Sgomberi e movimenti

C'è qualcosa che non torna

Il sindaco più odiato di tutti i tempi, circondato da assessorucoli che eseguono per paura le sue sentenze, sta realizzando il suo disegno: distruggere in questa città ogni frammento di vita intelligente, spegnere ogni speranza di civiltà, consegnare una città morta a chi verrà dopo di lui. Quando qualcuno è colpito e si ribella, tutti gli altri stanno a guardare, tacciono, e sperano che la prossima non sia per loro. Ciascuno per sé, per mantenersi indipendenti dall’abbraccio strumentale della politica. Tutti senza politica allora, tutti soli.


4 dicembre 2008 - Franco Berardi Bifo

Bifo Franco Berardi Ultima notizia cittadina: la polizia ha cacciato i ragazzi del Crash dall’edificio inutilizzato e cadente nel quale avevano trovato rifugio. Una ragazza ferita durante l’irruzione.
Continua la mattanza cofferatiana. Le vittime non si contano più.
Chi ha perduto la casa, chi il lavoro, chi è stato cacciato di casa, chi è stato cacciato dalla povera baracca in cui viveva, chi è stato pubblicamente umiliato, chi insultato.
Tutti coloro che non hanno soldi e potere sono nel mirino.
Il sindaco più odiato di tutti i tempi, circondato da assessorucoli che eseguono per paura le sue sentenze, sta realizzando il suo disegno: distruggere in questa città ogni frammento di vita intelligente, spegnere ogni speranza di civiltà, consegnare una città morta a chi verrà dopo di lui.
Però c’è qualcosa che non mi torna.
Ripercorriamo gli eventi di questi cupi anni bolognesi: uno dopo l’altro sono stati colpiti immigrati, lavavetri, studenti che si radunano davanti a un bar, cittadini che si siedono per terra insegnanti comunali. E poi ancora studenti cacciati dalle case in cui vivevano, osti obbligati a chiudere i loro esercizi, dipendenti dell’Azienda di trasporti licenziati. Ciclisti costretti a combattere con un piano del traffico che li ignora. Praticamente ogni strato sociale che non detenga potere è stato colpito dal sindaco più odiato di tutti i tempi. Ogni gruppo, associazione, collettivo, centro sociale, categoria professionale che sia distante dal potere economico ha subito offese, insulti, danni economici.
Eppure ciascuno ha risposto da solo.
Gli studenti cacciati da casa hanno protestato da soli.
Il barista di piazza Aldrovandi ha risposto da solo, con qualche centinaio di clienti affezionati.
Gli osti del Pratello hanno risposto da soli, con qualche migliaio di clienti affezionati.
Gli immigrati hanno dovuto subire senza reagire perché nessuno si è mobilitato in loro difesa ad eccezione della Caritas e di qualche consigliere comunale volonteroso.
I dipendenti dell’ATC sono andati da soli a protestare al consiglio comunale. I ciclisti pedalano solitari nella loro critical mass.
Quando qualcuno è colpito e si ribella, tutti gli altri stanno a guardare, tacciono, e sperano che la prossima non sia per loro.
Chiunque organizzi qualcosa si protegge dal contatto con gli altri, come se incontrarsi con altri volesse dire farsi strumentalizzare. Ciascuno per sé, per mantenersi indipendenti dall’abbraccio strumentale della politica. Tutti senza politica. Soli.
Forse questa è la più pesante eredità dell’epoca della competizione iperliberista: gli altri non sono né amici né compagni, ma solamente concorrenti. Il rapporto con l’altro suscita paura, aggressività, competizione, o per lo meno sospetto, imbarazzo. La de-solidarizzazione è la chiave di volta del sistema sociale precarizzato. Ciascuno deve condurre la propria gara da solo, e uno su un milione (magari facendo pompini al presidente o leccando il culo al sindaco) ce la farà.
Il cervello collettivo sembra esploso, incapace di ricomporsi, di rimettersi a funzionare in maniera solidale. La parola stessa solidarietà significa ormai solo aiuto a chi ha perso tutto, ambulanza che arriva a salvare i moribondi. Non più unione sociale con chi vive una condizione di sfruttamento che è diversa dalla tua ma in fondo uguale.
La paura dell’altro non è soltanto un fatto psicologico. Ha radici materiali molto solide. E’ paura che qualcuno possa prendere il tuo posto di lavoro, che qualcuno possa occupare la casa cui tu pensi di avere più diritto, e così via. Ma se resta così siamo fottuti.
Qualche speranza di ottenere quello che ci spetta potremo averla solo se apriremo la porta, se affronteremo uniti il nemico comune, che a Bologna ha la faccia antipatica di un sindaco arrogante, in Italia ha la faccia clownesca di un presidente del consiglio truffatore, nel mondo la faccia multicolore del capitalismo liberista che ha distrutto il futuro.
In questa città, tanto per cominciare, potremmo passarci la voce, e uscire di casa tutti insieme, gli osti del Pratello e i baristi di piazza Aldrovandi, gli studenti che si siedono per terra e quelli cacciati dal loro centro sociale, i ciclisti senza piste ciclabili e i dipendenti dell’ATC, gli operai in cassa integrazione e quelli che ancora non sono in cassa integrazione ma presto rischiano di finirci.
Tutti insieme avremmo una forza che isolati non abbiamo.
Isolati abbiamo perso fino ad ora tutte le battaglie. Ma la guerra potremmo ancora vincerla, se isolati non fossimo più.