Il neo presidente Mauricio Macri “avanza come un bulldozer. Non c’è settore che non sia sotto attacco del revanscismo neo-liberista della destra al governo”.
Il neo-presidente argentino Mauricio Macri non ha perso tempo. Dopo la sua risicata vittoria elettorale (51,4%), due mesi dopo il suo insediamento si può trarre un primo bilancio del governo del “Berlusconi gaucho”, figlio di un buon amico degli Agnelli e di Licio Gelli. Approfittando della “luna di miele” dei primi tempi, ma soprattutto della chiusura del parlamento in vacanza, Macri avanza come un bulldozer. Non c’è settore che non sia sotto attacco del revanscismo neo-liberista della destra al governo, che ha prodotto un drastico rovesciamento del quadro politico con l’appoggio del Partito Radicale (ex social-democratici) di Alfonsin Jr. L’obiettivo dichiarato è quello di smantellare strutturalmente il progetto-Paese dei governi Kirchner e sbarazzarsi delle conquiste politiche, economiche e sociali.
Macri agisce come un potere de facto, ai margini della legalità democratica, saltando il Parlamento dove è ancora in minoranza. Un dettaglio in via di soluzione, visto che, nei giorni scorsi, è riuscito a spaccare l’unità del peronismo e a far passare una ventina di parlamentari dalla sua parte.
In nome del “repubblicanesimo”, a colpi di “Decreti di Necessità ed Urgenza” (DNU), ha fatto piazza pulita di molte delle conquiste degli ultimi anni, iniziando dal nuovo Codice di Procedura Penale e dalla “Legge sui mezzi di comunicazione”, che metteva in discussione poteri forti, consolidati all’ombra della passata dittatura, a cominciare dal Gruppo Clarín, una potenza mediatica di tutto rispetto. Dopo aver ricompensato il complesso agro-industriale (con abbassamento delle tasse e svalutazione), il governo sta imponendo politiche neo-liberiste stile anni ’90 in tutti i settori. Lo può fare, grazie alla blindatura mediatica dei grandi mezzi di comunicazione con il sostegno del “Partito Giudiziario”. Aggiustamento strutturale, svalutazione ed indebitamento sono i tre pilastri su cui si tiene in equilibrio il governo, con misure anti-popolari che hanno già provocato le prime reazioni di piazza. Ma andiamo con ordine.
Le volpi a guardia del pollaio
Più che un governo, sembra un Consiglio di Amministrazione. Oltre a rappresentare l’influenza diretta delle corporations, gli ex (?) Amministratori Delegati delle società che occupano posti rilevanti del governo Macri, esprimono la centralità dell’etica manageriale con la quale il “macrismo” pretende rifondare l’Argentina. L’idea che lo Stato possa essere governato come un’impresa evidentemente è ancora dura a morire, nonostante la storia abbia dimostrato ampiamente il contrario.
La ciliegina sulla torta sta sul versante economico-finanziario, un settore che fa gola, dove il capitale internazionale piazza al comando del Ministero delle Finanze, uomini della banca J.P. Morgan e la Deutsche Bank. La lista è lunga e non esaustiva.
L’attuale Ministro delle Finanze, Prat-Gay, (ex- Responsabile del settore ricerca e strategia delle monete” di J.P. Morgan), nei giorni scorsi ha avvertito i lavoratori di scegliere tra mantenere il posto di lavoro o chiedere aumenti salariali per recuperare l’inflazione (da lui stesso prevista nell’ordine del 20-25% per il 2016).
Il Ministro è in buona compagnia di Santiago Bausili, appena nominato Sottosegretario alle Finanze. Compagno di merende di Prat-Gay, anche Bausili viene da J.P. Morgan e dal 2013 fino ad oggi è stato direttore della Deutsche Bank, occupandosi di ristrutturazione del debito estero di diversi Paesi (Cile, Uruguay, Paraguay e naturalmente Argentina).
E ancora, Luis Caputo, ex Deutsche Bank, è l’incaricato della Segreteria di Finanza. Ed il capo degli assessori economici è Valdimir Werning, fino a ieri responsabile della stessa banca per l’America Latina.
Per rinfrescare la memoria dei lettori, JP Morgan è la banca che ha collocato all’estero più titoli del debito estero argentino e che negli Stati Uniti è stata accusata di aver generato la crisi finanziaria del 2008 attraverso i famosi “mutui spazzatura”.
