Opinioni

Turchia / Prove tecniche di democratica reazione

A Istanbul il governo turco vuole radere al suolo un parco per costruirvici un centro commerciale. I cittadini protestano, la polizia interviene: esplode una rivolta di popolo contro Erdogan. L’analisi di un nostro collaboratore.

03 Giugno 2013 - 09:45

Per il quinto giorno consecutivo le maggiori città della Turchia sono attraversate da scontri e disordini. La polizia ha arrestato circa 1700 persone, e nulla sembra far pensare che la tensione possa calare. Mentre nel centro di Istanbul la polizia lascia sul campo centinaia di feriti (alcuni con danni permanenti agli occhi) ed un tappeto di cartucce da lacrimogeno, proteste e cortei sono segnalati anche nei quartieri di Smirne, Ankara e Bursa.

Nata per protestare contro un progetto edilizio che prevedeva l’abbattimento di circa seicento alberi dal centro città (il Gezi Park, appunto), la protesta si è poi allargata sia nei numeri che nei contenuti. Un contributo fondamentale al successo della protesta è stato offerto – suo malgrado – dalla polizia, che con la sua repressione indiscriminata feroce e dozzinale, ha esasperato gli animi. E scatenato la rivolta. Ad occupare e presidiare piazza Taksim quindi è un movimento dall’anima composita, ma unitariamente avverso alla svolta conservatrice del governo Erdogan e del suo partito, l’AKP (Partito Giustizia e Sviluppo).

 Una svolta, quella di Erdogan, che  guarda da una parte ad occidente, e dall’altra ad una reintroduzione di precetti religiosi all’interno dell’ordinamento turco, storicamente laico. Mentre il neoliberismo, la speculazione edilizia, il connubbio tra grandi affari e politica diventa elemento vitale per la propria sopravvivenza politica, la necessità di mettere a tacere le opposizioni interne passa giocoforza anche per un irrigidimento dei costumi. Un compito questo che può trovare una sponda in chi, nella società turca, spinge per una moderata reislamizzazione dell’ordinamento.

E’ in questa chiave che potrebbero essere lette misure come  il varo delle leggi anti-alcool ad Ankara. Provvedimenti sui quali lo stesso Ergogan si è espresso, sostendendo ‘che chiunque consuma bevande alcooliche è da considerare un alcolista’. Sempre ad Ankara, nei giorni scorsi, la polizia era interveuta anche durante la ‘protesta del bacio’, protesta scaturita da un appello delle autorità locali ad un ‘comportamtento più morale’ nei luoghi pubblici. Una svolta conservatrice dunque, netta ma non completa. Al governo turco serve solo quel tantino di repressione che basta per spaventare e fare tacere il dissenso. Senza esagerare. Del resto, basta attraversare il bosforo per avere un ottimo esempio di ‘repressione dal volto umano’.

L’unico tassello che manca ad Erdogan per completare la ricetta turca di democrazia occidentale riguarda lo spinoso ‘nodo dei diritti umani’, tema che tanto sta a cuore all’occidente e che rappresenta l’annoso ostacolo all’agognato ingresso nell’Unione Europea. Ben lontani dal voler vedere effettivamente garantite le libertà fondamentali, i governi europei raccomandano a quello turco nulla più che un utilizzo più machiavellico della repressione: a dosi più contenute, ripetute, ma meno mediaticamente esposte. Erdogan deve imparare a lavorare ai fianchi del dissenso, sfaldarlo, utilizzando di più le armi della retorica; dividere tra buoni e cattivi, avviare e trascinare lunghi ed inconcludenti negoziati, offrire poltrone, sono solo alcuni elementi del nutrito bestiario messo a disposizione dalle democrazie occidentali per normalizzare le proteste.

Insomma un Erdogan che guarda sempre più ad occidente, ma ha ancora qualche difficoltà a gestire il fronte mediatico della questione. I leader europei stanno a guardare alla finestra, limitandosi a qualche richiamo alla libertà di espressione dalle tinte acquerellate. Fa da sfondo un apparato di sicurezza che pratica un repressione violenta ma inefficace, una repressione frutto di  formazione, esperienza e pratiche maturate nei periodi più bui della storia turca.

La situazione è in divenire. Vedremo se nei prossimi giorni i soggetti politici che animano la protesta riusciranno a resistere ai colpi di un governo che, per ora, non ha nessuna intenzione nè di andarsene, nè di ripensare al suo progetto. Viene da dire: A sarà düra!