Acabnews Bologna

Un “survival kit” che sostiene le librerie indipendenti nei giorni dell’epidemia

Lista di romanzi e saggi da Resistenze in Cirenaica. Intanto Vag61 propone “itinerari utili per non subire l’emergenza e reagire alla crisi”. Assemblea degli anarchici imolesi: “Dare fiducia ai nostri simili per una risposta collettiva”. Nomissis porta in giro una “ipnosi collettiva”. Torneo Dimondi in versione digitale: “Andiamo oltre l’aperitivo in terrazza”.

03 Aprile 2020 - 14:46

Con le restrizioni dettate dall’epidemiaa Covid-19, “le librerie faticano come Sisifo, eppure per molte persone i libri sono beni di prima necessità. Noi abbiamo una nostra personalissima lista da condividere con voi e da ordinare dalle librerie indipendenti, una lista di romanzi e di saggi che rischiari le tenebre o che oscuri le luci dei riflettori costantemente puntati sulla stessa tossica narrazione. Buona lettura…”. E’ l’iniziativa firmata da Resistenze in Cirenaica, che sul proprio sito propone un “survival kit” sotto forma di elenco di libri, così presentato: “In questo clima da Eternauta, in questo 1984 collassato sul Mondo Nuovo, alle prese con un Iperoggetto da Nuova Era Oscura c’è chi si abbandona alla Stanchezza e chi allo Sciame. In pieno Chthulucene, che non è quello di Lovecraft, ma poco ci manca, tra le Ceneri di un pianeta che potrebbe cavarsela molto bene Senza di noi, senza Storia, senza Utopia, senza Oppressione e Capitalismo, grazie a una semplice Peste, non resta che Confessarsi e lanciare qualche Anatema carico di Amarezza o Cambiare la propria mente, ascoltare il Sussurro del mondo e Vagabondare tra le stelle”. I titoli suggeriti: James Bridle, “Nuova era oscura” (Nero); Wolf Bukowski, “La buona educazione degli oppressi” (Alegre); Byung-Chul Han, “La società della stanchezza” (Nottetempo); Byung-Chul Han, “Nello sciame” (Nottetempo); E. M. Cioran, “Confessioni e anatemi” (Adelphi); E. M. Cioran, “I sillogismi dell’amarezza” (Adelphi); E. M. Cioran, “Storia e utopia” (Adelphi); Mark Fisher, “Realismo capitalista” (Nero); Donna Haraway, “Chthulucene” (Nero); Aldous Huxley, “Il mondo nuovo” (Mondadori); Jack London, “Il vagabondo delle stelle” (Adelphi); Jack London, “La peste scarlatta” (Adelphi); H.P. Lovecraft, “Tutti i racconti” (Mondadori); H.G. Oesterheld, “Francisco Solano Lopez”, L’Eternauta (001); Goerge Orwell, “1984” (Mondadori); Mike Pearl, “Il giorno in cui tutto finisce” (Il Saggiatore); Michael Pollan, “Come cambiare la tua mente” (Adelphi); Richard Powers, “Il sussurro del mondo” (La Nave di Teseo); Eugene Thacker, “Tra le ceneri di questo pianeta” (Nero); Timothy Morton, “Iperoggetti” (Nero); Alan Weisman, “Il mondo senza di noi” (Einaudi).

“No, l’epidemia non colpisce tutte/i allo stesso modo: è un’idea buona solo per qualche inutile salotto televisivo”. Lo scrive Vag61, spiegando che “certo il virus di per sé non bada alla collocazione sociale, ma le differenze concrete sono enormi: vale qui e ora per l’emergenza sanitaria e il rischio di contrarre il Covid-19, vale qui e ora e in futuro per la crisi economica e il rischio – ahinoi, spesso, già certezza – di pagare un prezzo altissimo mentre invece qualcuno è e sarà ben felice di speculare di più, guadagnare di più, sfruttare di più”.

