Meno di una settimana dopo l’entrata in vigore del provvedimento, il Tribunale chiede all’organo giudiziario dell’Unione europea come gestire il conflitto tra le nuove norme italiane e il diritto comunitario, e se tenere conto che un luogo possa essere sicuro per un gruppo di persone e pericoloso per un altro.
Un cittadino del Bangladesh richiedente asilo in Italia ha fatto ricorso al Tribunale di Bologna contro un provvedimento di rifiuto della protezione internazionale e tanto è bastato perché il decreto legge del governo Meloni sui “paesi di origine sicuri” in vigore da meno di una settimana finisca in Lussemburgo, all’attenzione della Corte di Giustizia dell’Unione europea, l’organo giudiziario che giudica l’osservanza del diritto comunitario da parte degli stati membri.
Il decreto era stato varato in tutta fretta dal Consiglio dei ministri dopo che il Tribunale di Roma non aveva convalidato il trattenimento dei primi dodici migranti condotti da Lampedusa al Centro italiano di permanenza per il rimpatrio di Gjader, in Albania, facendo riferimento proprio a una precedente sentenza della Corte di giustizia Ue.
Alla Corte i giudici bolognesi chiedono due cose: in primo luogo se in base al principio del primato del diritto europeo, dal momento in cui le norme Ue nazionali sui paesi sicuri confliggono tra loro, il giudice debba sempre ritenere prevalente la normativa europea e, di conseguenza, disapplicare quella nazionale. In secondo luogo, se per il diritto comunitario il parametro in base al quale un paese viene definito sicuro sia la carenza di persecuzioni dirette in modo sistematico contro gli appartenenti a determinati gruppi sociali e di rischi reali di danno grave. In sintesi, se le decisioni del Tribunale debbano tenere conto del fatto che un paese può essere sicuro per alcune persona ma pericoloso per un’altra.