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Carcere della Dozza, una cosa è certa: staranno tutte/i peggio

Il trasferimento dei settanta ragazzi “problematici” dagli Istituti minorili di tutta Italia ha sollevato tantissime proteste. Il Governo, però, va avanti a marce forzate, incurante di tutti problemi che aggraveranno la situazione della casa circondariale bolognese. Prendono parola le/i detenute/i: “Vessazione frutto di una politica miope e giustizialista”.

03 Marzo 2025 - 11:00

Tutta l’attenzione mediatica che si è vista in queste settimane attorno alla situazione del carcere della Dozza è sicuramente qualcosa di inusuale. Fino a poco tempo fa, quando sui giornali passava qualche notizia sul mondo che si vive dietro le sbarre in via del Gomito, questo avveniva attraverso il filtro dei comunicati dei vari sindacatini della polizia penitenziaria ed era una descrizione delle “violenze dei detenuti”, delle “condizioni di lavoro invivibile per gli agenti”, della “bravura degli stessi a far fronte ad episodi di autolesionismo” o ad “essere arrivati in ritardo a scongiurare un suicidio”. I numeri del sovraffollamento delle/i detenute/i finivano sempre in una sorta di equazione con le carenze di organico del personale di custodia. Ogni tanto le agenzie battevano i reseconti periodici dei Garanti delle/i detenute/i (comunale e regionale) e i giornali facevano un “copia e incolla” di quei lanci.

Nei pressi del carcere erano solo i collettivi anarchici ad organizzare presidi, tanto rumorosi perché all’interno della Dozza le/i detenute/i potessero sentire i loro slogan e i loro appelli.

Da parte di associazioni, spazi autogestiti e singolarità interessate alle problematiche carcerarie, più di una volta, c’erano stati tentativi di creare cordinamenti stabili, per denunciare la gravissima situazione delle galere italiane, per affrontare questioni come il sovraffollamento, la salute in carcere, le misure alternative, o per discutere ipotesi teoriche “abolizioniste” o percorsi e pratiche per “liberarsi della necessità del carcere”. Tanta buona volontà e tanto impegno concreto per costruire qualcosa di diverso, molti incontri interessanti (parlare di carcere in un clima politico/culturale “manettaro” e giustizialista è stato comunque importante), ma una difficoltà oggettiva a costruire qualcosa di continuativo che andasse ad incidere sulla tragica situazione delle prigioni della nostra città e del nostro Paese.

Dei politici “istituzionali”, quasi sempre nessuna traccia. Di tutti coloro (parlamentari, consigliere/i regionali, parlamentari europee/i) che, nel loro mandato, hanno l’autorizzazione ad entrare in carcere per effettuare “visite ispettive”, in quanti hanno usufruito di questo loro “diritto”? Negli ultimi dieci anni molto pochi, soprattutto quelle/i di “sinistra” non si sono certamente affaticate/i nel varcare i cancelli di via del Gomito. Quelli dell’altra parte, quando ci sono andate/i, lo hanno fatto per sentire le lagnanze del personale addetto alla custodia.

Se le situazione del carcere della Dozza è arrivata a uno stato di degradazione così preoccupante la responsabilità è di una classe politica che, a tutto tondo, ha sempre preferito lo slogan del “buttiamo via la chiave” piuttosto che affrontare i problemi della vivivibilità durante l’espiazione della pena di tante persone costrette a vivere in condizioni che di umano hanno ben poco.

Quanti sono stati i sindaci che si sono succeduti negli ultimi vent’anni a Palazzo d’Accursio che hanno fatto qualcosa per rendere effettivo slogan sdolcinati come “il carcere deve essere trasparente come una casa di vetro” o “il carcere della Dozza dev’essere il settimo quartiere della città”?

Non facciamo fatica a rispondere: nessuno!

E qual è il primo cittadino che, nei confronti della situazione igienico-sanitaria della casa circondariale di via del Gomito, ha utilizzato il potere di “massima autorità sanitaria cittadina” di cui è investito? Anche qui come sopra…

Poi è arrivata, come un fulmine a ciel sereno, la notizia dell’apertura dentro il carcere bolognese di una sezione speciale per “giovani adulti problematici”, col trasferimento dagli Istituti penali minorili di una settantina di ragazzi (ne abbiamo parlato qualche giorno fa in un altro articolo).

