Quella di sabato è stata una manifestazione riuscita, bella, che ha portato in piazza chi ha compreso la pericolosità del Ddl Sicurezza e vuole battersi per bloccarlo. Una ventata di aria fresca anche per le lotte necessarie contro il modello “Bologna per ricchi” e sul carcere.
I numeri erano importanti per la manifestazione contro il Ddl Sicurezza che si è tenuta a Bologna sabato scorso… e i numeri ci sono stati.
Per l’occasione abbiamo coinvolto una delle veterane dei “conteggi per le presenze ai cortei”, una vecchia militante, severa e rigorosa, non avvezza a gonfiare la partecipazione dei manifestanti per contrastare il “braccino corto” con cui di solito la questura dà i numeri.
Ebbene, l’attempata compagna, cominciando a contare da piazza dei Martiri e facendosi sfilare davanti tutto il corteo, ha emesso il suo verdetto: seimilacinquecento e forse qualcosa di più.
E si era quasi all’inizio della lunga camminata che ha zigzagato per le vie del centro, in larga parte inagibili per i cantieri del tram. Sicuramente, lungo il dissestato percorso, il corteo è riuscito a reclutare un altro bel po’ di persone e, dalle parti di piazza Malpighi, non è esagerato dire che si era vicine/i alla diecimila presenze.
Del resto, se la Questura ha parlato di quattromila manifestanti e il Resto del Carlino ha titolato “La sfilata dei cinquemila” significa che l’“aria di protesta” (così l’ha definita sempre il quotidiano di via Mattei) ha prodotto degli ottimi risultati.
La partecipazione è stata “orizzontale” così come è “orizzontale” l’intenzione dell’editto meloniano di andare a colpire chi, per necessità, occupa una casa o blocca le merci o fa un picchetto per sostenere una vertenza sul posto di lavoro; chi lotta contro una grande opera che devasta ambientalmente un territorio o fa un sit-in di protesta e si siede sulla strada per la “giustizia climatica”; chi in un carcere o in un Cpr si ribella contro le condizioni disumane in cui è costretto a vivere e pure se la sua è “resistenza passiva” non importa: sarà punito. Insomma, l’orizzontalità del pacchetto repressivo “Meloni/Salvini/Nordio/Piantedosi” è una specie di tiki-taka che ha l’obiettivo di colpire tutte le forme di opposizione, ma anche solo di dissenso, al governo delle destre. Anche se l’aspetto opprimente, coattivo e coercitivo del Ddl 1660 assomiglia al modulo del “calcio totale” dove, al di là del ruolo (puoi essere operaio, migrante, ambientalista, studente, femminista, attivista Lgbtqia+), la squadra di governo mantiene intatta la propria disposizione repressiva.
Nel lungo serpentone si sono potute vedere le tante soggettività e le diverse realtà organizzate che nei vari articoli del provvedimento ritrovono un attacco concreto alla loro agibilità, sia politica che sociale. Nello spezzone di testa la “parte della leonessa” l’hanno svolta migliaia di ragazze e ragazzi (molto giovani), nello spicchio centrale della parata c’erano le attiviste e gli attivisti delle associazioni, nel tratto finale del corteo si è fatto vedere un robusto “ramo rosso e sindacale” con lavoratrici e lavoratori che hanno innalzato di un po’ l’età media della manifestazione.
Molti i cartelli (tanti quelli autoprodotti individualmente), poche le bandiere. Lasciamo alla vostra immaginazione scoprire chì è stato il personaggio più bersagliato.
Lo slogan più gridato “tout le mond dèteste la police”, adottato almeno come ritornello ritmato e ripetuto più volte. “Siamo tutte antifasciste… siamo tutti antifascisti”, subito dopo, al secondo posto.
“Se passano le misure del Ddl Sicurezza, tante e tante di noi in questa piazza non ci potrebbero stare, perché questa piazza XX Settembre oggi è una zona rossa”, hanno gridato col microfono dal camion alla partenza. Dopo poche centinaia di metri, all’incrocio tra via Gramsci e via Milazzo, davanti all’ex sede dell’Imps (oggi cantiere per realizzare uno studentato privato), tra i fumi dei fumogeni, è stato issato un grande striscione. Il succo del discorso che voleva evidenziare è del tipo: “Le multinazionali dell’housing occupano i palazzi pubblici della città e a chi occupa un alloggio perché senza casa gli danno sette anni”. In via Marconi, la fila degli striscioni appesi alle colonne dei portici, con i nomi delle fabbriche in crisi era lunga: ex Breda Menarini, Perla, Berco, ex Saeco, Marelli e tante altre. Poco prima di piazza Malpighi, all’altezza di via del Pratello, la strada è stata bloccata da due grate, a simboleggiare la situazione dell’Istituto Penale Minorile e per denunciare la scelta del Ministero della Giustizia di aprire nel carcere della Dozza una sezione speciale per “giovani adulti problematici”.
Insomma, una manifestazione organizzata (bene) dalla Rete regionale No Ddl Sicurezza – A pieno regime; un corteo in cui le voci e i contenuti hanno offuscato le identità. Qualcuno di sensibilità ambientalista l’ha paragonato a un “fiume in piena che ha esondato, ma non ha fatto danni, anzi…”.
Se vogliamo restare nell’ambito “green”: si è trattato di una bella ventata di aria fresca, che non può che far bene al clima politico e sociale di questa città.
Per qualcuno la formula “ribelli e democratici” (centri sociali, associazioni, sindacati, forze politiche di sinistra “governista”) può essere provata anche per altre situazioni e in diversi contesti. Per altre/i è giusto che la battaglia contro il Ddl Sicurezza si faccia con un arco di forze ampio così come si è determinato, ma per temi come la trasformazione di Bologna in “luogo per ricchi”, che esclude e sfrutta i soggetti sociali più deboli, è bene scegliersi bene i compagni di strada. Le questioni dell’abitare, della precarietà, del reddito delle lavoratrici e dei lavoratori dei settori legati alla “alterazione turistica” della città, degli spazi di aggregazione al di fuori del circuito commerciale, possono essere affrontate solo a partire da momenti alti di conflittualità sociale. In questi casi è difficile (impossibile) andare a braccetto con chi ha logiche istituzionali: si rivendica, si lotta e poi si tratta con le controparti per ottenere dei risultati.
Poi c’è una questione, quella del carcere, che tante realtà di movimento hanno quasi sempre trattato a livello di slogan. Sono anni che i governi che si sono succediti hanno affrontato le problematiche e le istanze sociale attraverso lo strumento privilegiato della “penalità”. Si è diffusa una sorta di “populismo penale” bipartisan che del tema della sicurezza ha fatto il proprio cavallo di battaglia, sfornando in continuazione pacchetti normativi e decreti che hanno prodotto aumenti delle pene e della carcerazione. Con il governo Meloni tutto questo si aggraverà ancora di più e la situazione delle carceri diventerà sempre più drammatica. Essere “abolizionisti” è sacrosanto, ma “liberarsi della necessità del carcere” significa mettere in campo azioni concrete e non delegare queste attività ad associazioni religiose e/o “miglioriste”.
Infine, c’è l’appuntamento del 25 aprile: quest’anno, più che mai, le antifasciste e gli antifascisti devono prendersi le strade e le piazze.