Non è finita. Mario Quintana, del fondo di investimento Pegasus (Farmacity, Freddo e Musimundo) si occuperà della “Segreteria di Coordinamento Amministrativo e Valutazione del Bilancio” del Gabinetto.
Un panorama che la dice lunga, visto che Macri vuole accelerare l’accordo con i “fondi avvoltoi” statunitensi, quei fondi usurai che cercano di lucrare sul debito estero argentino accumulato prima dalla dittatura e poi dai governi liberisti. Il bottino è dell’ordine di 9000 milioni di dollari, con gravi ripercussioni sull’economia nazionale. In sostanza, gli avvoltoi sono ben rappresentati da entrambe le parti del tavolo e il “negoziato” è in mano della JP Morgan e Deutsche Bank (Prat-Gay, Caputo, Bausili e Werning). Le dichiarazioni del ministro Prat-Gay chiariscono il perché di questa offensiva contro i lavoratori: pagare il debito odioso ed illegittimo contratto dalla dittatura e dai governi liberisti, a scapito delle necessità della popolazione.
E se non bastasse, l’ex-presidente della SHELL argentina, Juan José Aranguren, è il nuovo Ministro di Energia e Miniere; il Ministro dell’Agricoltura, Ricardo Buryaile, è un rappresentante dei grandi proprietari terrieri, ed un uomo della MONSANTO è responsabile del settore rurale della provincia di Buenos Aires; il Ministro del Lavoro, Miguel Puente, è stato amministratore del grande gruppo industriale TECHINT (che ha appena licenziato 200 lavoratori, approfittando del nuovo clima politico).
Sempre sul versante del lavoro, Marcelo Villegas, direttore del personale di Telecom, è oggi il Ministro del Lavoro della Provincia di Buenos Aires, la più importante del Paese.
La nuova Ministra degli Esteri è la scialba Susana Malcorra, ex IBM e Telecom Argentina.
E per finire, a capo di Aerolíneas Argentinas (che era stata ri-nazionalizzata dopo le privatizzazioni degli ’80), c’è Isela Costantini, che viene dalla General Motors.
Il Fondo Monetario al comando
Il solerte governo, a parlamento chiuso (e usurpandone le prerogative), ha iniziato da subito a promulgare una raffica di Decreti di Necessità e Urgenza (DNU).
Ed ha annunciato solennemente che, dopo una lunga assenza, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha ripreso il controllo sull’economia argentina e i primi risultati sono alla vista.
Oltre a ridurre o eliminare le imposte alle esportazioni agricole ed industriali, il governo ha abolito i controlli sul cambio, provocato una svalutazione del 30% e riaperto le porte alla speculazione, con seri contraccolpi su prezzi e salari. Da aggiungere all’eliminazione dei sussidi al consumo di energia elettrica (con aumenti dal 200% al 450%) e ad altri settori.
Il nuovo Direttore dell’ISTAT locale (INDEC), Jorge Todesca, ne ha disposto la chiusura visto che “i suoi dati non erano affidabili” e ha dichiarato l’“emergenza statistica”. Un vero e proprio black-out nelle informazioni fino a data da destinarsi.
Sul versante del lavoro, tra le prime misure del governo, c’è stata la revisione di più di 60 mila contratti, con il risultato di migliaia di licenziamenti di impiegati pubblici (accusati di essere dei “fannulloni”). Con l’eufemismo della modernizzazione dello Stato è iniziato un ciclo di licenziamenti di massa, sulla base di una “caccia alle streghe” ideologica contro chiunque non sia “in linea”. Con la scusa di eliminare “il grasso dei militanti”, il governo Macri punta a far dimagrire lo Stato nel suo insieme e a trasformarlo nuovamente (come negli anni ’90) in una struttura di carattere repressivo, con carcere e criminalizzazione della protesta sociale.
L’ondata di licenziamenti inizia a colpire anche il settore privato (migliaia in poche settimane) e anticipa uno scenario di significativo conflitto sociale. Il governo cerca di limitare gli aumenti salariali in un quadro di forte incremento del costo della vita (un 12% da novembre a gennaio, senza calcolare i recenti aumenti delle tariffe dei servizi pubblici).
E per il prossimo 24 febbraio il sindacato dei lavoratori pubblici (ATE) ha indetto un primo sciopero generale.
