Le “purghe” del terzo millennio

La messa di Don Gallo per Fra Benito, cacciato dall’Eremo di Ronzano

La Festa dei popoli che si terrà, dal 18 al 20 settembre, all'Eremo di Ronzano (in via Gaibola 18), sarà dedicata al tema dei diritti ("Il sogno dei diritti, il diritto dei sogni") e sarà l’ultimo evento organizzato da Benito Fusco. Il frate, che con le iniziative proposte dal “suo” convento è diventato un punto di riferimento per tante persone (credenti e non) in città, è stato “rimosso d’autorità” dalle gerarchie eclesiatiche e trasferito dalle colline bolognesi a una parrocchia in pianura, a Budrio, “tra patate e ocarine”, come spiritosamente ha commentato “Fra ben”.

18 settembre 2009 - Valerio Monteventi

Frate Benito Fusco “Se fosse stato per me l’avrei spedito molto più lontano…”, dietro i puntini di sospensione del commento di Monsignor Ernesto Vecchi (vescovo ausiliario della Curia bolognese) si potrebbe tranquillamente mettere “… in Siberia”. Questo è il tono dell’alto prelato che si poteva leggere sulle pagine del Corriere della Sera a commento del trasferimento di Fra Benito Fusco dall’Eremo di Ronzano a una parrocchia di Budrio: “Chi conosce padre Fusco sa com’è fatto… I suoi giudizi sono spesso contrari al magistero del Papa e del Vescovo”– sono sempre parole di Monsignor Vecchi – “Come persona che ha fatto i voti di carità, povertà e obbedienza deve interrogarsi sulle ragioni vere del suo trasferimento e accordarsi ai precetti di vita della chiesa…”
Quindi, il 22 settembre, dopo l’ultimo impegno di questo fine settimana nell’organizzazione della Festa dei Popoli, padre Benito Fusco sarà costretto a salutare l'eremo di Ronzano che, insieme alle missioni in Brasile e in India, è stato il luogo dove “Fra Ben” ha portato avanti la sua attività ecclesiale.
"Sconto il fatto di essere stato l'unico sacerdote bolognese ad aver firmato l'appello per la libertà sul fine-vita durante il caso Eluana Englaro". Probabilmente, nella decisione del Priore della Congreziane dei Servi di Maria (l’Ordine religioso a cui Fusco appartiene), hanno avuto peso le pressioni della Curia bolognese che non aveva mai gradito le dichiarazioni sui giornali di Padre Benito che criticavano lMonsignor Ernesto Vecchi e le sue posizioni sulla preghiera islamica in piazza Maggiore, durante una manifestazione a favore del Popolo Palestinese. Altre cose che di Fusco non sono mai state digerite dai piani alti della Curia in via Altabella sono la sua vicinanza ai gay cattolici, all'area "del dissenso" della Chiesa, alla teologia della Liberazione, e il suoi reiterati inviti a “preti e teologi scomodi per il mondo ecclesiale” alle omelie delle sue messe domenicali.
"La decisione sul mio trasferimento- ha spiegato Padre Benito ai giornali - è perché sono stato giudicato non idoneo a coordinare il nuovo programma dell'eremo di Ronzano".
Prima di trasferirsi a Budrio, Fratello Benito sarà protagonista dell’edizione 2009 della la Festa dei popoli che si terrà all'Eremo di Ronzano dal 18 al 20 settembre. Quest’anno il titolo della rassegna è “Il sogno dei diritti, il diritto dei sogni”. La manifestazione inizia col teologo spagnolo José Castillo, definito da padre Fusco "un ospite scomodo” che parlerà di "Diritti umani nella Chiesa". Sabato 19, alle ore 16, l'ex presidente dell'Anm Elena Paciotti sarà la relatrice nella discussione "Diritti proclamati, diritti negati". La giornata di domenica 20 ospita invece la tavola rotonda "Dare voce ai senza diritti", con don Andrea Gallo, la presidente di Amnesty International Italia Christine Weise e il magistrato Francesco Rossetti. Chiuderà la festa il dibattito sul fine-vita, dal titolo "Il diritto di scegliere", coordinato da Benito Fusco insieme a Bruno Giorgini.
(Informazioni sullla Festa dei popoli al sito web www.eremodironzano.it


