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Strage, Procura: Mambro, Fioravanti e Ciavardini mentirono al processo Cavallini

I magistrati hanno chiuso le indagini per falsa testimonianza, atto che precede di prassi la richiesta di rinvio a giudizio. Venerdì si aprirà invece il processo a Paolo Bellini, ritenuto il quinto uomo dell’attentato alla Stazione del 2 agosto 1980.

14 Aprile 2021 - 19:30

Sono giornate importanti per la ricerca della verità storica e giudiziaria sulla bomba alla Stazione che uccise 85 persone il 2 agosto 1980. La Procura ha chiuso le indagini per falsa testimonianza a carico degli ex militanti dell’organizzazione neofascista Nuclei armati rivoluzioni (Nar) Luigi Ciavardini, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, già condannati in via definitiva per la strage, in relazione alle deposizioni durante il processo di primo grado terminato con la condanna di Gilberto Cavallini, componente della medesima formazione. L’atto precede di prassi la richiesta di rinvio a giudizio.

Mambro è ritenuta responsabile di aver mentito sulla presunta offerta, fatta nell’82 da parte dei magistrati inquirenti, di ‘scaricare’ la colpa della strage su un camerata frattanto decedeuto. Per Fioravanti c’è anche l’accusa di calunnia nei confronti di due magistrati falsamente accusati di favoreggiamento nei confronti suoi e di Mambro perché avrebbero  cercato di indurli, nel 1982, a far ricadere la responsabilità dell’attentato su altri estremisti di destra nel frattempo deceduti, e su un capitano dei Carabineri che Fioravanti ha accusato di tentato omicidio ai suoi danni.

Indagini chiuse anche nei confronti di Stefano Sparti, figlio del super-testimone del processo che finì con la condanna di Mambro e Fioravani, che secondo la Procura ha mentito a più riprese riguardo al padre Massimo e su quello che fece il giorno della strage  l’allora fidanzata di Ciavardini, Elena Venditti, l’ex militante di Terza Posizione (altra organizzazione neofascista) Giovanna ‘Jeanne’ Cogolli rispetto a diverse circostanze avvenute nei giorni precedenti la strage. Cogoli in particolare ha negato che nei giorni precedenti alla strage un esponente di Ordine nuovo (anche questa una formazione della galassia neofascista)  le avesse detto di allontanarsi da Bologna perché “sarebbe accaduto qualcosa di grosso”.

Venerdì mattina, invece, davanti alla Corte d’Assise, partirà il processo a Paolo Bellini, ex membro di Avanguardia Nazionale (sempre un gruppo neofascista), all’ex Carabiniere Piergiorgio Segatel e a Domenico Catracchia, amministratore di condominio di alcuni immobili di via Gradoli a Roma in cui trovarono rifugio i Nar. Un processo “epocale” secondo Paolo Bolognesi dell’associazione dei familiari delle vittime, che preannuncia che le parti civili produrranno nuove documentazioni oltre a quelle già depositate e che rispetto alla chiusura delle indagini per falsa testimonianza dice: “Forse ora la smetteranno di mentire”.

Bellini è accusato di concorso nell’attentato: per la Procura generale fu il ‘quinto uomo’ del gruppo che eseguì la strage. Tra le prove a suo carico, oltre a una serie di intercettazioni, c’è il fotogramma di un filmato Super8 girato da un turista tedesco il 2 agosto 1980, nel quale si vede un uomo molto somigliante a Bellini. Segatel è accusato di depistaggio mentre Catracchia è ritenuto responsabile di false informazioni al pubblico ministero al fine di sviare le indagini. Diverse persone coinvolte nelle indagini non potranno essere processate in quanto decedute, tra cui Licio Gelli, capo della loggia segreta P2 e l’ex capo dell’Ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno Federico Umberto D’Amato. L’ipotesi degli investigatori è che la strage alla stazione fosse stata pianificata fin dal febbraio del 1979, quando dai conti svizzeri di Licio Gelli partirono i primi soldi per finanziare i neofascisti, che avrebbero ricevuto dalla P2 sei milioni di dollari. Presso la Procura generale è inoltre ancora aperta una seconda tranche di indagini sui mandanti e sui finanziatori della strage.