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“Caro Draghi, rispondiamo noi alla sua lettera, precarie e precari d’Italia….”

#vendettaprecari: “Purtroppo il vocabolario non ci dà altre parole: rabbia. Il debito non l’abbiamo contratto noi, non saremo noi a pagarlo”.

11 Ottobre 2011 - 20:36

Caro Mario Draghi,
rispondiamo noi alla sua lettera, precari e precarie d’Italia, sebbene questa fosse indirizzata al Primo Ministro. Perdoni la nostra superbia ma non riteniamo l’attuale Primo Ministro una persona in grado di risponderLe.

Le sembrerà audace da parte nostra, ma cogliamo l’occasione per sottolineare che non sarà solamente il Primo Ministro attuale incapace di farlo, ma qualsiasi Capo del nostro Governo non potrà fare altro che rapportarsi a quella lettera per quello che è: un elenco di ordini da mettere in pratica. Siamo onesti, non si tratta di suggerimenti, né di consigli, né di richieste. Un Primo Ministro non potrà fare altro che mettere in pratica quanto Lei scrive, nei tempi e nelle forme con cui la rabbia della gente glielo consentirà.

Le parliamo di rabbia ben sapendo quanto sia pericoloso utilizzare questo termine nel nostro Paese. Come crediamo che lei ben sappia, la rabbia per noi è un sentimento vietato. Secondo la classe politica che ci governa i sentimenti del popolo sono quelli della frustrazione, oppure della riconoscenza. Persino l’indignazione viene vista come qualcosa da ostracizzare, isolare. Ma ormai siamo un passo oltre tutto questo e purtroppo il vocabolario non ci dà altre parole: rabbia, è ciò che questa classe politica ha creato in questi anni.

Quale altro sentimento potremmo esprimere? Molti di noi sono stati definiti “fannulloni”, colpevoli, secondo chi ci accusava, di non lavorare abbastanza: parole dette da chi invece vive sulle nostre spalle.  Altri sono stati chiamati “bamboccioni”: accusati della colpa di non avere un reddito che ci permetta di mantenerci. Ci hanno detto “andate a lavorare”, quando la nostra vita è un susseguirsi di contratti più o meno finti, pagati una miseria, o addirittura spesso non pagati, con regole non scritte, ma ben evidenti fra le righe. “Dovrai fare molto più di questo”, è questo che è scritto con parole invisibili, in ogni nostro contratto. Avere un reddito, trovare una casa, poter determinare la nostre vita, avere dei figli: sono lussi che non ci potremo permettere. E questo per cosa?

Ma il discorso non si ferma a questo punto, come le abbiamo scritto non possiamo pensare solo a chi finge di governarci e in verità non lo fa. Non possiamo non vedere che le decisioni sono prese in ben altre sedi e le lo sa bene dal momento che sullo schienale della sua poltrona c’è scritto Banca Centrale Europea, mentre sulla sua scrivania domina la targa con la scritta “Banca d’Italia”. La gente che manifesta in Spagna l’ha espresso perfettamente la scorsa primavera, recitando il motto “Non siamo merce nelle mani di politici e banchieri”.

Ma ciò ha una dimensione ancora più ampia: in questo momento negli Stati Uniti 900 piazze sono occupate da chi non è d’accordo con questo il politico ed economico. E com’è cominciato il tutto? Dall’occupazione della piazza di Wall Street, dal centro di questo sistema. E insieme alle manifestazioni oltreoceano guardiamo all’altra sponda del mediterraneo alle proteste di Tunisi, del Cairo: una rivoluzione globale che ha come tema una rabbia condivisa, una decisione che si pone contro il debito economico. Quel debito non l’abbiamo contratto noi, non saremo noi a pagarlo. Non si scandalizzi e non gridi tuoni di condanna, cos’altro pretende da noi?

Ci avete maltrattato e defraudato dei nostri beni. Avete gioito delle nostre perdite, deriso i nostri profitti, picchiato chi ci era vicino, ostacolato i nostri affari, allontanato i nostri amici, saziato i nostri nemici e per quale motivo? Perché siamo precari.

Non ha occhi un precario? Non ha mani un precario? Organi, consistenza, sensi, affetti, passioni? Non si nutre dello stesso cibo? Non è ferito dalle stesse armi? Non soffre delle stesse malattie? Non è curato con gli stessi rimedi? Scaldato, infreddolito dallo stesso inverno e dalla stessa estate di un ricco? E se ci pungono, non versiamo sangue? Se ci fanno il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenano, non moriamo? E se ci fanno torto, non ci vendichiamo? Se siamo uguali a voi anche in tutto il resto perché non assomigliarvi anche in questo? Se un precario fa torto a un ricco, a che si riduce la sua carità? Alla vendetta. Se fa torto a un ricco, quale esempio elevato di sopportazione gli mostra un ricco colmo di solidarietà? Solo vendetta.

La spregiudicatezza che ci avete mostrato, noi la metteremo in pratica. E non sarà difficile che andremo anche oltre, ben oltre, a ciò che ci hanno insegnato.

A partire dal 12 e dal 15 ottobre, ogni volta che uno di noi alzerà la testa questa rabbia sarà la vostra controparte.

Vendetta precaria