UN ARTICOLO SU BENITO FUSCO PUBBLICATO NEL 1998 SUL QUINDICINALE ZERO IN CONDOTTA

Dal movimento del ‘77 al convento dei Servi di Maria
La storia di frate Benito


“Caro fratello sono lieto di incontrarti alla mia ordinazione diaconale che avverrà nella Cattedrale di San Pietro a Bologna sabato 10 ottobre 1998 alle ore 17. Al termine della celebrazione la Comunità di Ronzano ci offrirà una mensa fraterna e l’occasione per una festa di amicizia e di fede”. Quando la settimana scorsa ho rivenuto questo invito (intestato Ordine dei Servi di Maria), firmato fr. Benito Maria Fusco, eravamo in pieno dramma nella grande “famiglia della sinistra”. La rottura di Rifondazione col governo Prodi, la scissione “non obbediente” dei cossuttiani per appoggiarlo, Prodi che sbaglia a contare e inciampa ineseosrabilmente. “Venduti, avete fatto il gioco della destra”, “Il gioco della destra lo si fa facendo una politica di destra”, “Bertinotti=Berlusconi”, “Romano sei comunque grande”. E in mezzo metteteci lucchetti, slogan contrapposti, il cossuttiano Rizzo che grida “vergogna” ai suoi ex compagni di partito con una rabbia che forse non rivolgerebbe neanche ai nazisti, ci sono tutti gli elementi per uno psicodramma collettivo che ormai dura da più di mezzo secolo.
C’è però chi a questo psicodramma si sottrasse fin dal 1991, intraprendendo con grande serenità un percorso che lo portava molto lantano dalle strade battute in precedenza senza però mai rinnegare il suo passato: Benito Fusco

Ebbi la fortuna di intervistarlo nell’ottobre del 1991 per Mongolfiera, credo sia utile ripubblicare un pezzo di quell’intervista per capire le ragioni di quella scelta che lo ha portato a diventare fratello Ben.
Benito, è vero, come si dice in giro, che ti sei fatto frate?
«Sto vivendo in comunità, presso il Convento dei Servi di Maria di Rozzano: è come se fossi in prova… Mi aspetta un anno di vita di comunità (fino al ‘92), poi un periodo fra i poveri in Brasile. Inizierò, successivamente, un anno di noviziato, di preparazione spirituale e liturgica. Si entrerà poi nella terza fase, quella degli studi teologici per la “professione sacerdotale”. Solo a questo punto sarò Padre Benito e potrò così affronatre l’attività missionaria nei paesi del Terzo Mondo».
Ma la “molla” quando è scattata?
«La vocazione non è una chiamata telefonica che viene dall’alto ma un processo di riflessione, anche lungo. Questo periodo di riflessione interiore per me è iniziato il 6 dicembre 1990, quando un aereo militare si abbattè sul Salvemini provocando una strage di ragazzi. Io quel giorno ero assessore di turno al Comune di Casalecchio e, in quella veste, partecipai al riconoscimento delle vittime. Quella disgrazia mi ha portato a riconoscere molte cose. Poi è venuta la Guerra del Golfo… Questo disprezzo della vita umana ha “accelerato” la mia scelta. Alla fine di febbraio ho chiesto di entrare in comunità. La scelta di vocazione è una scelta che ho maturato successivamente insieme ai frati, che mi riporta a considerare l’esegesi del Vangelo. Per me il Vangelo ha sempre rappresentato un momento di riflessione, oggi intendo sperimentarlo».
Come concilii il tuo spirito ribelle e disobbediente con il voto di obbedienza?
«Fa parte della scelta. La più bella trasgressione è ciò che in concreto dice il Vangelo. La parola di Gesù è trasgressione rispetto all’omologazione di questo regime e delle sue leggi. E’ una trasgressione per la società, ma non per Dio».
E i tuoi amici, i tuoi ex compagni come l’hanno presa?
«Nella mia militanza politica sono sempre stato in mezzo ai “lontani”, ai deboli, agli emarginati. Il mio messaggio da cattolico è sempre stato “discreto” per non urtare la sensibilità di chi non crede. Sono sempre più stato attento alla concretezza che non al trascendentale. Ho visto molti compagni con tanti comportamenti cristiani, comportamenti che non ho visto in tanto credenti politicizzati».
Allora, possiamo dare a quest’intervista un titolo sul genere: “meglio frate che socialista”?
«No, no… lascia stare… è meglio…».


