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Atlantide: “Da Bartleby a S.Marta liberata, verso l’intersezionalità delle lotte”

Atlantide, minacciata di sfratto dal cassero di porta Santo Stefano: “Il processo sociale costituente sperimentato con Santa Marta continua e andrà ben oltre la necessaria difesa di ogni singolo spazio”.

02 Febbraio 2013 - 16:44

Sulla pelle dell’occupazione dell’ex convento di Santa Marta, seguita allo sgombero di Bartleby e praticata alla luce del sole da un migliaio di persone in corteo, si sono giocate varie partite, mediatiche ed elettorali. Con lenti poco trasparenti si è cercato di innescare ad arte una polemica stantia, che tenta di stigmatizzare i movimenti sociali contemporanei con armamentari discorsivi risalenti ad altre ere geologiche: accuse di violenza, sopruso, arroganza, infantilismo.

Quello che noi abbiamo vis(su)to a Santa Marta Liberata è invece la partita di un gioco radicalmente diverso, quella dell’apertura di un nuovo orizzonte di possibilità.

In quel luogo, emblema delle macerie del “pubblico”, prodotte da una gestione “privatistica” della città, e del profitto estratto dall’assistenza e dalla cura, abbiamo sperimentato l’avvio di un processo costituente, di valorizzazione dell’incontro e della relazione tra soggettività differenti, attraverso una progettazione realmente condivisa e partecipata, nell’ottica dell’intersezionalità tra esperienze e lotte troppo spesso incomunicanti.

Abbiamo udito nelle assemblee una presa di parola trans che da molto non risuonava negli ambiti “misti” di movimento.

Abbiamo incrociato le condizioni di precari* e student*, che si mobilitano a partire dall’insostenibilità delle condizioni materiali di vita, sulla spinta del desiderio di sopra-vivere alla miseria quotidiana del nuovo darwinismo sociale.

Abbiamo visto una socialità allargata, intergenerazionale, simile a quella che con fatica e impegno abbiamo costruito in 13 anni all’Atlantide.

Abbiamo visto un momento costituente che ha coinvolto la maggioranza degli spazi sociali e delle realtà dei movimenti in questa città, spingendole ad andare oltre sé stesse, e che non può essere ridotto ad una sommatoria delle realtà esistenti: l’esperienza di Bartleby, collettivo studentesco, ha catalizzato altre soggettività sociali, dentro e oltre le macerie dell’università (contro)riformata e del welfare cittadino in dismissione.

Studenti, femministe, ricercatori, artiste, queer, disoccupati, precarie, lesbiche e trans, in questi giorni hanno lavorato insieme, intensamente, per costruire da protagoniste una “casa” comune e sperimentare orizzontalmente un’idea diversa di con-vivenza sociale, mettendo in gioco proposte che avessero direttamente a che fare con le proprie vite, sia sul piano materiale sia sul piano affettivo, ed esprimendo una visione alternativa dell’organizzazione sociale di questa città.

Da un lato sta la governance, il disciplinamento, il controllo di una cooperazione sociale piegata alle logiche della sussidiarietà e dell’impresa, dall’altro sta la potenzialità innovatrice di una libera cooperazione tra soggetti sociali autonomi e autodeterminati che prendono in mano i propri desideri, i propri bisogni per materializzare un’utopia.

La spinta trans femminista e queer sostiene e attraversa questo movimento, che eccede le lotte degli studenti untori, vissuti paradossalmente come “parassitari privilegiati” da una città-Dracula che da sempre succhia loro il sangue (e anche questa – lo sottolineiamo per gli illustri docenti firmatari di una lettera che prende l’ironia delle parole troppo alla lettera – è una metafora).

Il Santa Marta è stato sgomberato: c’era già un progetto per un asilo nido e una residenza anziani che purtroppo in questi 7 anni di chiusura non si era riusciti a realizzare, ma proprio qui ed ora diventa imminente e prioritario. Attendiamo con ansia la realizzazione di opere di cui c’è certamente bisogno, con il sospetto che quando saranno pronte, quel Bambino che oggi viene scagliato contro di noi sarà uno studente universitario (in lotta) e l’Anziano si sarà definitivamente accomodato nella residenza della Certosa.

Il processo sociale costituente sperimentato con Santa Marta continua e andrà ben oltre la necessaria difesa di ogni singolo spazio. Perché vive di temporalità discontinue e spazialità intermittenti. Perché riguarda le nostre vite e non la sopravvivenza consociativa e regolamentata imposta agli spazi sociali. Perché vite, saperi, corpi e desideri non si possono mettere a bando ed eccedono la formale applicazione di una (il)legalità che registra solo i rapporti di potere.

Probabilmente è proprio questo processo che si cerca di disinnescare. Evidentemente è proprio questo processo che fa paura.

Atlantide R-esiste!