Il Tpo commenta la fine delle indagini sul poliziotto che un anno fa, davanti alla Banca d’Italia, ruppe quattro denti a Martina: “Omertà densa e impossibile da ignorare”.
A un anno di distanza da quanto accaduto davanti alla Banca d’Italia, riusciamo finalmente a sapere il nome del poliziotto che, con una manganellata, ruppe quattro denti a Martina.
Le indagini sono durate un anno esatto, un tempo davvero lungo per chi ha dovuto sostenere svariate operazioni dentistiche per poter ritornare a condurre una vita normale e ha dovuto farlo senza un nome né un volto a cui sovrapporre quel dolore. E’ per questo che ci indigna sapere che è stata chiesta l’archiviazione per il pestaggio di Fabiano, avvenuto durante la manifestazione del 3 luglio in Val di Susa.
I tempi dilatati non sono quelli tipici di altre occasioni, perchè sappiamo sulla nostra pelle quanto possano essere rapide le identificazioni di compagni e compagne che manifestano dissenso; questa lentezza è invece frutto di una scelta politica precisa, di un’omertà densa e impossibile da ignorare che ha fatto chiudere gli occhi a chi, quel giorno, ha sicuramente visto il responsabile, a quanti si sono dimostrati restii a fornire le foto dei componenti delle squadre presenti in piazza, cercando di rallentare e ostacolare il corso delle indagini.
Ancora una volta, pensiamo sia importante chiarirlo, l’identificazione di un poliziotto colpevole di un gesto di violenza gratuita è possibile solo grazie alle immagini che noi abbiamo raccolto e depositato nei giorni successivi. Le telecamere della polizia, così solerti e precise nel riprendere i volti e le azioni di chi hanno davanti, scelgono di non vedere i volti dei colleghi che feriscono con brutalità una ragazza.
Le pesantissime cariche con cui sono stati inseguiti gli studenti delle scuole superiori, scesi in piazza il 5 ottobre, e le scene quotidiane di arbitraria violenza alla ribalta delle cronache ci testimoniano, insieme a questa vicenda, un serio problema di trasparenza e democrazia nelle forze dell’ordine: è vergognoso che non ci sia nessun numero identificativo che possa aiutare ad individuare, con certezza e in tempi rapidi, chi colpisce gratuitamente, sicuro di restare impunito, perché protetto dal casco e dalla divisa.
Un altro dettaglio inquietante è il tentativo di nascondere il poliziotto colpevole, spostandolo dal reparto celere all’ufficio di gabinetto del questore. Spostamento che non avviene alla notifica dell’avviso di fine indagini, ma prima, precisamente poco dopo l’accaduto. Questa dinamica, insieme al silenzio omertoso e assordante, ci disgusta perché rivela la consapevolezza e la volontà di proteggere, di mettere in ombra e al sicuro, un poliziotto che si conosceva già da tempo come responsabile delle ferite a Martina.
Non sappiamo quando si aprirà il processo, ma per noi sarà l’occasione per riaffermare la necessità di cambiare rotta all’interno della polizia italiana: l’omertà deve finire; la protezione ai colpevoli non può più essere accettata; la violenza che ricorre spesso a Bologna ai danni di giovani donne, durante i momenti di piazza, non può essere tollerata né difesa o, ancora peggio, passata sotto silenzio.
Oggi, nonostante tutte le difficoltà, si è rotto quel silenzio soffocante lungo un anno e, finalmente, possiamo tornare a tirare il fiato: abbiamo un nome, abbiamo un viso da avvicinare a quel giorno, a quel gesto brutale che ha cercato di spezzare un sorriso. Ancora più determinati nella nostra voglia di verità e giustizia, torniamo a dire che non ci toglierete mai il sorriso!
Cs Tpo