Con il pretesto della lotta alla criminalità, Macri ha decretato la “emergenza nella sicurezza pubblica” in tutto il Paese. Un quadro securitario di cui ha bisogno, vista la marcia indietro nelle libertà pubbliche ed individuali. I primi effetti sono stati la violenta repressione di piazza (recentemente dei lavoratori di Cresta Roja e La Plata), e l’arresto di Milagro Sala, dirigente sociale e deputata del Parlamento del Mercosur con l’accusa di “tumulto” ed “istigazione a delinquere”, insieme ad altri dirigenti sindacali del settore pubblico.
Fatti che riportano indietro le lancette della storia al periodo più buio della storia argentina. E mentre si criminalizza la protesta sociale, si nomina a capo della Banca Centrale un banchiere sotto inchiesta giudiziaria.
La politica estera carnale
Sul versante della politica estera, l’Argentina riprende le “relazioni carnali” (Menem) con i centri finanziari internazionali e si allontana dall’idea di integrazione latino-americana.
Dopo 12 anni di assenza della presidenza, Macri ha partecipato al Foro Economico Mondiale di Davos (Svizzera), il mega-incontro annuale dei ricchi del pianeta, dei salotti che contano, dove si è riunito con il vicepresidente statunitense Joe Biden e con i capi dei governi di Messico, Gran Bretagna, Israele, Francia, Canadá e Irlanda.
Parallelamente ha annunciato la decisione di accelerare la firma del Trattato di Libero Commercio (TLC) tra il Mercosur e la Unione Europea e ha promesso rapporti commerciali più stretti con la Alleanza del Pacifico (México, Colombia, Perù e Cile) che si contrappone apertamente agli sforzi integrazionisti continentali (ALBA, Celac, Unasur).
Macri e la sua Ministra degli Esteri tuonano contro il “populismo” dei governi progressisti e non perdono occasione per attaccare il Venezuela, accusata di violazione ai diritti umani.
Diritti umani al capolinea?
Chi pensava che nei primi mesi, almeno sui Diritti Umani, il nuovo governo si sarebbe mosso con prudenza, è destinato a ricredersi.
Innanzitutto Macri ha dichiarato che con la sua presidenza si sarebbe posto fine al “lucrativo business dei diritti umani”. In perfetta coerenza, ha scelto di non incontrare gli organismi di difesa dei diritti umani, e ricevere al loro posto Héctor Magnetto, Amministratore Delegato del Gruppo Clarín.
In linea con la politica “revisionista”, il Ministro della Cultura di Buenos Aires (il macrista Darío Lopérfido, nomen omen) ha detto che la cifra di 30 mila desaparecidos “è una bugia costruita a tavolino per avere sussidi”.
La nomina a Responsabile della Segreteria dei Diritti umani di Claudio Avruj, ex- membro della Direzione delle Associazioni Israelite Argentine, (struttura legata all’estrema destra israeliana), sta producendo gravi conseguenze, denunciate dagli organismi di difesa dei diritti umani e dai settori più progressisti della comunità ebraica argentina. Lo scorso 14 gennaio, in uno dei luoghi più simbolici del terrorismo di Stato, l’ex-centro di detenzione, tortura e sterminio della Scuola Meccanica della Marina (ESMA), Avruj si è riunito con membri del Centro di Studi Legali sul Terrorismo e le sue Vittime (Celtyv). Il Celtyv rivendica gli atti dei militari e delle forze dell’ordine durante il terrorismo di Stato e difende la “teoria dei due demoni”. Chiede processi contro i militanti popolari e delle organizzazioni armate sopravvissuti che chiama “terroristi sovversivi”.
Più in generale, il nuovo governo è impegnato a smantellare diversi organismi vincolati alle politiche di Memoria, Verità e Giustizia. Fino ad oggi sono state licenziate centinaia di persone del Programma Verità e Giustizia, del Centro di Assistenza alle Vittime delle violazioni dei Diritti Umani “Dr. Fernando Ulloa”, della Segreteria Diritti Umani della Nazione, della Direzione Diritti Umani del Ministero dell’Interno, diversi ex-centri clandestini di detenzione, tra cui la ex-ESMA, etc.
