Bologna come Milano

Il Comune propone il kit anti-droga per le famiglie

L’estemporanea proposta dell’assessore alla Salute, Giuseppe Paruolo, dimostra come i politici siano rimasti fermi rispetto a tutto il lavoro svolto dagli operatori sociali, da quelli sanitari e dai gruppi di volontariato che intervengono nel campo delle sostanze psicotrope. Questi ultimi col loro agire sanno elaborare politiche efficaci, perché sono attenti alla concretezza dei problemi, i secondi sono completamente ingessati dal moralismo proibizionista.
1 giugno 2007

kit antidroga Non passa giorno, a Bologna, che l’Amministrazione comunale (formalmente di centro-sinistra) non si distingua in improvvisate rincorse alle campagne della destra: è stato così, in passato, sull’immigrazione e sulla sicurezza, ora non poteva mancare il tema della droga.
Il Comune, infatti, ha intenzione di distribuire un kit per i test anti-droga alle famiglie che ne fanno richiesta. Sul Corriere di Bologna di questa mattina l’assessore alla Salute e alla Comunicazione, Giuseppe Paruolo, ha dichiarato: “Potremmo fornire i test antidroga ai consulenti dei nostri servizi sociali e loro li potranno dare alle famiglie che ne faranno richiesta”.
Paruolo precisa non vorrebbe replicare meccanicamente il modello del sindaco di Milano Moratti che ha spedito a circa quattromila famiglie un coupon per il ritiro gratuito in farmacia del kit. La sua intenzione è quella di istituire un vero e proprio servizio pubblico, ma, per avere informazioni sull’esperienza milanese, Paruolo contatterà l’assessora del capoluogo lombardo, Carla de Albertis: “Noi però non siamo interessati a spedire i test a tutte le famiglie. Stiamo pensando a un servizio per chi ne fa richiesta”.
Si tratta comunque di una brusca sterzata della Giunta, dato che, solo tre settimane fa, proprio Paruolo, in Consiglio Comunale, per rispondere a un’interpellanza di Alleanza Nazionale che chiedeva di imitare la Moratti, disse: “Il Comune di Bologna non intende avviare la sperimentazione del kit come a Milano”.
Lo scorso 11 maggio, a Galeazzo Bignami che a nome di AN diceva “non vogliamo il controllo delle famiglie ma il controllo nelle famiglie”, la giunta di Palazzo d’Accursio rispose sostanzialmente di no.
Oggi, all'indomani dei controlli di polizia che hanno trovato all'Istituto comunale Aldini-Valeriani mezzo grammo di hashish e mezzo grammo di marijuana, l'orientamento dell’esecutivo di Cofferati è cambiato. Paruolo ha riaperto i giochi, mostrandosi possibilista rispetto alla distribuzione dei kit: “Bisogna evitare due rischi contrastanti: quello di criminalizzare la questione, invocando la repressione e quello di sottovalutarla, affrontando con leggerezza il problema; ciò detto, non mi sento di escludere la possibilità di distribuire i test antidroga. Non sono favorevole a spedirli a casa a tutti, ma a gestirli nell'ambito di un rapporto tra i nostri servizi sociali e le famiglie. Se qualcuno ce li richiede e gli esperti ritengono che esista un problema, allora noi dovremmo essere in grado di darli gratis”.
La collega di Giunta di Paruolo, la vicesindaco Adriana Scaramuzziono, è appena un po’ più cauta: “Il kit antidroga non è che uno degli strumenti utilizzabili nella lotta all'uso di stupefacenti nei giovanissimi. Soprattutto perché di fronte ad un fenomeno così grave, ipotizzare che il kit possa essere una soluzione è molto riduttivo; il disagio non si può solo sanitarizzare. Il kit per scoprire dall'esame delle urine l'uso di droghe sarebbe uno strumento da inserire in un discorso più ampio, che coinvolga la scuola, l’Ausl e famiglie, con cui si stanno già studiando degli
incontri. Va avanti dunque lo studio di fattibilità del kit da parte dei tecnici del Comune di Bologna, e non si esclude quindi la possibilità di metterlo in campo come strumento aggiuntivo, ma solo se viene una richiesta forte da parte delle famiglie. Ora la domanda forte delle famiglie non c'è. C’è bisogno, inoltre di una fase di sperimentazione, come per tutte le iniziative per contrastare fenomeni così gravi”.
droga bambino I Consiglieri dell'Altra Sinistra, invece, demoliscono la proposta del kit anti-droga con tre battute: “ Una stupidaggine… un delirio… è l’ennesima conferma di una Giunta incapace di amministrare e che va avanti a suon di spot”.
