Lettera/ Contro l'apatia

Ci hanno in pugno!

Riceviamo e pubblichiamo volentieri una lettera arrivata in redazione da una nostra lettrice. "E nel frattempo cosa ci avete insegnato? Il rispetto, forse? La tolleranza? L’equità? No, solo l’avidità di potere personale, lo sfruttamento di ogni mezzo per fare carriera".

Cavaliere Filomena

lettera No, non posso tacere e rimanere impassibile. E non mi basta nemmeno piangere. Voglio urlare. Ci vogliono manipolare, plasmare a loro piacimento fin dall‘infanzia. Inaccettabile. Si illudono di grosso se pensano che noi giovani siamo un gregge di cocainomani alcolizzati con il cervello bruciato dalle discoteche. No.

Probabilmente l’apatia è dilagata nella nostra generazione, purtroppo, poiché le cose più atroci, più spregevoli e fasulle ci vengono sbattute in faccia ogni giorno, senza possibilità di controbattere. Ci abbiamo fatto il callo, insomma. E si sa che l’abitudine dopo un po’fa mandare giù ogni rospo, ogni protesta che vorresti sollevare viene affievolita dalla consapevolezza dell’impotenza di cui siamo così succubi. Ci credono in loro pugno. Noi giovani, generazione del fardello del futuro, siamo arnesi: all’occorrenza veniamo utilizzati come strumento politico, ma nessuno, nemmeno chi si finge magnanimo, ci ascolta realmente. Non ci prendono sul serio.

Ecco da dove nasce il nepotismo, il nonnismo, se vuoi anche il conseguente bullismo che si è così considerevolmente rafforzato nei nostri usi in quanto tradizione del passato. Allora vi ringrazio anche di questo. Dov’è la democrazia se ognuno non può scegliere del proprio futuro? Perché nessuno pensa con vivo interesse a questo domani che per noi si rivela sempre più scuro, nero come la pece? E il bello è che non possiamo provvedere neppure da noi per autoconservazione perché ci avete convinti che non siamo niente, mai ben accetti in Parlamento, in ogni manifestazione pubblica, perché per farci sentire dobbiamo inevitabilmente alzare la voce come babbuini, dobbiamo manifestare. E vi assicuro che a nessuno piace la violenza, nessuno rinuncia a un accettabile compromesso se questo si mostra realizzabile. E se osiamo ribellarci, alzare la testa di fronte agli déi superbi, veniamo etichettati come eversivi, Brigate Rosse, Fascisti. No, questo era il vostro tempo, il nostro è quello del dannato bisogno di esprimerci, di essere ascoltati e ascoltare.

Capitelo, per favore.

Noi siamo parte di questa società, siamo i suoi figli, allora non sopprimeteci, non abbattete ogni nostro tentativo di comunicare come se fosse un capriccio. Siamo cresciuti, siamo consapevoli. Vogliamo scegliere per noi, basta respingerci. Mi sono convinta che ormai il valore supremo dominante è il solipsismo.

Io odio questa politica, sono scandalizzata di fronte alla palese avidità, non solo materiale, che abita negli occhi di chi ci comanda. Si, perché ormai governare il paese è fare ciò che è meglio per l’individuo. Non è cercare di trovare un compromesso, di emergere da un intenso periodo di crisi, di tendere la mano al prossimo. Politica significa arraffare il più possibile, guadagnare terreno rispetto all’avversario. Il protagonismo imperante di questa classe sociale mi fa salire la bile in gola, ma io, diciannovenne di famiglia sobria, non sono tenuta a farlo sapere a nessuno, ad esprimere il mio giudizio su chi io, in quanto cittadino maggiorenne e perciò personalità giuridica e penale, responsabile di me, ho deciso di collocare in un organo che deve dare voce ai miei desideri, ai miei bisogni in quanto facente parte della società italiana.

Non si approva un decreto dopo che una moltitudine di persone, il cuore pulsante dell’Italia, le vittime sacrificali di un gioco di potere, ha detto no. Vediamola in termini semplici e generici. Io scelgo che tu parli al posto mio, ti nomino mio portavoce, ma talvolta muovi affermazioni che non condivido, allora te lo dimostro, cerco di spiegartelo, ma tu mi ignori, fai finta di non sentirmi e porti avanti la tua decisione, dicendo che lo fai per il mio bene. Ora, può darsi che tu ne sappia più di me sul bene per la collettività, mi illudo che sia quello che vuoi perseguire, ma se tutta la porzione di società che tu vuoi preservare si ribella, pensaci, forse non è proprio ciò che si aspetta, che desidera, che esige. Evidentemente dietro il comportamento così caparbio, incivile, ostinato, mi viene il dubbio ci sia qualcosa sotto che non riguarda solo il mio bene. Ma ogni valida logica si concluderebbe con la delegittimazione del rappresentante. Invece no. Allora se mezzo corpo studentesco scende in piazza e tu te ne infischi altamente mi in sorgono spontaneamente due possibilità: o non prendi sul serio la mia protesta, il fatto che io non accetti quello che tu mi imponi (non potei utilizzare un termine più appropriato), oppure hai un altro scopo e siccome ormai hai la convinzione che le chiavi decisionali siano in mano tua, persegui la tua idea, pensando che tanto le sollevazioni si sbolliranno e la gente dovrà rassegnarsi ad accettare quello che tu ingiungi, nonostante ciò abbia conseguenza dirette sulla gente e non su di te.