Prosegue il comunicato del centro sociale: “Sui social circola un piccolo prontuario che aiuta a smontare la retorica che va tanto di moda in queste settimane: ‘È una pandemia, non è una guerra. Siamo cittadine/i, non siamo soldati. Siamo responsabili, non si tratta di essere obbedienti. Siamo solidali, non è una questione di patria’. È proprio così e del linguaggio sciovinista e militaresco che imperversa dall’inizio dell’emergenza, non ne possiamo più. Non è una guerra, dunque, ma con la guerra ha un pesante elemento in comune: sono sempre le/gli stesse/i quelle/i che restano fregate/i’. Non c’è bisogno di scomodare più di tanto l’etimologia greca (epi e demos: che incombe sul popolo) per vedere che c’è emergenza ed emergenza. Per ogni piccolo e grande Cairo o capoccione di Confindustria pronto a passare all’incasso ci sono migliaia di persone che si giocano la salute e il futuro. No, il virus – direttamente o indirettamente – non colpisce tutte/i allo stesso modo. Non è la stessa cosa per chi resta senza reddito, per chi già non ce l’aveva, per chi nella selva dei contratti o del lavoro nero non aveva le tutele di prima e non può neanche ambire alle briciole di adesso. Non è la stessa cosa per chi non ha un tetto sulla testa o rischia di perderlo perchè non ce la farà con l’affitto. Non è la stessa cosa per chi vive ammassato in un carcere, in un centro di accoglienza o un dormitorio. Non è la stessa cosa per chi subisce quotidianamente il ricatto del permesso di soggiorno. Non è la stessa cosa per le donne che nell’emergenza vedono acuirsi le disparità in campo sociale, lavorativo, familiare e non è la stessa cosa per le donne che “restando a casa” sono ancora più esposte alla violenza maschile. Non è la stessa cosa per le/gli studentesse/i e le/gli alunne/i che della teledidattica se ne fanno poco se in casa scarseggiano computer e connessione o se mancano interventi educativi adatti alle esigenze specifiche. Non è la stessa cosa per le/gli operatrici/ori sanitarie/i sottopagate/i e non è la stessa cosa per le/i lavoratrici/i che lo smart working se lo sognano e sono costrette/i ad esporsi al contagio (magari senza sufficienti protezioni) perchè la loro azienda è essenziale, abbastanza essenziale, un po’ essenziale, un filino essenziale: guarda caso sono migliaia, solo in provincia di Bologna, gli imprenditori che hanno chiesto e stanno ottenendo la deroga al cosiddetto ‘blocco’ delle attività produttive. E l’elenco potrebbe allungarsi ancora molto”.

Scrive poi Vag61: “La realtà è questa. E anche quando gli aspetti più cruenti dell’emergenza sanitaria saranno alle spalle, continueranno a farsi sentire pesantemente gli effetti a medio e lungo termine delle conseguenze economiche e sociali. Così come è concreto il rischio che i dispositivi di restrizione e di controllo dispiegati in queste settimane finiscano per incardinarsi nell’ordinaria amministrazione ponendo una seria ipoteca sulle libertà individuali e collettive. Se c’è la necessità di guardare a ciò che accade intorno a noi in questi giorni, insomma, non è certo per denunciare il vicino che ha fatto due passi sotto casa. Guardarsi intorno, invece, significa continuare a costruire comunità (come anche noi stiamo cercando di fare con “Segnali dal futuro”) e significa attivare meccanismi di solidarietà che moltiplichino le tutele per tutte/i e favoriscano l’opportunità di cogliere l’emergenza come fase di necessaria trasformazione, perchè la crisi di oggi – sanitaria, sociale, ambientale – è figlia delle scelte politiche di ieri e di un modello economico da ribaltare. Sulle tematiche che abbiamo citato e su altro ancora, ci sono diverse iniziative e campagne che si muovono a livello cittadino, regionale, nazionale e transnazionale. Ne segnaliamo alcune (e altre si aggiungeranno) invitando tutte/i a sostenerle e a partecipare, nei vari modi che oggi sono possibili e poi nelle forme che seguiranno”. Sono la campagna “Reddito di quarantena per un reddito universale”, il Rent strike, l’appello per amnistia e indulto “I detenuti gridano tutti/e salvi, tutti/e a casa!” promossa dall’associazione Bianca Guidetti Serra, la campagna “iorestoacasama…” di Non Una di Meno Bologna, la “Campagna internazionale per la tutela della salute e della sanità pubblica” lanciata da People’s Health Movement e Campagna Dico32 – Salute per tutte e tutti”.