A quel punto le carte si sono scombinate in un “mischione” difficile da comprendere. I sindacati di polizia (da sempre “meloniani” e/o “salviniani”) si sono rivolti alle/i parlamentali del Pd affinché presentassero interpellanze contro il “pericoloso” progetto del ministero di Giustizia e dei vertici dell’Amministrazione penitenziaria; hanno chiesto a tutto il centro-sinistra, ai vari livelli (nazionale, regionale, comunale), di darsi da fare per bloccare quella che non era solo un’idea balzana.

A quel punto è stata una gara alla presa di posizione, anche i Garanti dei detenuti si sono finalmente svegliati e fatti sentire, i giornali, i tg e i siti di informazione hanno messo la Dozza, quotidianamente, tra le notizie ai primi posti.

I gruppi consiliari del centro-sinistra di Comune e Regione hanno indetto una manifestazione/presidio nei pressi del carcere contro la “provocazione” alla città di Bologna da parte del Governo nazionale. Hanno partecipato un po’ tutti, sindacati di polizia, consiglieri e consigliere, assessori e assessore, parlamentari, volontari e volontarie, avvocate/i e camere penali, qualche artista, giornaliste/i, cameramen e fotografe/i. In più di duecento si sono ritrovati in una fredda sera di febbraio (e la cosa non è certo qualcosa di negativo).

Molti di quelli che si battono per “liberarsi della necessità del carcere” non ci sono andati e, forse, hanno fatto bene… Era abbastanza complicato essere fianco a fianco con delle/i sindacaliste/i della polizia penitenziaria che, nello stesso giorno, avevano chiesto, in un loro comunicato, di avere in dotazione caschi e scudi per intervenire all’interno del carcere in situazioni problematiche, auspicando un rapido arrivo di quei “gruppi speciali” previsti in uno dei tanti decreti governativi.

La manifestazione dei “duecento” ha avuto qualche esito?

Può sembrare una barzelletta (ma rappresenta tutta l’arroganza di questo Governo): la data dell’avvio della sezione per “giovani adulti” che era prevista per metà aprile è stata anticipata al 15 marzo. Nei giorni immediatamente successivi al presidio è stato avviato velocemente il trasferimento di tutti i detenuti della sezione di “Alta sicurezza” al carcere di Fossombrone. Così potranno iniziare gli spostamenti dei detenuti del Penale nella sezione svuotata, con tutto quello che si produrrà a livello di limitazioni oggettive alle attività di studio, sportive e culturali per quei carcerati (che hanno pene lunghe e definitive).

In questo scenario assurdo una sola cosa è certa: tutte/i andranno a stare peggio in un contesto che era già un bel po’ problematico per le persone recluse.

Da tutto ciò, se vogliamo recuperare qualcosa di positivo, è importante sottolineare la presa di posizione chiara e determinata delle/i detenute/i che, sulla vicenda, hanno fatto uscire un comunicato: “Vogliamo esprimere il nostro dissenso verso questa vessazione che è il frutto di una politica miope e giustizialista, vedi decreto Caivano e il futuro ddl sicurezza, che influenzerà perniciosamente l’intero sistema penitenziario… Chiediamo quindi un’inversione di tendenza, ricordando che il fine della pena è la riabilitazione e tale decisione non risponde a nessuna logica rieducativa ma soltanto a quella securitaria che però in realtà, non produce nessuna sicurezza”.

Le parole delle/i detenute/i della Dozza sono state molto importanti: “Anche noi abbiamo voluto alzare la voce contro il prossimo trasferimento dei ragazzi dal Minorile ed esprimere una opinione, che peraltro non ci è mai stata richiesta, riguardo l’ennesima brutale decisione da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria… Si va profilando un’ennesima dimostrazione del totale disprezzo da parte dell’Amministrazione nei confronti della popolazione detenuta, considerata non come un gruppo di individui pensanti, con affetti e sentimenti, ma come dei pacchi postali. Pacchi postali i quali sono però in grado di ricordavi che il carcere della Dozza è soggetto ad uno strutturale sovraffollamento e a una generale privazione dei diritti, causa di suicidi e traumi psicologi, che portano il dato della recidiva ad un fallimentare 70%”.

La lettera/comunicato è maturata all’interno della redazione di “Ne vale la pena” (giornale periodico redatto all’interno della Dozza), le/i volontarie/i del Centro Poggeschi che l’hanno fatta uscire hanno ritenuto che “non ci sia voce che vada ascoltata più di quella di chi sta vivendo questa situazione sulla sua pelle”.

Questa presa di parola delle/i detenuti è un fatto importante, non se ne ricordano tante altre negli anni passati. Vedremo cosa produrrà…

Intanto, resteremo vigili e attenti/e su quello che avverrà nelle prossime settimane.