La vita di Benito Fusco è nel segno della “completezza”. Cresciuto nella Associazione Scout Cattolici Italiani, negli anni del ginnasio, presso l’Istituto San Luigi, riceve una “robusta” formazione cattolica sotto la direzione dei religiosi dei Servi di Maria. Nel ‘68 è ad Ancona, dove frequenta il liceo ed entra in contatto con il movimento studentesco. Nel ‘72 torna a Bologna e, all’Università, si avvicina a Lotta Continua, dove rimarrà fino al 1976 (anno di scioglimento del gruppo al Congresso di Rimini). La militanza comune in LC lo fa diventare amico di Francesco Lorusso. Nel ‘77 partecipa al “Movimento”; la morte di Francesco lo colpisce moltissimo a livello personale; la scoperta della verità su quell’assassinio diventa uno dei suoi impegni prioritari. E’, infatti, uno dei promotori e degli animatori più attivi dell’Associazione Pierfrancesco Lorusso. Nel ‘78, come altri ex militanti di Lotta Continua, entra nel Psi (partito che, in piena epoca “emergenziale”, sosteneva posizioni garantiste). Nel 1980 viene eletto consigliere comunale a Casalecchio di Reno. Entra in Giunta come assessore all’Ambiente e, immediatamente, caratterizza il suo mandato con iniziative di chiara ispirazione ambientalista (chiusura del tiro al piccione, opposizione alla lotizzazione del Parco Talon). Nel 1985 viene rieletto (è il primo degli eletti per numero di voti) al Comune di Casalecchio, ma la fama che ormai si è fatto di “socialista anomalo” lo vede progressivamente emarginato in un partito che ha messo da tempo il garantismo sotto la cenere.
Fusco, intanto, si impegna in strutture di recupero per tossicodipendenti ed ex detenuti. Si oppone fermamente alla legge liberticita Jervolino-Vassalli, ricevendo richiami e censure dal suo partito. Prosegue però la sua militanza ambientalista e viene eletto vicepresidente dell’ENPA (Enta Nazionale Protezione Animali). E’ ancora consigliere comunale a Casalecchio nel 1990 e, nella nuova maggioranza Pci-Psi, diventa assessore alla Sanità e ai Servizi Sociali. Ma ormai Benito sta nel partito socialista come un detenuto sta in galera. La goccia che fa traboccare il vaso è la posizione assunta da Craxi sulla guerra del Golfo. Nel gennaio ‘91, esce dal Psi e forma il gruppo consiliare Nuova Solidarietà, legandosi idealmente a Mario Tommasini che qualche mese prima, uscendo dal Pci, aveva formato in Regione un gruppo consiliare dal medesimo nome. Nel marzo dello stesso anno si avvicina alla Rete, quasi contemporaneamente si ritira in comunità.
Si arriva così al 10 ottobre 1998, quando nella cattedrale metropolitana di San Pietro il cardinale Biffi gli chiede: «Prometti al Vescovo diocesano e al tuo legittimo superiore filiale rispetto e obbedienza?».
Benito lo promette, e il Vescovo: «Dio, che ha iniziato in te la sua opera, la porti a compimento».

E mentre nella grande chiesa si alzano le litanie dei santi, fuori, in via Indipendenza, sfila un corteo di immigrati senza casa.
Amen!