Interviene sulla situazione sociale anche l’Assemblea degli anarchici imolesi: “L’Anarchia non è sinonimo di caos o di individualismo estremo ed egoista.  Queste semmai sono caratteristiche dell’attuale società capitalistica. L’attuale periodo di pandemia globale è un’opportunità per i capitalisti ed in generale per quell’1% che determina e decide le nostre vite.  Si sa, a periodi di grandi disastri, corrispondono grandi profitti.  Gli anarchici imolesi restano fedeli al motto del grande geografo dell’800 Elisée Reclus: ‘l’Anarchia è la massima espressione dell’ordine’. Ciò vuol dire che libertà fa rima con responsabilità, verso di sé e verso gli altri.  È per tale ragione che mal tolleriamo i divieti imposti con toni terroristici.  Ciò si badi bene, non vuol dire che tali divieti siano inutili, persistendo la necessità di rallentare l’espansione del contagio. Il distanziamento sociale si è reso indispensabile, vista la velocità di propagazione del virus e l’attuale fragilità del nostro sistema sanitario nazionale, che sconta tre decenni di tagli progressivi, la trasformazione in azienda e la conseguente sottomissione alle assurde regole di mercato applicate ad un servizio pubblico essenziale (pareggio di bilancio).  Fuorviante la comunicazione istituzionale, poco chiara e generatrice di panico.  Assurdi alcuni divieti (passeggiate ed attività all’aria aperta solitarie, nessuna attenzione ai bisogni dei bambini), che non tengono in minimo conto la salute generale del singolo, considerato quale incapace di ragionare e degradato da cittadino a suddito, incapace di comprendere cosa sia bene per se e gli altri. Numerosissimi i lavoratori e le lavoratrici, di ogni categoria, costrette a lavorare nell’emergenza, spesso senza alcuna protezione; gli scioperi spontanei, nelle produzioni ritenute non essenziali, sono riusciti ad imporre pratiche di sicurezza sanitaria ponendo un limite alle ciniche “distrazioni” padronali tendenti unicamente al profitto.  Molti coloro che, spaventati dall’assillante narrazione del contagio proposta dai media, o intimoriti dalla delazione isterica dei cittadini trasformatisi in vigilantes, rinunciano volontariamente alle libertà consentite dall’autorità.  Paradossalmente, questo stato di panico indotto provoca un effetto “nocebo”, di abbassamento delle misure immunitarie, aumentando i rischi di ammalarsi. Urge riabituarci a dare fiducia ai nostri simili, (ora che la distanza è stata sancita per legge), per dare una risposta collettiva alla crisi”.

Gli anarchici imolesi reclamano dunque “nell’immediato tamponi e test sierologici anticorpali per acquisire dati utili alla ricerca; protezione adeguata dei sanitari e delle altre categorie di lavoratori a rischio; distribuzione gratuita di cibo ai non abbienti; moratoria degli sfratti; blocco di bollette, mutui, affitti pubblici e privati; indennizzo significativo ai lavoratori costretti a lavorare in emergenza; potenziare i rifugi contro la violenza domestica; sanatoria generalizzata dei lavoratori immigrati; svuotamento delle carceri, (luoghi insalubri ed inumani); psicoterapia e aiuto per il disagio psichico derivante dalle misure di contenimento; presa in carico di senzatetto e immigrati irregolari; potenziamento della ricerca (finanziamento e stabilizzazione dei contratti di lavoro); distribuzione di denaro per affrontare l’emergenza ad ogni singolo cittadino con reddito inferiore a 30 mila € annui; azzeramento delle spese militari e reinvestimento in strutture socio sanitarie, (70 milioni di euro al giorno, due miliardi al mese, con le spese militari di un solo giorno, si potrebbero costruire e attrezzare 6 nuovi ospedali o comprare 25.000 respiratori)”.

