Spazi autogestiti e diritto di cittadinanza

Per una socialità non commercializzabile

Dopo l’ennesimo sgombero del Laboratorio Crash (si tratta dell’ottavo), oltre a ribadire la necessità di percorsi di lotta comuni, ho sentito l'esigenza di avanzare una proposta per una vertenza cittadina che affronti il tema dei luoghi di aggregazione e della socialità e per concretizzare pratiche di “mutuo soccorso” tra le varie realtà. L'invito a confrontarsi è rivolto ai collettivi, agli spazi autogestiti, ai centri sociali, a “Bologna città libera” e a tutti coloro interessati a un'idea di città alternativa ai vari "coprifuochi" cofferatiani.

4 dicembre 2008 - Valerio Monteventi

spazi autogestiti LA STORIA DEL CAPRO ESPIATORIO
La storia del capro espiatorio è ormai secolare ed è legata al Giorno dell'Espiazione, cioè a quando due caproni venivano portati insieme a un toro sul luogo del sacrificio. Il ministro di culto compiva un'estrazione a sorte tra i due capri: uno veniva bruciato sull'altare sacrificale assieme al toro per espiare metaforicamente tutte le malefatte di un popolo, l’altro veniva allontanato nella natura selvaggia.
E’ difficile dire se chi ne scrisse sui sacri testi avesse la consapevolezza che quell’atto “liturgico”, nel corso del tempo, sarebbe diventato, prima un irrazionale arbitrio per imprimere nelle menti che la causa di una gran quantità di problemi potesse essere addossata strumentalmente a un gruppo di persone, poi un arnese di propaganda (il capro espiatorio degli ebrei o dei rom per la propaganda nazista), infine una devastante “prassi di governo” (le fortune della Lega Nord nel dare tutte le colpe agli immigrati).
Un soggetto collettivo che ha subito, a più riprese, nel corso di 15 anni, da parte della classe politica istituzionale a livello nazionale e a livello locale, la logica del “capro espiatorio” è sicuramente la variegata galassia dei centri sociali autogestiti.
Di volta in volta si è parlato di centri sociali come di luoghi che alimentano un "brodo di coltura" in cui il terrorismo può attecchire, dove le pratiche antiproibizioniste sono state trasformate in “centrali dello spaccio di droghe”, dove anche quando “non c'è pregiudizialmente nessuna ostilità verso le loro iniziative” esse, comunque, “si svolgono al di fuori della legalità, senza il rispetto delle regole”.
Troppo spesso le attiviste e gli attivisti degli spazi autogestiti hanno dovuto “difendersi” da chi intendeva misurare la loro “condotta non etica o immorale” o la loro “pericolosità sociale” una volta sul terreno della “eversione”, una volta su quello della “evasione (fiscale)”

GLI SPAZI SOCIALI E LA CITTA’ “UFFICIALE”
Quello che si è verificato a Bologna negli ultimi 15 anni non è molto diverso da quello che è successo in altre città italiane: le rappresentanze politiche ed amministrative della città, sia di centro-destra che di centro-sinistra, hanno fatto i conti con i centri sociali autogestiti e con le molteplici esperienze da loro derivate o precedenti come se si trattasse di una "patata bollente" che, per la maggior parte delle volte, doveva essere spellata attraverso provvedimenti di sgombero e, quando le amministrazioni comunali sono state costrette a fare degli interventi non repressivi, questi sono stati parziali e improntati a pure logiche di attenuazione del conflitto sociale e di normalizzazione.
Un riconoscimento “politico” vero e proprio da parte della città "istituzionale" non c'è mai stato; il governo locale, né in passato né ora, non ne ha garantito il diritto all'esistenza con scelte amministrative precise. Non c'è stata nemmeno l'ammissione che, di fronte al disimpegno da parte del pubblico su politiche che favorissero l'aggregazione dei giovani, i centri sociali autogestiti, pur con tutte le loro contraddizioni e le loro differenze, hanno proposto servizi culturali e sociali e hanno sviluppato competenze e capacità professionali estranee agli schemi tradizionali della formazione e del mercato del lavoro, hanno posto il problema cruciale della vivibilità delle aree urbane degradate o soggette a speculazione.
In più, in questo mandato amministrativo, gli spazi autogestiti sono finiti all’interno della non proprio stupefacente campagna "law & order" del sindaco Cofferati (in compagnia dell'ordinanza
anti-birra, delle ruspe sul Lungoreno, dell’ordinanza anti-lavavetri, degli sgomberi delle case occupate). Non sono mancati, come in altri mandati, gli sgomberi di centri occupati, ma in più c’è stata anche l’imbarazzante “guerra dello scontrino”, con le conseguenti sanzioni amministrative (“dai NOCS ai NAS” intitolava un frizzante volantino del coordinamento degli spazi).
E' per questa serie di ragioni che, di fronte agli attacchi che quasi mensilmente gli spazi hanno subito, non è assolutamente superfluo ribadire il ruolo che i centri autogestiti e gli spazi di aggregazione sociale hanno avuto sul territorio cittadino.

