigazione a delinquere, manifestazione non autorizzata, interruzione di pubblico servizio. “Per noi quell’azione che abbiamo fatto è un motivo di orgoglio, è un’azione di cui andiamo orgogliosi e che rifaremmo. Tornando indietro, la rifaremmo”, assicurano le/gli attivisti: “La stazione di Bologna è stata occupata in risposta ai crimini dell’occupazione sionista nella striscia di Gaza e ci viene da dire pure che è stato fatto troppo poco, perché quell’occupazione della stazione l’avremmo dovuta fare e rifare e rifare e sarebbe stata una cosa da fare anche in altre città. Abbiamo dei bambini qui che in questi giorni hanno saputo di essere rimasti orfani, ci dobbiamo preoccupare di avere ritardato i treni di 15 minuti?”.

“Noi non sappiamo l’esito di questo processo, ma sappiamo come dovrà essere affrontato, rivendicando i diritti e la giustizia. Noi non sappiamo se i ragazzi verranno assolti o condannati. Ma quel giorno il Paese, di cui noi facciamo parte, dirà qualcosa di sé, non dirà solo qualcosa su queste persone. Emetterà una sentenza, pronuncerà delle parole su che tipo di Paese siamo, in quali valori crediamo. La storia e gli eventi non ci assolveranno se saremo rimasti senza agire. Il rischio di essere condannati in un processo per aver fatto la cosa giusta, credo che sia a questo punto l’effetto minore”, sono le parole che arrivano dal team di avvocate/i che si è formato per difendere le/gli indagate/i: “Dobbiamo ribaltare sul tavolo quello che è il tema del processo e portare le prove del fatto che a Gaza si tratta di un genocidio. Per dire che i ragazzi avevano ragione. C’è un momento nella storia in cui bisogna scriverla e bisogna mettere nero su bianco che cosa è successo e perché è successo. Perché questi sono i documenti che un domani, i nostri posteri, i nostri figli, i nostri nipoti, dovranno leggere e dovranno sapere che c’è stato un popolo che è stato oggetto di pulizia etnica e c’è stato un altro popolo, altre persone, un mondo che ha urlato contro questa cosa, perché non siamo e non saremo mai un popolo obbediente e silenzioso”.