recensione del film del regista rumeno Porumboiu

A est di Bucarest

Nell'ambito della rassegna "Le parole dello schermo", un film di Corneliu Porumboiu. Con Mircea Andreescu, Teo Corban, Ion Sapdaru. Genere Drammatico, 89 minuti. Premiato con la Camera d'Or al festival di Cannes 2006.
8 novembre 2008 - Mirko Giancola

 

locandina

A est di Bucarest c’ è un’anonima provincia rumena di nome Vaslui, una cittadina grigia e fredda dove il romanticismo di una notte di neve lascia presto il posto allo squallore del fango. In questa città il regista Porumboiu ci mostra la vita di tre personaggi anonimi e piuttosto kafkiani: Marescu, un professore di storia alcolizzato; Piscoci, un vecchio solo e abbastanza bizzarro e Jderescu, un conduttore televisivo che tenta disperatamente di prendersi sul serio. La prima parte del film serve più che altro da introduzione, ci mostra uno spaccato della vita dei tre protagonisti permettendoci così di intuirne la personalità e il profilo psicologico. La parte più importante è infatti la seconda, durante il quale si svolge un dibattito televisivo sul tema della rivoluzione dell’89. E’ la sera del ventidue Dicembre del 2005 e sono passati sedici anni dalla rivoluzione che rovesciò il regime di Ceaucescu; il tema della serata è: c’è stata una rivoluzione anche a Vaslui o la gente in piazza è scesa solo dopo aver appreso della caduta del regime? Per comprendere la natura di questo interrogativo è forse opportuno ricordare quegli eventi che cambiarono il corso della storia della Romania.

Il 15 dicembre 1989 la minoranza ungherese di Timisoara, oppressa dal cieco nazionalismo di Stato, scende in piazza per difendere il proprio pastore calvinista, reo d'aver criticato Ceausescu. Tre giorni dopo si diffonde, dalle agenzie di stampa di tutta Europa, la notizia di stragi e torture perpetrate dalla Securitate ai danni della folla inerme. Il 20 i particolari della pseudo-cronaca si fanno agghiaccianti: bambini schiacciati dai tank dell'esercito, donne incinte trafitte dalle baionette, elicotteri a mitragliare la folla. Il 21, sull'onda dell'orrore, il dittatore contestato dalla folla si dà alla fuga insieme alla moglie Elena; traditi da qualcuno dell'entourage, i due vengono arrestati. Il 22, arrivano sugli schermi di tutto il mondo le immagini del massacro: un numero impressionante di vittime accatastate in una fossa comune, sfregiate, deturpate, torturate. I giornalisti del libero Occidente inorridiscono, fotografano, raccontano, non curandosi di controllare l'attendibilità dei testimoni, di vagliare i fatti: la malvagità del dittatore scuote l'opinione pubblica delle democrazie. I rivoltosi occupano la TV di Stato e mostrano al paese atrocità inenarrabili; la sinistra fama di Ceausescu riceve una visibile conferma, la fossa di Timisoara è ciò che si stava cercando e si sperava di trovare. Giudici invisibili agli occhi della TV processano in diretta Ceausescu e la moglie, li condannano, li giustiziano. Solo qualche tempo dopo l'inganno verrà scoperto, nella disattenzione quasi totale dell'opinione pubblica europea: i cadaveri rinvenuti a Timisoara erano deceduti per morte naturale ed erano stati prelevati dalle celle frigorifere dell'ospedale e dal cimitero. Erano serviti a offrire l'immagine della disumana ferocia del sistema, per giustificare il processo sommario al Conducator e la sua esecuzione. Senza la rapidità impenetrabile di quel processo pur esibito sugli schermi, Ceausescu avrebbe avuto modo di denunciare l'imbroglio di una rivoluzione che era una congiura di palazzo, e l'aveva scelto quale unico capro espiatorio; i suoi accusatori ne erano stati i complici, gli sgherri, i pretoriani che ora passavano dalla parte del popolo e della giustizia. Col contributo decisivo dei media, il gattopardesco trasformismo dei burocrati di regime portò le masse a illudersi di essere divenute protagoniste, e tutti a credere in un lavacro storico inesistente.

Il conduttore sembra ossessionato dalla domanda se in quella città c’è stata o no la rivoluzione; il professor Marescu sostiene imperterrito di aver partecipato alla rivoluzione, nonostante le numerose smentite dei telespettatori, il vecchio Piscoci invece è più onesto ed ammette di essere sceso in piazza solo dopo come tutti gli altri, ma non comprende l’importanza di tali precisazioni. All’insistente domanda del conduttore risponde “ognuno fa la rivoluzione a modo suo e noi l’abbiamo fatta a modo nostro”.

Nel film, il conduttore della trasmissione televisiva cita il mito della caverna di Platone chiedendosi se noi, dopo aver già scoperto una volta di essere stati ingannati dalle ombre sulla grotta, non siamo ancora avvolti nell'illusione, credendo di aver afferrato la realtà mentre abbiamo gli occhi rivolti ai simulacri. E’ questa in fondo la domanda che il regista Porumboiu pone ai suoi spettatori, non preoccupandosi di trattare con ironia e un pizzico di cinismo argomenti che da molti in Romania sono ancora considerati dei tabù. Egli ci mostra il cadavere di una Rivoluzione che tutti sostengono di aver fatto, essendone stati in realtà semplici spettatori, con i protagonisti di quei drammatici giorni ridotti invece al silenzio dal triste spettacolo di una democrazia corrotta, deficitaria e inoperosa; nonché il potere persuasivo se non addirittura mistificante dei mezzi di comunicazione che riescono a trasformare un’apparenza debitamente costruita in verità storica.