COSA SONO GLI SPAZI AUTOGESTITI
Si tratta di esperienze significative, indipendenti ed autonome rispetto al mercato che si basano sull'"agire comunicando" e si ispirano a principi non gerarchici e non produttivistici.
In una sorta di formazione permanente, molto sarà ancora sperimentato sui modelli organizzativi: i caratteri di questi spazi sono di tipo orizzontale, reticolare, dove hanno centralità le relazioni tra i soggetti che socializzano le proprie competenze.
Le forme complesse e diversificate raggiunte dall'autogestione sono state la cooperazione sociale, le sperimentazioni di convivenza, le produzioni indipendenti di saperi e culture.
Nell'agire si è cercato di contrapporsi alle tante forme di relazione sociale fondate sull'esclusione.
Si è prodotto socialità, intesa come rete e qualità delle relazioni attraverso cui si soddisfano collettivamente i bisogni, capace di dare senso alle forme, altrimenti atomizzanti ed emarginanti, della vita metropolitana.
Ci sono state produzione e proposte di eventi culturali e artistici d'avanguardia realizzabili e fruibili a costi assolutamente extramercato.
Si sono attivati la formazione, lo sviluppo e lo sbocco sociale di nuove competenze e attitudini che autonomamente ed in forma autogestita hanno consentito la realizzazione e l'offerta di servizi e beni
immateriali e materiali a basso costo.
Saperi e pratiche collettive, in questi luoghi, sono riusciti a creare le condizioni, le strutture e i mezzi per realizzare progetti che altrimenti sarebbero soffocati dalla logica del mercato, sperimentando e producendo programmi singolari, capaci di scegliere cosa produrre e come produrre, sulla base di un'idea differente delle relazioni, della cooperazione e dello "spazio pubblico": dalle esperienze radiofoniche a quelle editoriali e della comunicazione, dalle produzioni musicali a quelle teatrali, dalla solidarietà internazionale al tentativo di cambiare lo sguardo sul mondo, agendo sui comportamenti quotidiani, cercando di creare nuove modalità di relazione tra le persone, al di fuori degli ordini consolidati che il mercato cristallizza per il suo interesse.
Lo sviluppo e la sperimentazione di un'economia solidale, ancora allo stato nascente, ha aperto la discussione verso nuovi immaginari collettivi, smontando il sistema di relazioni sociali, nella consapevolezza che consumare in modo critico richiede uno sforzo soggettivo importante che deve essere costruito in un luogo comunitario, dove sia possibile una "economia di relazione" che si sostituisca all'acquisto.
Il consumo critico che gli spazi autogestiti hanno cercato di praticare parte proprio dalla considerazione che non è necessario nè obbligatorio accettare prodotti che sono l'anello finale di una catena di iniquità. Non solo “no-logo” e “no-copyright” dunque, ma anche riconoscibilità e lettura critica del mercato.

