Incontro con Roberto Escobar

La paura del diverso

Nell'ambito del festival "Le parole dello schermo", incontro con Roberto Escobar, docente di Dottrina dello stato e critico cinematografico del Sole 24 Ore, ma soprattutto autore di saggi e volumi sul tema della paura.
8 novembre 2008

 

Il prof Roberto Escobar, docente di Filosofia politica all’Università di Milano e critico cinematografico per Il Sole 24 ore, è autore del libro “Metamorfosi della paura”, edito dal Mulino. Nel  Escobar si è messo alla ricerca delle radici profonde di questa nuova paura. Inscindibile da quanto di misero e di grande è nell'uomo, la paura ne costituisce il fondo buio: la paura che costruisce confini, erige barricate, esplode in violenza contro gli invasori.

 

La prima domanda rivolta al professore dal direttore riguarda le elezioni americane in corso in queste ore; interrogato in merito alla probabile vittoria del candidato afroamericano Barack Obama, Escobar non tralascia di sottolineare la portata innovativa che un tale risultato avrebbe per la storia degli Stati Uniti e dell’Occidente in generale. Ciò che colpisce il professor Escobar del candidato democratico è il modo in cui ha impostato la sua campagna elettorale; una campagna che ha portato in primo piano la dimensione del discorso politico, in controtendenza alla politica odierna basata sulla comunicazione unilaterale e su slogan ad effetto.

 

Questo discorso è particolarmente valido per l’Italia, dove a fare odience non è certo l’oratoria ciceroniana, ma piuttosto vallette (che alle volte diventano ministro) e provocatori dalle dichiarazioni forti e dalle facili smentite. Secondo il prof Escobar “la comunicazione politica in Italia è molto simile a quella televisiva; essa  segue un modello olistico-individualista che si rivolge agli individui, ma senza tener conto delle loro istanze come singoli, considerandoli una massa indifferenziata di consumatori”. Nella televisione come nella politica, ad avere successo non sono individui eccezionali, ma persone apparentemente comuni che si distinguono dagli altri perché ce l’hanno fatta; in tal modo l’uomo comune rivolge verso se stesso la propria frustrazione dettata dall’anonimato, cercando di imitare tali modelli così da condividerne la popolarità. Di conseguenza in televisione vediamo storie strazianti di famiglie disperate che però sono in tv; in politica abbiamo persone comuni, self made man che sono come noi ma con una marcia in più che gli ha permesso di emergere. Per questo non è insolito che un operaio che guadagna ottocento euro al mese voti il partito dell’uomo che da cantante di navi da crociera è diventato presidente del consiglio…

 

Se noi siamo consumatori continua il prof Escobar, allora la politica non è altro che un mercato dove regna la legge della domanda e dell’offerta. Il prodotto più richiesto in questo periodo si chiama sicurezza, e affinché il prodotto si venda , vi è bisogno di un’alta domanda, e la domanda in questione si chiama paura. Ecco dunque che il concetto di creazione della paura da parte della classe politica esce dall’alveo del complottismo ed entra nel normale sistema della prassi politica. “ Il più delle volte la paura si appoggia si una situazione di disagio già esistente”, spiega il professore; è il caso dell’Italia di oggi, afflitta da una tremenda crisi economica e da un’ instabile situazione politica. Si spiegano così i numerosi episodi di razzismo di questi mesi, fomentati più che condannati dal governo in carica, che danno un’immagine eloquente del concetto di paura del diverso e dei suoi effetti.

 

Nel nostro paese il diverso per eccellenza è il romeno,  considerato un tutt’uno con il rom; talmente diverso da non offrire possibilità di confronto e da non destare curiosità riguardo al suo paese e alla sua cultura. “E’ per questo che abbiamo deciso di dedicare parte del festival alla Romania” spiega il direttore della cineteca di Bologna Farinelli, “nonostante il disinteresse dei media”. “E’ normale che sia così” risponde il prof Escobar, “poiché la paura del diverso presuppone l’ignoranza della sua cultura e soprattutto il silenzio dei persecutori  un silenzio assordante fatto di stereotipi e luoghi comuni gridati a gran voce”.

 

Dopo questo ritratto a tinte fosche della nostra società, Farinelli chiede al prof Escobar se intravede possibilità di cambiamento all’orizzonte;  il professore pare pessimista quando citando Pasolini afferma che in Italia le cose non cambiano poiché non c’è rabbia,  l’unico sentimento in grado di suscitare un’opinione pubblica critica; o meglio “c’è una piccola rabbia figlia di una piccola borghesia, che finisce sempre per istituzionalizzarsi perdendo così il suo carattere corrosivo”. Una nota positiva però  c’è: il movimento studentesco di queste settimane colpisce molto il prof Escobar poiché  esce dagli atenei e porta il dibattito politico tra la gente. E’ questo che dovrebbe fare l’Università dice, “non produrre risorse umane per le aziende, ma coscienze critiche in grado di metterle in discussione e di rinnovarle”.