Ha inoltre rimosso unilateralmente il Presidente dell’Archivio Nazionale della Memoria, Horacio Pietragalla Corti, figlio di “desaparecidos” dato in adozione dai torturatori a un militare repressore. Pietragalla è stato ritrovato e restituito alla famiglia biologica dalle “Abuelas de Plaza de Mayo” ed era stato designato dal governo precedente con il consenso dei diversi organismi di diritti umani.
Nell’Archivio è raccolta la documentazione sulla vita dei militanti popolari, sulle vittime del genocidio e sulla battaglia contro il terrorismo di Stato. Una fonte di informazione rilevante per tutti i processi per crimini di lesa umanità, i cui locali si trovano proprio in uno degli edifici dell’ex-ESMA. Ma lo scorso 20 gennaio, Macri ha emesso un decreto diktat di rimozione di Pietragalla, dato che “…la designazione risponde unicamente a una decisione del Potere Esecutivo Nazionale, risultandone quindi una carica politica che deve adeguarsi ai suoi lineamenti”.
Dulcis in fundo, il neo-ministro argentino della Sanità, Jorge Lemus, ha deciso di cambiare il nome dell’ospedale “Laura Bonaparte”, ribattezzato così in omaggio a una psicologa tra le fondatrici delle Madres de Plaza de Mayo, scomparsa nel luglio del 2013. Se durante la dittatura civico–militare (1976-1983) funzionava come centro di sterminio degli oppositori politici, oggi l’ospedale è specializzato in salute mentale e dipendenze. Laura Bonaparte è un simbolo della lotta alla dittatura che le ha assassinato 3 figli ed il marito. Allo sterminio sono sopravvissuti solo lei ed il quarto figlio Luis.
Il bavaglio ai mass-media
Anche sulla comunicazione l’attacco è violento, in particolare al “Sistema Nazionale dei Mezzi di comunicazione Pubblici”.
Seppur oggetto di un braccio di ferro giudiziario in corso, si attacca a colpi di decreto la “Legge sui Media”, (tra le più avanzate in materia), frutto di un lungo processo di discussione e di consenso. Una legge anti-monopolista, che impedisce la concentrazione della proprietà dei mezzi di comunicazione, contro cui si è scatenata l’artiglieria mediatica dei poteri forti della comunicazione, che oggi tornano a recuperare i privilegi perduti. Si svuotano le strutture create dalla legge, licenziando la Direzione della “Autorità Federale dei Servizi di Comunicazione Audiovisiva” (Afsca) e della “Autorità Federale di Tecnologia dell’Informazione e la Comunicazione” (Aftic).
Il nuovo quadro di regole del governo favorisce i latifondisti dei mass-media privati, a partire dal Gruppo Clarín. Quest’ultimo non solo è stato ricompensato con l’eliminazione di qualsiasi restrizione anti-monopolista, ma ha piazzato un suo uomo nell’agenzia pubblica di comunicazione Télam, oltre ad ottenere il licenziamento di un suo acerrimo oppositore, il popolare giornalista Víctor Hugo Morales.
Insieme a quest’ultimo, centinaia di lavoratori del settore dell’informazione sono disoccupati dopo che il governo ha chiuso alcuni mezzi di comunicazione pubblica come SenadoTV, e licenziato a man bassa (400 solo a Radio Nacional).
Anche nel settore della cultura, si licenziano lavoratori del Ministero della Cultura e si chiude il Centro Culturale Kirchner, mettendo per strada almeno 600 persone.
Uno statista moderno
E a proposito della sua capacità di statista “moderno”, Macri ha chiarito a Davos la posizione argentina sul difficile processo di pace in Colombia, basata sul football “ed altri motivi”. “Vogliamo aiutare in ciò che possiamo il processo di pace in Colombia. Ci sembra un cammino da fare insieme. Appoggiamo il popolo colombiano, a cui mi unisce un enorme affetto. La squadra vincente del Boca Juniors si basava su (Jorge) Bermúdez, (Mauricio) Serna e (Oscar) Córdoba, è un bel ricordo quello che ho della Colombia. E per molti altri motivi”, ha detto Macri.
E ad una giornalista messicana che gli chiedeva cosa fosse emerso dalla riunione con il Presidente messicano, Macri ha risposto che “la cosa che più preoccupava il Presidente Peña Nieto era dove imparare i passi di ballo che io ho mostrato. Lo hanno impressionato molto”.
Ci sarebbe da ridere, se il rampollo della famiglia Macri non fosse il Presidente.