GLI SPAZI SOCIALI E UNA BOLOGNA CHE E’ PROFONDAMENTE CAMBIATA
Tutto questo è avvenuto in una Bologna che è profondamente cambiata da quando, nei primi anni novanta, erano nate le prime esperienze di centri sociali autogestiti.
Questa città è diventata per una parte importante dei suoi cittadini vecchi e nuovi una macchina di sofferenza materiale e di sopravvivenza difficile: l'atmosfera inquinata la rende nociva, il contrasto tra centro e periferie la rende falsa e ipocrita, il dominio del commercio la rende spregiudicata e spietata, lo sfruttamento parassitario della cultura antica e la crisi della cultura contemporanea la rendono arida e smorta, l'avarizia materiale e mentale delle sue classi dirigenti la rende spesso ostile e lontana dalle sue antiche tradizioni di accoglienza e ospitalità.
Le esperienze dell'autogestione si sono confrontate (chi più chi meno) con le disegualianze sociali e culturali che l'idea dominante di città ha prodotto, a partire dai diritti di cittadinanza dei migranti (negati da leggi nazionali, ma anche da politiche locali disincentivanti rispetto alla loro presenza).
I centri sociali hanno lavorato per tentare di bloccare il generale scadimento della socialità cercando di sviluppare il contatto con le altre culture, tentando di interloquire con le traiettorie di vita e le differenti aspettative delle nuove cittadinanze.
Negli spazi sociali autogestiti si è cercato di dare voce pure ai networking e alle aggregazioni informali che hanno sperimentato percorsi di innovazione attraverso nuovi linguaggi e nuove tecnologie.
Infine, diversi spazi sono stati riattivati e allestiti in modo innovativo dagli autocostruttori, attraverso l'autorecupero hanno perciò acquisito l'autorevolezza necessaria per rivendicare uno sviluppo diverso di questa città: che sia ecologicamente compatibile, socialmente compatibile, artisticamente compatibile.
Qualcosa di radicalmente diverso dallo sviluppo che si vorrebbe dare a Bologna, caratterizzato da un'idea basata su compartimenti stagni: aree o cittadelle dell'abitare, del lavoro, dello studio, del tempo "libero".
Gli spazi autogestiti hanno iniziato a ragionare sui modi del "vivere complessivo" della città e hanno proposto forme di progettazione delle forze sociali nella città, che possono contribuire ad ideare e costruire una città diversa.

PER IL DIRITTO DI CITTADINANZA
Oggi è venuto il tempo che questo universo molteplice e disseminato si interroghi sulle forme e sulle modalità efficaci ad ottenere il pieno riconoscimento al contributo fornito ed il diritto a proseguire attività e produzioni di senso rispettandone i fondamenti costitutivi.
In molti pensano che sia ormai irrimandabile la necessità di individuare una “soluzione politica complessiva” che permetta ai centri sociali di uscire dalla dimensione di precarietà a cui sono stati costretti, restituendo alla liberazione degli spazi e al riutilizzo delle aree dismesse il valore sociale che gli appartiene.
Bisogna intervenire sia dal punto di vista di ciò che oggi esiste, di quegli spazi che riusciti a conquistare la loro esistenza nel corso degli anni, sia dal punto di vista di una legislazione attualmente inadeguata che deve saper riconoscere la peculiarità della dimensione autogestionaria e ne salvaguardi l'indipendenza e l'autonomia politica, gestionale, amministrativa.
Va rivendicato il riconoscimento sostanziale dell'autogestione e delle sue forme come modello efficace di contrasto e prevenzione all'impoverimento delle relazioni sociali; una fitta serie di questioni normative essenziali alla sopravvivenza e allo sviluppo delle esperienze esistenti in modo
compatibile ai propri principi costitutivi.
Va ribadito il diritto degli spazi sociali ad interloquire con le amministrazioni locali sulle scelte in materia di vivibilità, cultura e progettazione urbanistica.

UNA SERIE DI ELEMENTI FONDAMENTALI
- Vanno promosse occupazioni e riorganizzazioni di spazi costruiti, auto-ristrutturazioni, progetti partecipati, occupazioni alternative dell'etere e dello spazio immateriale, riqualificazioni in forme
autoprodotte di immobili e aree urbane, e in qualche caso la creazione di veri e propri cantieri sociali di trasformazione della città.

- Le aggregazioni di soggetti sociali spontanei devono avere la possibilità di costituirsi e di gestire autonomamente tematiche, proposte e progettualità specifiche. E che ciò rappresenti una strada aperta per il futuro di là delle vertenze specifiche in atto.

- Per quanto riguarda la formazione di nuovi raggruppamenti - spontanei o legati a nuove necessità - che siano garantiti ascolto e soluzioni logistiche praticabili.