Valerio Monteventi



ARTICOLO SCRITTO DA PADRE BENITO FUSCO SU ZERO IN CONDOTTA NEL 2002 IN RICORDO DI PIERFRANCESCO LORUSSO PER I VENTICINQUE ANNI DEL MARZO 1977

11 marzo: tra memoria e profezia
"I morti dipendono dalla nostra fedeltà…" perché il passato ha sempre bisogno di noi: forse c'è un desiderio nascosto nella nostalgia anche se questa parola, quotidianamente sciupata, nella profondità etimologica vuole, invece, esprimere la memoria del dolore, il ricordo forte di un'assenza che fa sempre male. Così l'11 marzo ha bisogno della nostra fedeltà o, forse, noi abbiamo bisogno di quel tempo, di quel desiderio nascosto, perché, ripetendo Umberto Saba,... "i morti amici e le morte stagioni rivivono in te"? Per Francesco, e per il significato che il tempo sa maturare, le "morti amiche" appaiono dure pietre di paragone dell'esistenza, del pensiero, della memoria: quegli avvenimenti, questi momenti... Allora si può dire che vent'anni sono un nulla, perché la distanza da quel tempo non si misura col numero degli anni. Si misura col dispendio di libertà a cui ci ha costretti e ci costringe. Non credo proprio che un modo di vincere il tempo nella sua durata e qualità sia quello di assecondarlo, anche se il tempo dà ai frammenti di vita l'opportunità di dispiegare il proprio valore. Ma ciò che risalta nell'indugio del tempo è quella memoria piena di significato che non ricostruisce ciò che non c'è più, ma lo restituisce al futuro come progetto, come profezia, come utopia: cioè come non-luogo della quotidianità. Allora anche la memoria diventa un gesto responsabile carico di futuro, di profezia, di libertà che resiste, che non si arrende, ma soprattutto progetta e sollecita la nostra fame quotidiana. La morte "attesa" di Francesco non è stata forse paura di libertà o difficoltà di futuro di una città e una società che viveva e vive nella parzialità del presente e nella fragilità di un pensiero vuoto e debole che imprigiona anziché liberare, che lega anziché sciogliere, che imbriglia le sfide e gli orizzonti nella monotonia anziché ascoltare la polifonia delle speranze?
Ecco allora che venticinque anni sono un nulla perché vivere è l'infinita pazienza di ricominciare: nella memoria di una giustizia negata a Francesco, Virginia, Agostino Lorusso e alla ribellione dell'angoscia innocente; nella memoria di una giustizia bugiarda che ha "atteso Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani, Ovidio Bompressi, sui viali ipocriti della mistica giurisdizionale; nella memoria di una giustizia vile che lascia nel rogo dell'irresponsabilità i ragazzi del Salvemini e asciuga le lacrime del male. Si può ricominciare e continuare ad offrire profezia e progettualità, denuncia e creatività per deridere con sapienza un presente miope che ha il respiro corto e che per l'ennesima paura della differenza delle differenze preferisce clonare se stesso, perpetuarsi immobile senza amore e senza amare. Si può far capire dopo venticinque anni a chi ha vent'anni che le nostre polifonie esistenziali continuano a costruire speranza, a indicare progetti carichi di futuro, ad aprire sentieri alle profezie del cuore; ciascuno a suo modo e ciascuno nei luoghi della presenza che gli è propria e cara: dagli spazi liberi delle piazze alle parole di un pensiero liberante, dai circoli profani dell'amicizia ai rettangoli sacri degli altari dalla durezza delle solitudini alla tenerezza delle compagnie, perché il sangue della memoria è sempre sangue teologico che ricorda all'uomo che dove c'è il suo prossimo c'è anche un Cristo che gli consegna come dono il desiderio di aurore sempre cariche di progetti d'amore e di libertà. E nei luoghi d'incontro sotto le infinite croci di una umanità che lotta, soffre e muore, "oltre le foreste delle fedi", per tutti sarà sempre tempo dell'amore per la verità.

frate Benito M. Fusco