Tre giorni di dibattiti contro la repressione e l'autoritarismo

«La normalità non esiste»

Ripubblichiamo da Umanità Nova e dal blog dell'Assemblea Antifascista Permanente un report dell'assemblea nazionale del movimento LGBTIQ tenutasi a Bologna

19 ottobre 2008

> Ascolta la nostra intervista a Renato (Antagonismo Gay)

Oggi l'autoritarismo non fa leva solo su violenze eclatanti. Vi sono anche eventi minimi, giornalieri, continui, capillari, che non fanno scalpore, ma che rafforzano il processo repressivo di disciplinamento sociale. Arroganza, perbenismo, razzismo, sessismo, omofobia, familismo, integralismo cattolico, "legalità & sicurezza" alimentano una cultura di massa dell'odio e della discriminazione. Perché il fascismo, per affermarsi, ha bisogno non solo di aggressioni stupri e omicidi, ma anche di tornare ad essere cultura di massa aggressiva e prevaricatrice, agita da gente "normale" e "rispettabile". Senza ciò, anche lo squadrismo neofascista perderebbe gran parte della sua efficacia.
Proprio per discutere questo ordine di fenomeni – tanto più pericolosi quanto più invasivi – si è tenuta a Bologna una tre giorni di gay lesbiche e trans «contro la repressione, la normalizzazione e le nuove forme di disciplinamento dei corpi», organizzata da Facciamo Breccia, Antagonismogay, Fuoricampo, Coordinamento trans "Sylvia Rivera".
Il dibattito si è articolato in quattro sezioni: 1) il perbenismo, la normalizzazione delle identità, l'esortazione del potere all'autocensura; 2) il familismo e il doppio sfruttamento delle donne in casa e sul lavoro; 3) il sessismo e la trans-lesbo-omofobia; 4) la campagna securitaria, il razzismo, il fascismo. Aperta da un intervento sulla nuova ideologia della "rispettabilità" e del "decoro" come norma autoritaria e discriminatoria (vedi articolo p.4), la discussione è stata ricca e molteplice, con il proposito di delineare una soggettività politica plurale, contro le logiche normalizzanti della mediazione e della delega, ma anche e anzitutto contro ogni umiliazione e coercizione verso i "diversi" e gli "indecorosi". Molti interventi hanno cercato di riflettere su due poli fondamentali: il corpo e la parola che ne parla, la fisicità e le sue rappresentazioni o, per così dire, il vissuto e il simbolico come campi complementari di lotta sociale.
Da una parte, l'ideologia della "rispettabilità" vuol dire nascondere ed escludere l'altro, i "degenerati", il corpo sfruttato, aggredito, violentato, imprigionato, "clandestino": ciò insomma che resta fuori dalle griglie di un potere patriarcale sempre più oppressivo, razzista e assassino. Dall'altra, si tratta di uscire dall'idea di una "tutela" delle diversità per rovesciare il vocabolario del disciplinamento e le retoriche securitarie dello stato: oggi "indecorose" sono le leggi e i decreti discriminatori, la propaganda martellante di "paure" razziste e omofobe, l'insicurezza sui posti di lavoro, gli stupri fra le mura domestiche.
Molte sono state le testimonianze di esperienze singole e di percorsi collettivi, da città pesantemente segnate dal neofascismo come Verona e Roma, da Padova, da Milano, da reti di lotta come quella delle sex worker contro il decreto Carfagna, o quella per il "reddito di autodeterminazione", da realtà antifasciste come ECN antifa e l'AAP di Bologna. Un'esigenza dichiarata da più parti è certo quella di abbattere le pareti tra "diversità", di iniziare un percorso antagonista che sappia disarticolare la politica riduzionista e violenta dell'ordine costituito.
Ogni fascismo ha bisogno infatti di costruire un modello unico di vita, un'identità normativa valida per tutti, un senso chiuso e sacrale della tradizione, perpetuato attraverso la paura e l'intimidazione. Essere antagonisti a tutto ciò, non vuol dire contrapporsi in modo speculare e machista, ma fare forza sulla molteplicità e sulla solidarietà, sulla gioia della propria eresia, su una ribellione che nasce dal vissuto e interroga altri soggetti oppressi. Oggi veramente, come cantava De André, «chi non terrorizza si ammala di terrore»: la paura e l'insicurezza non è quella del benpensante, ma di coloro a cui non è più garantita nemmeno l'incolumità fisica, che devono temere aggressioni e violenze, che sentono di abitare un mondo sempre più povero di utopie e di futuro. A fronte di tutto ciò, occorre – come ha detto in chiusura Gabriella Bertozzo – «tornare a fare paura», riportare nelle strade e nei quartieri quel «gaio comunismo» di cui parlava Mario Mieli, la gaiezza della rivolta.
 Così, il 14 febbraio 2009 vi sarà a Roma una manifestazione NO VAT ed è stata lanciata la proposta di una manifestazione a San Remo per ricordare il 5 aprile 1972, quando gay lesbiche e trans irruppero dentro un convegno di sessuologi che ipotizzavano elettrochoc e lobotomizzazione per i "devianti omosessuali".
Anche noi crediamo che la repressione e il disciplinamento che investono oggi il movimento LGBTIQ siano parte di un attacco più generale verso ogni movimento che faccia riferimento all'autodeterminazione e all'antifascismo e che rifiuti le logiche opache della rappresentanza.

(Pubblicato originariamente su Umanità Nova e sul blog dell'Assemblea Antifascista Permanente)