- I centri autogestiti non fanno parte dell'industria dello spettacolo e si vogliono sottrarre alle sue norme. Ospitano attività aggregative solo in qualche misura omologabili a quelle dei Circoli Culturali di storica formazione (ARCI, ACLI, ENDAS, ecc..) ed esprimono al loro interno un forte meccanismo di autotutela che nasce dalla propria base sociale e di cui va tenuto conto.
Va dunque costruito un nuovo scenario rispetto alle normative esistenti, che regolano l'accesso, l'uso e la fruizione di questi spazi e dei servizi erogati.
Vi é inoltre l'aspetto problematico della posizione fiscale di questi spazi.
I centri autogestiti di fatto promuovono importanti attività di tipo culturale e sociale senza gravare, se non minimamente, sulla spesa pubblica. Ci pare intollerabile che, di fronte a questo risparmio, ci sia qualcuno che pretende di tassare le poche forme d'autofinanziamento che i centri autogestiti attivano tramite la cooperazione della propria base sociale (tenendo tra l'atro conto che su tutte le forniture per l'attività dei centri viene pagata l'IVA senza possibilità di scaricarla come per le aziende).

- Va attivato un censimento degli spazi di proprietà comunale, di altri Enti pubblici e di altri enti a controllo pubblico (Ministeri, ASP, Aziende Municipalizzate, Banche, Assicurazioni), da adibire ad attività sociali e culturali per un uso pubblico collettivo. Anche per quanto riguarda le ex caserme e le aree militari che l'amministrazione statale ha reso disponibili, a dettare l'agenda non devono essere, come quasi sempre avviene, le esigenze dei costruttori. I centri sociali sono pronti a lanciare la sfida, portando avanti una battaglia politica e sociale affinché quegli spazi non subiscano la trasformazione che i signori del mattone hanno, da tempo, previsto.

- Va attivato un censimento degli spazi di proprietà dell'Università da mettere a disposizione dei collettivi, delle associazioni e dei gruppi studenteschi.

- Vanno trovate soluzioni logistiche appropriate per quelle realtà autogestite della città che, pur avendo dimostrato ampia capacità d'intervento culturale e di aggregazione sociale, sono soggette a rischio di sgombero, trovando contenitori adeguati per il proseguimento delle loro attività.

Con questi punti vertenziali, si possono attraversare terreni molto meno teorici che valorizzino ogni realtà ed ogni vertenza, dentro un quadro ampio, fatto di pochi, essenziali tratti comuni.

Questa Giunta, inesorabilmente, ha fatto cadere, nel corso di questi anni, "pietre" e "macigni"
sull'universo aggregativo a lei non allineato. Sono stati colpiti, con la stessa arroganza, gli anziani delle bocciofile, i volontari delle polisportive, i musicisti underground e gli spazi autogestiti.

Le forme possono essere diverse, ma il risultato sarà lo stesso. Vogliono "normalizzare" una delle cose più belle delle tradizioni di questa città: la voglia di socialità non commercializzabile.

Per contrastarli non abbiamo grandi mezzi, ma un'arma molto efficace che, se usata con intelligenza, li rende impotenti. Parliamo del conflitto sociale. Sappiamo che, in questa città, molti ne hanno perso l'abitudine, ma, se (per una volta) ci mobiliteremo tutti insieme, con un'opposizione coerente a questa politica, coinvolgendo non solo gli attivisti e chi gestisce gli spazi ma anche tutte le persone che partecipano alle loro attività, forse questa battaglia la potremo vincere.

Se saremo capaci di costruire una "Rete", dove tutti i nodi avranno pari dignità, dove le varie soggettività e differenze saranno una ricchezza e non un problema, il "capro non imbrigliato" troverà da solo la strada della natura selvaggia.

Valerio Monteventi

> Report e foto del corteo di Crash

> Lo sgombero [foto]

> La convocazione del presidio

> Il comunicato di Vag61

> Leggi "La nave riparte dal centro alle periferie" sullo sgombero di Via Zanardi 106

> Leggi la cronaca del 22 novembre: occupazione e sgombero immediato dell'ex Embassy

> Leggi la nostra feature del 2007 sullo sgombero di Via Zanardi 48 e l'occupazione di via Zanardi 106

> Vai alla feature: "Ci autorganizziamo, senza il vostro permesso"