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Bartleby: “Far West? Lo viviamo ogni giorno”

“L’Università è terreno di scontro tra bande”. Bartleby risponde alla lettera del preside di Lettere Marmo, che aveva chiesto di lasciare l’occupazione dell’Aula Roveri per aprire un dialogo: “Non accettiamo ricatti”.

06 Febbraio 2013 - 15:41

Benvenuti nel far west, dove tutto è possibile!

Gentile Presidente,

dopo quasi due settimane di attività nell’aula Roveri, leggiamo questa sua lettera diffusa a mezzo stampa e la prima domanda che ci poniamo è questa: per quale motivo, dato l’incarico che Lei ricopre, anziché ricorrere alla stampa non é venuto ad incontrarci di persona? Compito di chi amministra un’istituzione tradizionalmente preposta al dialogo come l’Università, dovrebbe essere quello di favorire il confronto tra i vari soggetti che la animano. Un buon amministratore, ma soprattutto un docente che ha a cuore l’istituzione che rappresenta, sarebbe venuto a capire chi siamo, perché abbiamo aperto un’aula e cosa intendiamo fare in questo spazio. Se l’avesse fatto probabilmente non avremmo trovato certe dichiarazioni nella sua lettera.

L’occupazione della sala Roveri non è un evento senza storia, atemporale. Dopo quasi due anni di tentativi di dialogo con l’istituzione di cui lei fa parte, il Rettore della sua (nostra?) Università ha sgomberato e murato i locali di via San Petronio Vecchio. In quello stesso giorno mentre il Rettore Ivano Dionigi si rendeva irreperibile, il corteo di studenti che cercava di raggiungere Bartleby è stato aggredito dalle forze dell’ordine chiamate a “proteggere” quegli spazi sottratti agli studenti stessi. Tutto questo, e non solo, ci ha spinti ad aprire all’interno dell’università uno spazio per proseguire i tanti percorsi aperti in questi anni.

Lei parla di Bartleby come fosse un’osteria, dimostrando di non conoscere quali sono le attività e i nostri progetti. Parliamo ad esempio dei laboratori di autoformazione, che da anni ricevono crediti dai corsi di laurea della sua Scuola. Le prove e i concerti di Concordanze, quell’ensemble di musicisti del Comunale e del Conservatorio che già abbiamo portato a Bartleby come nelle aule del 38. Una biblioteca autogestita all’interno della quale sono custodite e in attesa di essere catalogate anche le riviste di Roberto Roversi – sul quale, è bene precisarlo, è stato male informato, poichè non si tratta affatto di materiale residuale o di poco valore. Centinaia di incontri con scrittori (da Gianni Celati a Erri De Luca), artisti, musicisti, attori. Dibattiti, seminari, assemblee pubbliche. Attività che abbiamo sempre ritenuto opportuno rendere fruibili a chiunque in forma gratuita, ricorrendo per questo a forme di autofinanziamento, molto lontane dal modello aziendalistico di cultura che spesso ci viene suggerito.

Sembra quasi che lei contrapponga a Bartleby un sistema universitario perfettamente efficiente, una comunità pacificata, in cui tutti sono chiamati a fare la propria parte.
C’è però qualcosa che non torna: cos’è, esattamente, questo modello di Scuola a cui dovremmo partecipare? Stiamo parlando di Università dove ci sono sempre meno iscritti, le tasse aumentano, la qualità dell’insegnamento diminuisce, l’offerta formativa è sempre più scarsa, diminuiscono i fondi destinati alla ricerca, diminuiscono le borse di studio e quindi le possibilità di accesso ai saperi anche da parte di chi non gode di rendite familiari. Questa, secondo lei, è un’Università da difendere? Noi crediamo di no, e Bartleby nasce nel solco di questa convinzione, il tentativo di immaginare e creare un’Università e una città diversa da quella che quotidianamente viviamo.

Non sappiamo dove fosse durante l’approvazione della Riforma Gelmini, noi di sicuro non dalla stessa parte dei Rettori (Calzolari prima, Dionigi poi), che quella riforma l’hanno caldeggiata e appoggiata così convintamente da non aspettarne nemmeno l’approvazione per dare via ai lavori di riforma (v. commissione riforma Statuto d’Ateneo), e oggi, non capiamo con quale coraggio Dionigi si lamenti dei pochi soldi stanziati al diritto allo studio, quando lui stesso è tra i responsabili della sua dismissione!