Valerio Monteventi, consigliere indipendente, ha le idee chiare sul da farsi: “Se una roba del genere arriva in Consiglio Comunale non solo voto contro, ma faccio una campagna di massa”.
Assieme a Monteventi anche il consigliere Verde Roberto Panzacchi: "Questa è una logica reazionaria, non mi sarei mai aspettato una stupidaggine simile. Manca totalmente la capacità di agire. C'è una distanza enorme tra queste scelte e la realtà giovanile”.
I due consiglieri smontano l'idea partorita da Paruolo: “Se Paruolo avesse partecipato di più alle commissioni e ai convegni organizzati non avrebbe parlato di una cosa così estemporanea, priva di un sensato riscontro rispetto al lavoro degli operatori”.
La giunta Cofferati, però, tira dritto, Paruolo chiede che il tema “non sia caricato di una particolare valenza”.
A chi gli chiede come risponderà all’Altra Sinistra che minaccia
di alzare le barricate contro il test, l’Assessore alla Salute dichiara: “Evidentemente qualcuno o non vuole capire o preferisce la contrapposizione ideologica. Sul tema della droga c'è chi pastura, alla ricerca del proprio target elettorale: c’è chi criminalizza tutti puntando sulla repressione, e c’è chi pensa che ogni strumento sia un male in sé”.
Sul suo blog, Paruolo scrive di suo pugno: “Sul tema droga abbondano le posizioni radicali: da un lato quelle tutte legge ed ordine, che privilegiano l'approccio repressivo trascurando il bisogno di un cammino educativo e culturale; dall'altro quelle che si concentrano solo sulla riduzione del danno, e diffidano di ogni accenno non dico di repressione ma anche solo di controllo. Il mio pensiero, è che su questi temi bisogna evitare due rischi contrastanti: quello di criminalizzare la questione, invocando la repressione, e quello di sottovalutarla, affrontando con leggerezza il problema. In definitiva, la mia proposta vuole essere solo una misura di buon senso, che va incontro all'esigenza di affrontare con serietà il problema, coinvolgendo e responsabilizzando i giovani e le famiglie. Francamente, mi stupisce che desti tanto scalpore...”.
Raimondo Pavarin, direttore dell'Osservatorio bolognese sulle droghe, scuote la testa sulla proposta di inviare alle famiglie il kit antidroga: “E' una strada poco praticabile. Di questo passo dove andremo? Chi farà il test a chi? I genitori lo fanno ai figli sulla droga. E poi cosa impedisce ai figli di farlo ai genitori sull'alcol? Alla fine ci si fa il test a vicenda, non si salva più nessuno.
La vera questione è il dialogo tra la famiglia e il figlio e il test lo metterebbe in discussione. Se un padre arriva a fare il test antidroga al figlio, significa che la situazione in famiglia è già abbastanza problematica. Piuttosto occorre che i genitori siano più presenti e discutano di più con i figli dei problemi legati alle sostanze stupefacenti. Sulla droga c'è molta informazione distorta e poca comunicazione con i ragazzi”.
Che a Bologna la “Zero Tolleranza” non sia più solo uno slogan ma un'ideologia costituente lo si è percepì con chiarezza lo scorso anno quando, in pieno dibattito sullo street rave parade, il consigliere Lonardo (DS) propose un appello by partisan contro la droga (firmato da consiglieri di centro-destra e centro-sinistra) dal sapore “muccioliano”.
Affrontare un argomento complesso e in rapida evoluzione come quello delle droghe, con appelli, che non distinguono tra droghe leggere e pesanti, facendo finta che non esista una normativa che criminalizza il consumo e che distrugge il sistema dell’intervento pubblico, vuol dire essere indifferenti alla sofferenza, al carico penale sulla società e alle patologie, senza conseguire nulla contro il nemico, la droga, che si dichiara di voler combattere.
Accanirsi sui comportamenti dei giovani (forse perché hanno dimostrato di esser quell'area con più forte capacità critica) attraverso il proibizionismo non fa che aumentare la già forte precarietà sociale.
I fatti di un anno fa e le proposte di Paruolo oggi dimostrano come i politici siano rimasti fermi rispetto a tutto il lavoro svolto dagli operatori sociali e sanitari e dai gruppi che volontariamente non solo intervengono sul campo, ma sanno elaborare politiche efficaci, perché attente alla concretezza dei problemi e non ingessate dal moralismo proibizionista.