Per il futuro l’auspicio è invece “che l’intera popolazione si renda conto che bisognerà costruire campagne di mobilitazione e lotta per l’assistenza sanitaria universale e gratuita; per il diritto all’abitare; per il diritto al lavoro sicuro (in produzioni necessarie per la comunità con riconversione di quelle nocive) ed equamente retribuito; assistenza universale all’infanzia, agli anziani ed ai soggetti più fragili della collettività; istruzione universale e gratuita; ampliamento di parchi e riserve naturali; zero immissioni in atmosfera e zero produzione di rifiuti; l’acqua, l’elettricità, il gas e le telecomunicazioni, pubblici e non privati; potenziamento e gratuità dei trasporti pubblici; filiera corta ed etica delle produzioni alimentari; socializzazione dei profitti delle aziende che ricevono finanziamenti pubblici”.

Si legge in conclusione: “Utopia? Forse. Ma nulla é come prima, né lo tornerà. Avreste immaginato qualche mese fa di vivere un simile incubo? Sicuramente queste rivendicazioni legittime ed urgenti, non possono trovare accoglimento nell’attuale sistema economico neoliberista, dedito al profitto di pochi a scapito della moltitudine. Un sistema che ha dimostrato tutta la propria fragilità e ora corre ai ripari per tentare di minimizzare i disastri che esso stesso ha contribuito a generare. E’ per questa ragione che é arrivato il momento di metterlo in soffitta e sostituirlo con una economia federalista e solidale, dal basso, dedita alle produzioni necessarie allo sviluppo ed al benessere dell’umanità, mettendo fine alla devastazione ed al saccheggio del pianeta, allo sfruttamento umano, animale e delle piante, un modello sociale da tempo pensato dagli anarchici che ponga al centro i bisogni umani e non il profitto privato. Un mondo migliore é indispensabile! A meno che non ci si voglia rassegnare a vivere il resto della propria vita tappati in casa o con una mascherina in faccia, ipotesi tutt’altro che fantascientifica. Oppure, se non vorremo cambiare questa struttura economico/sociale, prepariamoci a fronteggiare una crisi economica spaventosa (le spese necessarie di oggi, le pagheremo caramente domani) che porterà con se povertà, fame, l’instaurazione di dittature, nuove guerre, sconvolgimenti climatici e un prevedibile aumento dell’inquinamento di ogni genere dovuto alla furibonda ripresa delle attività produttive senza alcun limite, alla rincorsa dei punti di Pil perduti”.

Tra le altre iniziative messe in campo in questi giorni, riceviamo e pubblichiamo la seguente segnalazione: “Gli attivisti di Nomissis hanno noleggiato un camion pubblicitario a vela, affisso l’ultima opera di Ulixes dal titolo ‘Ipnosi collettiva’, e ora portano ironicamente in giro il solito mantra, che in maniera assordante rimbomba nel vuoto delle città. Come al solito, in ogni caso, qualunque cosa succeda, la colpa non è mai di chi governa, e chi paga e viene oppresso, rinchiuso e soppresso, sono
sempre i comuni cittadini”.

Infine, dall’esperienza del Torneo Dimondi è scaturito il “Bring Torneo Dimondi home”, che si è svolto sabato. “Il Torneo Dimondi è un progetto nato con l’intento di creare socialità e relazioni, scardinando le barriere sociali attraverso momenti di gioco, incontro e connessione fra esperienze di vita diverse.
In un periodo in cui le uniche connessioni possibili sono le nostre linee internet- hanno spiegato gli organizzatori- ci siamo chiest* come convertire digitalmente questa esperienza senza farle perdere di significato e senza lasciare indietro nessun*. La risposta è semplice: non è possibile”. L’idea è stata quella, però, di darsi comunque “un appuntamento virtuale e fare un esperimento che vada oltre l’aperitivo in terrazza – e per cui difficilmente verrà organizzato un flashmob di applausi”. La proposta del Torneo Dimondi, che in seguito ha pubblicato i contributi raccolti su Facebook e sul proprio sito, è stata quella di partecipare con una forma di espressione artistica/digitale a scelta per mostrare come si sta vivendo questo tempo: “Come si crea comunità ai tempi del coronavirus? Si può essere inclusivi in quarantena? Come mettere in pratica i principi dello sport popolare senza poter giocare insieme?”.