Lei scrive di non poter accettare il fatto che qualcuno consideri l’Università – e la Scuola che lei presiede in particolare – un “Far West”; ebbene, noi le diciamo che il Far West cui lei allude non è un’idea, una considerazione o una speranza, ma è già realtà, qui e ora, il Far West lo viviamo già ogni giorno, dentro e fuori dall’Università.
Oggi più che mai l’Università italiana, saccheggiata in nome del merito e della (presunta) eccellenza, è terreno di scontro tra bande e opposte fazioni che cercano di spartirsi le briciole del poco che ne è rimasto, scaricando di fatto costi e responsabilità sugli studenti e i subordinati, ricattandoli secondo la logica meritevoli/non meritevoli. Oggi l’Università produce meno laureati, dottori di ricerca e docenti di qualsiasi altro paese sviluppato. Nel mercato del lavoro attuale sembra più facile accedere a un impiego degnamente retribuito senza una laurea, mentre tanti di noi, iscritti alla Sua Scuola, sono costretti, tra escamotage saltuari e malpagati, ad arrabattarsi per mantenersi gli studi, obbligati a tirocini gratuiti dai nostri stessi corsi di laurea, considerati poco più di un utile indotto su cui lucrare con esosi affitti in nero. Viene da chiedersi, gentile Presidente, chi siano i veri evasori, e viene da chiedersi anche perchè i rappresentanti dell’Alma Mater, che Bologna porta in palmo di mano, perdano così tanto tempo, parole ed energie, a dipingerci come banditi da impiccare sulla pubblica piazza, causa e origine di tutti i mali che agitano Via Zamboni 38, piuttosto che progettare e concertare con il Comune una qualche politica per contrastare il caro degli affitti, piuttosto che progettare e concertare con Il Comune delle facilitazioni economiche per l’utilizzo dei trasporti pubblici espressamente dirette ai suoi studenti, e mettere a disposizione spazi di vita, socialità, studio, cultura e aggregazione se non gratuiti, almeno economicamente sostenibili.
Invece no, più comodo difendere lo status quo, criminalizzare e derubricare a questioni tecnico-burocratiche o di ordine pubblico esperienze come la nostra, che provano a costruire produzione culturale dal basso e a dare risposte collettive, partecipate, gratuite, a questo misero stato di cose.

Ed è proprio per questo che rifiutiamo l’imputazione che Lei ci rivolge, quando ci accusa di aver sottratto alla comunità una preziosa aula. Ci sembra piuttosto che sia l’istituzione che lei rappresenta ad aver sottratto alla collettività uno spazio di produzione culturale e organizzazione politica attraversato da migliaia di studenti, murandone le porte e sgomberando il campo da qualsiasi altro dialogo possibile.
Ci fa poi sorridere l’argomentazione strumentale (sempre di natura tecnica e mai politica) con la quale si vuole sostenere che senza l’aula Roveri non ci siano spazi in tutta l’università per svolgere importanti riunioni. La magnifica Università di Bologna a quanto pare abbonda di spazi, e poichè sentiamo che tra noi e Lei si è instaurata una certa confidenza le facciamo anche una rivelazione che speriamo Le sia gradita: da poco meno di due settimane c’è un bellissimo spazio in Zona Roveri, nuovo nuovo e ancora senza una chiara destinazione d’uso, per il quale il suoi superiori hanno ritenuto opportuno stanziare più di 50.000 euro annui per l’affitto, considerandolo idoneo alle attività studentesche. Siamo certi che, contrariamente a quanto abbiamo fatto noi,una persona colta e intelligente quale Lei è, saprà valorizzare quello spazio e riqualificare con le sue competenze una zona culturalmente tanto interessante e comodamente raggiungibile.

L’idea di cultura che l’amministrazione e l’università esprimono non ci appartiene: non intendiamo la produzione culturale come strumento di conciliazione, nè tantomento come mera industria dell’intrattenimento o possibilità di business, bensì come terreno nel quale incontrarsi, produrre innovazione e sperimentazione, invenzione di nuovi modi di rispondere collettivamente alla crisi.

Ancora una volta dall’università ci arrivano ultimatum spacciati per dialogo: “uscite e vi troveremo un’aula” ci dice, dialogo ben strano, che percepiamo più come un ricatto, dato che presuppone che una parte accetti il punto di vista dell’altra prima di poter discutere. Ci sembra più simile alla richiesta di una “resa incondizionata”, ma noi non abbiamo perso nessuna guerra, noi facciamo parte di quella generazione che non ha niente da perdere ma tutto da conquistare, qui e ora. Il tempo delle speranze, delle promesse e dei progetti sul futuro è finito. Ma mai, nella nostra breve storia, ci siamo sottratti al dialogo. Quello che abbiamo sempre rifiutato sono le imposizioni, gli aut aut, quello che rivendichiamo è sempre stato il diritto di scegliere delle nostre vite, quello di poter “preferire di no”.

Certo possiamo convenire su una cosa: l’aula Roveri non basta a contenere i nostri progetti, per questo continueremo a prenderci gli spazi adeguati alle nostre attività, dentro e fuori l’Università. Sempre che a chi amministra quest’ateneo non torni la memoria e venga in mente che una soluzione si era trovata, l’assegnazione dei locali in via San Petronio Vecchio, proprio ad opera di questo stesso rettore.
Riguardo la proposta che Lei avanza, circa la possibilità che Bartleby termini l’occupazione dell’Aula Roveri come condizione preliminare per un dialogo, ci sentiamo di risponderle in tutta serenità che non accettiamo ricatti di sorta. Le questioni che abbiamo fin qui espresso vanno ben oltre lo spazio fisico di un’aula in Via Zamboni, o le più disparate opinioni degli scribacchini dei quotidiani sul giusto e lo sbagliato, ma sono tensioni irrefrenabili che già vivono collettivamente nelle strade, nelle aule, nei luoghi di lavoro, nelle piazze (e non solo quelle di Bologna e d’Italia, ne converrà), ed è unicamente su queste istanze che siamo disponibili a un dialogo, è su questo terreno che siamo disponibili a incontrarla, a partire dallà volontà di tornare a discutere seriamente dell’individuazione di uno spazio adeguato per i nostri progetti.
“Altrimenti procederemo senza dialogo ma, sia ben chiaro, per Vostra responsabilità”.

Cordialmente,

Bartleby