E questa la chiami democrazia?

Mi dispiace, ma io sono sempre più delusa di essere italiana, il mio patriottismo sfuma sotto il peso della vergogna, perché noi italiani non siamo come chi ci rappresenta, no davvero. E noi giovani ora ne siamo consapevoli, non toglieteci la parola. Giungerà il momento che voi dovrete farvi da parte e tutto il groviglio dovrà essere districato alla bene e meglio dai sottoscritti. E nel frattempo cosa ci avete insegnato? Il rispetto, forse? La tolleranza? L’equità? No, solo l’avidità di potere personale, lo sfruttamento di ogni mezzo per fare carriera. Allora vi rinnovo i miei ringraziamenti, perché noi lottiamo ogni giorno per assicurarci un posto nel mondo, per conservare qualcosa di buono, per garantirci un avvenire, ma, inesorabilmente, la risposta che riceviamo è il silenzio o la disapprovazione. Ci fate del male e non ve ne importa poiché voi comandate, per ora, e ciò vi è servito per raggiungere i vostri scopi. Ma forse un po’ di autocoscienza si è fatta strada in voi. Infatti avete cambiato strategia, certo, sempre escludendoci e ignorandoci, necessariamente, ma avete capito che siamo importanti, che diventeremo quello che siete voi, che siamo una forza. E allora ci sfruttate, ci introducete in una via autoritaria che avete disegnato per noi, senza il nostro consenso, ma con la tacita e infima imposizione.

Non siamo tutti stupidi e disinformati, sappiatelo.

Se l’avete avuta vinta molte volte, se avete deciso per noi sempre in passato, non è detto che questo sistema sia valido anche per il futuro. Anche se non posso nascondere il mio timore che anche questa volta la rassegnazione impotente vinca, che voi vinciate. Infatti tutti i mezzi sono in mano vostra. È vero, devo ammettere che avete il coltello dalla parte del manico. Siamo spalle contro il muro, siamo una minoranza di pellerossa di fronte all’esercito di Caster. Ma l’intelletto, la consapevolezza di se ci mettono tutti sullo stesso livello e mi sa che questo dovrete accettarlo. Non è la capacità di esprimersi a indirizzare la verità.

State usando un mezzo efficacissimo, micidiale: la disinformazione.

Ancora grazie, perché ci decimate. Ma non ne avete figli? Non ci pensate all’eredità che lasciate loro, dannazione? Non riesco a spiegarmelo, sarò una pecora nera in una mandria bianca, ma non mi capacito ancora che possa esistere una tale insensibilità. È chiaro da chi la stiamo ereditando. Non siamo marci, mi dispiace, ci siamo diventati. E ora volete farci diventare qualcos’altro. A sua disposizione, vostra signoria, mio duce. Starò esagerando, ma preferisco pensare che ci sia ancora un briciolo di me che vuole reagire, che schiettamente spiattella sulla carta immacolata quello che pensa, senza le ridicole censure all’italiana. Non posso che ammetterlo: è il mio ennesimo, disperato tentativo di essere ascoltata. E sono fiera di avere ancora la forza di volontà di farlo. Ma sarà vano … di nuovo. Ci sopprimete. Vi supplico, mettete da parte l’alterità, è evidente che conoscete più di noi, ma anche il fatto che mettiate in discussione una vostra decisione in quanto tenete conto delle nostre idee sarebbe, come dire, un input, un motto di riconoscenza, un atto di considerazione verso di noi, non so come spiegarlo. Ci fareste felici. Potrebbe essere l’inizio di una nuova collaborazione, di una nuova stagione di dialoghi e confronti. Utopia, riecheggia nella mia mente. Beh, allora sappiate stupirci, rendete un favore a questi ragazzi che vi ammirano, ma che non vengono mai ricambiati. Il loro rancore mi sembra giustificato. Mettete da parte protagonismi, ribadisco, da soap opera e rivolgete il vostro sguardo anche verso di noi, non come farebbe un padre autoritario che non conosce il dialogo con il proprio figlio, ma come un vostro eguale, con pari dignità, che merita uguale stima. E se concordate a ragione che stiamo sbagliando lo accetteremo, come siamo abituati a fare, ma nel frattempo saremo maturati, sostenuti dalle stampelle che ci avete offerto, democraticamente. Ma credo tanto che il mio tentativo sarà l’ennesimo buco nell’acqua, l’ormai abituale discorso ai sordi che non vogliono sentire e che presumibilmente hanno abbastanza influenza per non farlo. In questo modo ci condannate in via definitiva …
Mi scuso per la mia insolenza incontrollabile, per le mie variazioni convulse di tono e di contenuto, ma è l’espressione e lo sfogo di una mente turbata e amareggiata …